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I fondi di private equity minacciano il sogno americano


L’America è sempre stata una nazione alimentata dalle piccole imprese: negozi di quartiere, aziende familiari, ristoranti, lavanderie, imprese di servizi. Queste realtà hanno rappresentato per decenni la spina dorsale della classe media e del sogno americano, offrendo un percorso verso l’indipendenza economica e la mobilità sociale. L’imprenditorialità è stata la forza trainante della crescita americana, soprattutto tra le comunità di immigrati, per le quali aprire un’attività significava passare dalla sopravvivenza al benessere.

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Oggi però quel tessuto vitale di piccole imprese è stretto nella morsa di un “pitone silenzioso”: i fondi di private equity, che hanno iniziato a colpire sistematicamente le imprese locali acquistando i concorrenti, abbassando i prezzi per conquistare il mercato, comprimendo i margini fino a espellere i proprietari indipendenti. Una volta raggiunto il controllo, i prezzi vengono alzati, penalizzando anche i consumatori. Inoltre, secondo la giornalista Megan Greenwell nel libro ‘Bad Company’, le aziende acquisite dai fondi di PE hanno una probabilità dieci volte superiore di fallire rispetto alle concorrenti.

Imprenditorialità in ritirata: a rischio il sogno americano

Basti pensare ai negozi di forniture per ufficio. Un tempo erano numerose attività a conduzione familiare. Oggi sono state assorbite da grandi catene regionali come Office Depot e OfficeMax — esempi classici di “roll-up” da parte del private equity. Chi si metterebbe in proprio oggi per competere con questi colossi? Il risultato è che gli imprenditori locali diventano dipendenti, perdendo l’opportunità di creare ricchezza autonoma.

Questo non è un effetto collaterale, ma una strategia precisa: acquisire attività frammentate, tagliare i costi tramite centralizzazione, abbassare i prezzi per eliminare i concorrenti e poi alzare le tariffe una volta ottenuto il monopolio. Operazioni mascherate da ingegneria finanziaria che, in realtà, producono un impatto socioeconomico: meno proprietari, meno concorrenza, meno mobilità sociale.

Anche il capitale di rischio ha avuto un ruolo. Si pensi al declino dei tassisti indipendenti con licenza: oggi Uber e Lyft dominano il settore grazie ai fondi di venture capital. E i prezzi? Tornati a livelli simili a quelli dei vecchi taxi. Ciò che un tempo era una scala verso la ricchezza oggi si è ridotto a uno stipendio.

I dati confermano il trend. Nel 2024, il 10% più ricco degli americani possedeva il 67,2% della ricchezza totale, mentre la metà più povera ne deteneva solo il 2,5%. La creazione di nuove imprese è in calo da decenni: rispetto agli anni ’80, è diminuita del 28%. Sempre meno nuove attività, sempre meno proprietari, sempre meno occasioni di riscatto per la gente comune.

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Questa concentrazione di potere danneggia non solo gli imprenditori, ma anche le comunità. Con l’aumento della quota di reddito assorbita dai più ricchi, l’occupazione nelle piccole imprese è diminuita del 5% dal 1980. Meno posti di lavoro, meno mobilità, meno vitalità locale.

Riconsegnare le imprese ai cittadini

Se questo processo continuerà per altri vent’anni, l’imprenditorialità indipendente sarà un ricordo. Possedere una piccola impresa sarà raro quanto gestire una libreria indipendente. I lavoratori resteranno dipendenti a vita, senza quote, senza autonomia. Le comunità perderanno la propria identità. E il sogno americano — un tempo legato all’iniziativa personale — diventerà una leggenda del passato.

Cosa fare? Serve proteggere le piccole imprese indipendenti dalla concentrazione predatoria e riportare la proprietà alla portata di tutti. Le politiche pubbliche dovrebbero limitare i roll-up in settori chiave: ristorazione, sanità, servizi locali. Bisognerebbe incentivare modelli di proprietà condivisa tra i dipendenti e intervenire per tempo per contrastare il consolidamento.

Non si tratta di rifiutare il capitalismo, ma di contenerne gli eccessi prima che divori l’opportunità stessa. Il capitalismo sopravvive solo se esiste concorrenza vera. La concorrenza stimola innovazione, trasparenza e scelta. Senza controllo, il sistema implode. Lo sapeva già Theodore Roosevelt: quando la “scala” diventa un’arma contro il cittadino, non siamo più in democrazia ma in autoritarismo economico.

Il vero pericolo non viene dall’esterno, ma dal nostro stesso sistema finanziario. Serve allentare la presa. Serve ricostruire un tessuto dove gli imprenditori locali possano competere, prosperare e rafforzare le proprie comunità. Solo così il percorso verso la proprietà d’impresa resterà aperto a ogni cittadino disposto a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia realizzando il sogno americano. È così che si difende non solo il capitalismo, ma anche la promessa americana.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Fortune.com



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