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Difesa, investimenti da 375 a 635 miliardi nei Paesi europei Nato. In Italia nuove opportunità per imprese e private equity




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Ultim’ora news 10 luglio ore 14


Una rivoluzione sta attraversando l’Europa: quella della difesa. In un’epoca segnata da instabilità geopolitica e da una crescente percezione dei rischi sulla sicurezza, l’Unione Europea si appresta a trasformare radicalmente il proprio approccio al tema militare.

L’ultimo rapporto di Bain & Company sul settore fotografa un cambiamento di portata storica: la spesa dei Paesi europei Nato è destinata a crescere dai 375 miliardi di euro attuali a oltre 635 miliardi entro il 2035, in risposta a nuovi obiettivi fissati dalla Nato e alle mutate esigenze strategiche. Il conflitto in Ucraina ha avuto un ruolo catalizzatore. Ha modificato opinioni pubbliche, priorità politiche e approcci industriali, costringendo l’Europa a colmare rapidamente il gap con gli Stati Uniti, in termini di capacità difensive e autonomia strategica.

L’Europa al bivio: più spesa e più cooperazione

Secondo l’analisi di Bain, l’Europa si trova oggi davanti a un triplice compito: aumentare la spesa, renderla più efficiente e ridurre la dipendenza dall’esterno. L’obiettivo fissato al recente vertice Nato dell’Aja è ambizioso: dedicare il 5% del pil alla difesa entro il 2035, di cui il 3,5% in spesa militare diretta e l’1,5% in infrastrutture, innovazione e resilienza industriale.

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Ma la sfida è anche organizzativa: solo il 18% dei programmi di acquisizione è attualmente gestito in maniera congiunta tra Stati membri. L’obiettivo dell’Ue è portare questa quota al 35%, riducendo la frammentazione che genera inefficienze, ridondanze tecnologiche e scarsa competitività. Attualmente, oltre i due terzi della spesa militare europea finiscono a fornitori statunitensi.

Il potenziale italiano: frammentato ma strategico

Nel contesto europeo, l’Italia rappresenta un’anomalia ma per gli investitori anche un’opportunità. Con una spesa per la difesa inferiore all’1,5% del pil, è tra i Paesi che dovranno colmare il maggior divario. Ma il settore industriale, seppur frammentato, è già oggi estremamente specializzato: secondo Bain, oltre due terzi delle imprese italiane analizzate operano in maniera prevalente nell’aerospazio e difesa, anche se in gran parte si tratta di realtà con dimensioni limitate (quasi la metà con ebitda inferiore ai 5 milioni). Questo scenario, afferma Sergio Iardella, senior partner di Bain & Company, rappresenta «un terreno fertile per consolidamenti e investimenti strategici, anche da parte del private equity».

Private equity e innovazione

Negli ultimi dieci anni, il settore aerospazio & difesa ha registrato una delle crescite più rapide nel portafoglio del private equity. Nonostante le tradizionali cautele legate a instabilità politica, rigidità Esg e volatilità dei bilanci pubblici, sempre più fondi guardano oggi alla difesa come a un ambito promettente, non solo per i ritorni economici, ma anche per l’impatto strategico e tecnologico.

Dai grandi deal di consolidamento industriale al venture capital in startup deep-tech, l’interesse è trasversale. E l’Italia, con la sua rete di imprese specializzate e un’elevata densità di know-how, può giocare un ruolo chiave.

Sei ambiti strategici per investire nella difesa del futuro

Secondo lo studio, sono sei i principali settori in cui si stanno concentrando le opportunità:

  • Consolidamento verticale per creare campioni industriali europei (es. droni, blindati, satelliti);
  • Componentistica high-tech legata a programmi globali;
  • Tecnologie abilitanti come sensori, radar, batterie avanzate e materiali stealth;
  • Produzione di materiali critici, tra cui esplosivi e sostanze chimiche strategiche;
  • Sviluppo software, con focus su cybersecurity e sistemi immersivi;
  • Apparecchiature di supporto, dalle comunicazioni alla protezione individuale.

Software-first e dual-use: la nuova frontiera 

Una nuova generazione di attori innovativi, spesso startup orientate al modello software-first, sta emergendo in Europa, anche se l’ecosistema rimane meno dinamico rispetto a quello statunitense. L’accesso a capitali di rischio è limitato, così come la collaborazione fluida con le istituzioni militari, ma le potenzialità sono evidenti: soluzioni dual-use, pronte per applicazioni sia civili che militari, possono fare la differenza nei prossimi anni.

Una corsa a ostacoli, ma ricca di opportunità

Il percorso verso un’Europa più autonoma e sicura passa dunque da scelte complesse: più integrazione, più coraggio politico e più visione industriale. Ma il potenziale è enorme. Come sottolinea Pierluigi Serlenga, managing partner di Bain Italia, «l’aumento della spesa porterà inevitabilmente a maggiori opportunità industriali e tecnologiche, anche per le pmi e i nuovi entranti». Per l’Italia, questo significa una stagione unica per ripensare il proprio ruolo nella catena del valore della difesa europea, e attrarre capitali in un settore sempre più strategico per l’economia e la sicurezza. (riproduzione riservata)

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