Per anni, raccontare l’ecosistema startup italiano ha significato, troppo spesso, raccontare fughe. Giovani brillanti che si trasferiscono a Berlino, fondatori visionari che scelgono Londra per crescere, team tecnologici che trovano a Barcellona l’ambiente ideale per scalare. Una diaspora silenziosa e costante: dal 2011, oltre 700.000 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese. E molti di loro sono proprio quelli che avrebbero potuto essere il cuore pulsante di un’Italia più innovativa, più competitiva, più internazionale.
Perché sono andati via? Le ragioni sono ormai chiare: accesso limitato ai capitali, burocrazia scoraggiante, scarsa cultura del rischio, ecosistema frammentato. Dall’altra parte, metropoli come Londra e Berlino hanno offerto (e offrono ancora) un terreno fertile per chi vuole far crescere una startup: fondi disponibili, mentor esperti, acceleratori efficaci e un mindset che non guarda con sospetto l’errore, ma lo considera parte del percorso.
Eppure, in questo contesto, qualcosa sembra muoversi. Sì, parliamo spesso della fuga dei cervelli, ma è ora di raccontare anche chi torna. E soprattutto, è tempo di notare i segnali – forti, concreti – che indicano un possibile cambio di rotta.
Plasmon e Ferrero: due ritorni che parlano chiaro
Due notizie recenti hanno riacceso i riflettori sull’industria alimentare italiana – un settore storicamente strategico e profondamente identitario. La prima è il ritorno a casa di Plasmon, iconico marchio di alimenti per l’infanzia, passato nel 1963 sotto il controllo americano e ora ufficialmente riacquisito da una realtà tutta italiana: il NewPrinces Group, nuova identità della reggiana Newlat Food dopo l’acquisizione del britannico Princes Group.
Una manovra da 120 milioni di euro – cash, senza debiti – che riporta in Italia non solo un brand amato, ma anche uno stabilimento storico, quello di Latina, che continua a impiegare 300 persone e produce ogni anno quasi 2 miliardi di biscotti. E lo fa con un accordo win-win: Plasmon torna italiana, ma continuerà a produrre per Heinz nel Regno Unito. Un esempio perfetto di capitalismo intelligente, a lungo termine.
La seconda notizia è il blitz di Ferrero negli Stati Uniti: il colosso piemontese ha messo le mani su WK Kellogg, la storica azienda americana dei cereali, nata nel 1906. Un’operazione dal valore stimato di 3 miliardi di dollari, che consolida ulteriormente la presenza di Ferrero nel mercato USA, dove ha già acquistato, tra gli altri, il comparto cioccolato di Nestlé e la Wells Enterprises (gelati Blue Bunny).
Due operazioni diverse per natura e geografia, ma identiche per significato: quando l’Italia si mette in gioco, sa essere protagonista. Sa riportare a casa brand simbolo, sa andare a conquistare all’estero. E sa, soprattutto, costruire multinazionali con radici solide e visione globale.
Fondi europei, investitori attenti, e una cultura che (finalmente) cambia
Accanto a questi casi eclatanti, c’è un altro segnale che non possiamo ignorare: l’interesse crescente verso il mondo startup, da parte degli investitori italiani ed europei. I fondi PNRR, insieme a nuove iniziative UE dedicate all’innovazione, rappresentano un’opportunità mai vista prima per sostenere la crescita delle startup anche nel nostro Paese.
Stiamo assistendo, finalmente, a un risveglio dell’investimento privato. Non più concentrato solo sul tech “alla moda”, ma aperto a settori come l’agritech, il climate tech, il food innovation e il medtech. Campi nei quali l’Italia ha competenze profonde, ma che spesso ha sottovalutato.
Eventi come Smau London o i pitch organizzati dalle ambasciate italiane in Germania dimostrano che le nostre startup sono pronte, competitive, internazionali. Manca solo un vero ecosistema domestico che le convinca a restare. O, almeno, a tornare.
Il momento di agire: trasformare la fuga in volano
L’Italia resta un Paese dal potenziale straordinario. Ma talento e creatività, da sole, non bastano. Servono regole semplici, capitali pazienti, cultura dell’errore e del rischio. Servono policy strutturali e una narrativa pubblica che non si limiti a “celebrare i cervelli in fuga”, ma che premi chi resta e chi torna. E chi, con coraggio, investe qui.
Il ritorno di Plasmon e l’espansione di Ferrero sono due messaggi fortissimi: non tutto è perduto. Anzi, molto si può ancora costruire.
Forse, più che una coincidenza, questi due ritorni eccellenti rappresentano l’inizio di un nuovo ciclo. Un’Italia che non guarda più solo all’estero come terra promessa, ma come campo da conquistare – con le proprie idee, la propria storia, la propria eccellenza.
E se fosse davvero il momento di smettere di partire… e iniziare a tornare?
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