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“Ci aspetta un futuro distopico”


Pisa, 11 luglio 2025 – Cosa succederebbe se, di colpo, i negozi sparissero dalle nostre città e borghi? Non è uno scenario fantascientifico, ma una realtà imminente, come emerge dal rapporto Confcommercio – Censis. Il direttore di Confcommercio Provincia di Pisa, Federico Pieragnoli, lancia un grido d’allarme: il commercio al dettaglio è colpito da un’emorragia costante che rischia di prosciugare la linfa vitale dei nostri centri urbani. I numeri sono impietosi: solo in Toscana, oltre 13.500 imprese hanno chiuso nel 2024, con un saldo negativo di oltre 6.200. Il primo trimestre del 2025 ha visto altre 1.500 serrande abbassarsi per sempre. Questa crisi, alimentata dalla concorrenza spietata dell’online, costi di gestione elevati, una burocrazia asfissiante e una fiducia dei consumatori ai minimi storici, sta disegnando un futuro inquietante. Le famiglie, strette tra spese obbligate e la necessità di risparmiare, riducono drasticamente gli acquisti, indebolendo ulteriormente il commercio tradizionale. “Non riesco neanche a immaginare un centro storico come quello di Pisa, da Borgo Stretto a Corso Italia, trasformato in un deserto di vetrine vuote, sporche e graffitate,” esclama Pieragnoli. “Tunnel di cemento e vetro che nascondono il vuoto, privi del vociare dei passanti e delle offerte dei commercianti. I turisti, abituati a trovare souvenir e prodotti tipici, si troverebbero disorientati in un’atmosfera spettrale. Il visitatore non sarebbe più un benvenuto, ma un’anima errante in un cimitero commerciale, come in un romanzo apocalittico di McCarthy.” Questa “moria” dei negozi non è solo un incubo distopico, ma una realtà sempre più probabile. Un vero e proprio cancro che sta erodendo l’anima delle nostre comunità. Le conseguenze vanno ben oltre il dato economico: senza la vivacità di negozi, ristoranti e botteghe, le nostre città si ridurrebbero a musei statici e spersonalizzati. Una schiera di serrande abbassate non è solo un simbolo di abbandono, ma un catalizzatore di degrado e insicurezza, trasformando vie e piazze in luoghi meno sicuri. La vita quotidiana si complicherebbe drasticamente, costringendo i cittadini a spostarsi per chilometri per servizi essenziali, spingendo all’esodo anche i pochi residenti rimasti, in un circolo vizioso di abbandono e solitudine. “C’è un prezzo umano salatissimo in termini di lavoro e disoccupazione,” sottolinea Pieragnoli. “La chiusura delle attività commerciali si traduce in una perdita massiccia di posti di lavoro. Commessi, gestori, artigiani, fornitori: intere categorie professionali si troverebbero di punto in bianco senza occupazione. La disoccupazione non è solo un numero, è l’incubo di famiglie che non sanno come arrivare a fine mese, il dramma di chi perde la propria dignità lavorativa.” Le nostre città, che già faticano a trattenere i giovani, vedrebbero un’ulteriore fuga di talenti e competenze, compromettendo irrimediabilmente il loro futuro. Le nuove generazioni, prive di stimoli e opportunità, cercherebbero fortuna altrove, lasciando le nostre città a invecchiare inesorabilmente, come i protagonisti di un romanzo distopico in cui la speranza e il lavoro sono diventati un miraggio. “La risposta non può più attendere,” conclude Pieragnoli. “Serve una legge d’emergenza sul commercio, un vero e proprio cambio di passo per le nostre città, un intervento deciso che contrasti questo silenzio assordante e restituisca voce e vitalità ai nostri centri; servono incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche estreme per sostenere le aperture e la sopravvivenza dei negozi, rendendo l’attività commerciale meno un atto eroico e più un’opportunità sostenibile; servono progetti di rigenerazione urbana integrati e visionari che rianimino i centri storici, creando un ambiente favorevole al commercio e alla vita sociale; servono regolamentazioni eque per il commercio online, che tengano conto del suo impatto sul tessuto commerciale fisico; servono fondi strutturali e accessibili per la digitalizzazione e l’innovazione delle attività tradizionali, permettendo loro di competere nell’era digitale senza perdere la propria identità fisica; servono una valorizzazione del ruolo sociale e culturale del negozio, riconoscendolo come presidio di comunità, punto di riferimento e custode di tradizioni; servono programmi di riconversione e formazione professionale per i lavoratori del commercio colpiti dalla crisi, per evitare che la disoccupazione diventi un destino senza via d’uscita”.

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