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Dimissioni per fatti concludenti: CCNL o legge? Il parare del Tribunale di Trento e i chiarimenti del Ministero – Artser


Con la sentenza n. 87/2025, il Tribunale di Trento ha riacceso il dibattito sulle dimissioni per fatti concludenti, introducendo una lettura alternativa rispetto a quella ufficiale del Ministero del Lavoro.

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L’oggetto del contrasto riguarda l’interpretazione dell’art. 19 della Legge n. 203/2024 (il cosiddetto Collegato Lavoro), che ha regolato questa fattispecie introducendo un meccanismo semplificato per ritenere risolto il rapporto nei casi di prolungata assenza ingiustificata del lavoratore.

Il caso: assenza dopo il lavoro agile e risoluzione del rapporto

Una lavoratrice, terminato il periodo di smart working, non si è più presentata in azienda. Il datore ha interpretato l’assenza come dimissioni implicite, comunicando la risoluzione del rapporto. La dipendente ha contestato la decisione, sostenendo l’assenza di volontà di dimettersi. Il Tribunale di Trento le ha dato ragione, affermando che:

  • il termine minimo previsto dal CCNL non era stato ancora superato;
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  • mancava una comunicazione scritta e un formale procedimento di contestazione;
  • il comportamento datoriale costituiva un licenziamento illegittimo.

Il nodo interpretativo: prevale il contratto collettivo o la legge?

Secondo il Tribunale, la soglia temporale utile a configurare le dimissioni per fatti concludenti è quella prevista dal contratto collettivo, e non quella legale (15 giorni), che si applica solo in assenza di previsioni contrattuali.

Questa lettura contrasta con quanto sostenuto dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 6/2025 e ribadito in una FAQ pubblicata successivamente alla sentenza: secondo l’amministrazione, il termine minimo dei 15 giorni è inderogabile e si applica anche in presenza di disciplina collettiva, a meno che quest’ultima non contempli espressamente la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti e non preveda termini inferiori.

Il Ministero sottolinea inoltre che elemento essenziale della risoluzione per fatti concludenti è il silenzio del lavoratore: l’assenza deve essere priva di spiegazioni. Proprio per questo motivo, ritiene necessaria una soglia temporale non inferiore a 15 giorni, superiore a quella prevista per altre ipotesi (es. licenziamento disciplinare).

Il quadro normativo: art. 19, Legge 203/2024

Il testo della norma prevede che“In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro. Il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore.”

Il Tribunale di Trento ha ritenuto che, laddove il contratto collettivo preveda un termine, questo debba prevalere sulla soglia legale se più favorevole al lavoratore.

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Cosa devono fare le imprese?

Al momento, la giurisprudenza non è univoca e si riscontra un disallineamento tra interpretazione giudiziale e amministrativa. In assenza di chiarimenti definitivi (ulteriori sentenze o modifiche normative), il consiglio per le imprese è quello di applicare con prudenza la risoluzione per fatti concludenti, attenendosi alle linee guida ministeriali, rispettando le forme previste per il recesso e valutando con attenzione i tempi e le modalità di assenza.


Termini da conoscere

  • Dimissioni per fatti concludenti: modalità di recesso implicito determinata dal comportamento del datore o del lavoratore. Vai alla voce
  • CCNL: Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, fonte normativa tra le parti sociali. Vai alla voce
  • Parere ministeriale: interpretazione ufficiale del Ministero del Lavoro su questioni normative. Vai alla voce



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