“Lo Space Act ci apre le porte nel Secolo dello spazio”.
Così Andrius Kubilius, commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, ha presentato lo EU Space Act, la prima normativa europea sullo spazio. La proposta di regolamento è accompagnata anche da una comunicazione – la Vision for the European Space Economy – finalizzata a tracciare i prossimi passi da muovere in un settore destinato a crescere esponenzialmente nel prossimo decennio.
La proposta rappresenta un passo fondamentale per istituire un mercato interno per i servizi spaziali, promuovendo l’armonizzazione legislativa e prevenendo la frammentazione normativa tra gli Stati membri. Tuttavia, l’impatto, almeno nel breve periodo, rischia di rivelarsi oneroso per l’industria domestica in un settore in cui l’Europa si ritrova già molto in ritardo rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
La lunga corsa allo spazio dell’UE
L’esigenza di regolamentare le attività spaziali ha spinto molti Stati europei a intervenire. Nel panorama europeo 13 Stati hanno adottato delle legislazioni nazionali e altri, come la Spagna e l’Estonia, stanno procedendo nella stessa direzione. In questo contesto l’Italia rappresenta un esempio virtuoso. L’11 giugno 2025 è stata infatti adottata la prima legge italiana sullo spazio con l’obiettivo di regolamentare le attività spaziali, definire in maniera chiara la governance nazionale – in particolare il ruolo dell’Agenzia spaziale italiana – e promuovere gli investimenti nella space economy.
L’EU Space Act si pone in continuità con queste iniziative, con l’obiettivo di armonizzare a livello europeo le regole relative alle attività spaziali, limitando l’eccessiva frammentazione normativa che costituisce un ulteriore freno allo sviluppo del settore.
Nonostante la volontà dell’Unione di intervenire nel settore abbia radici profonde, già a partire dagli anni Novanta, la creazione di una vera e propria politica spaziale europea risale al 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il combinato degli articoli 4, par. 3, e 189 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) introduce una competenza nel settore all’Unione, oltre a fornire una base giuridica per l’elaborazione di una politica spaziale europea e sostenere il progresso scientifico e tecnologico e la competitività industriale.
Per il primo programma spaziale europeo bisogna però attendere il 2021. Dotato di circa 14,9 miliardi di euro attraverso il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la sua creazione viene accompagnata dall’istituzione dell’Agenzia europea per il programma spaziale (EUSPA). La finalità è duplice: da un lato, contribuire all’autonomia strategica europea e alla competitività del settore spaziale; dall’altro, semplificare la governance spaziale unificando al suo interno i diversi programmi sviluppati negli anni – Galileo, Copernicus, EGNOS, lo Space Situational Awareness, GOVSATCOM e IRIS².
L’intenzione di adottare una prima legge spaziale europea si manifesta poco dopo, nel 2022, con la comunicazione congiunta sulla gestione del traffico spaziale. L’iniziativa viene portata avanti soprattutto dall’allora commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, che in numerose occasioni sottolineò la necessità di adottare una normativa spaziale europea per procedere alla creazione di un mercato unico per lo spazio. Inizialmente previsto per il primo trimestre 2024, il progetto subisce tuttavia numerosi ritardi. L’insediamento della nuova Commissione, insieme alla nomina del primo commissario ad hoc per la Difesa e lo Spazio, il lituano Andrius Kubilius, ha ridato slancio alla proposta, in un contesto in cui la Commissione identifica lo spazio come un mezzo per rilanciare la competitività dell’Unione – come indicato all’interno del Competitiveness Compass presentato a gennaio – e per contribuire alla sicurezza del continente.
Le principali sfide
Nell’era della New space race, in cui l’ingresso dei privati è diventato sempre più rilevante, lo spazio assume una dimensione che va oltre i programmi pubblici di esplorazione spaziale. I servizi satellitari ormai sono trasversali a molti settori: telecomunicazioni, difesa, agricoltura, osservazione della terra, gestione di crisi e trasporti, per citarne alcuni.
In questa direzione si posiziona il Rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione, pubblicato nel settembre del 2024. Tra i diversi obiettivi per contribuire all’autonomia strategica dell’Unione – tra cui l’accesso autonomo allo spazio, maggiori finanziamenti per le PMI e le start-up, e crescenti sinergie con l’industria della difesa – il documento pone l’accento sulla necessità di intervenire rapidamente per contribuire alla creazione di un mercato interno per i prodotti spaziali. Nel rapporto si precisa infatti che il valore dell’economia spaziale globale ha raggiunto i 630 miliardi di dollari nel 2023 e che le proiezioni prevedono una crescita pari a 1,8 triliardi di dollari entro il 2035. Sebbene le stime di Nova Space siano inferiori – il valore stimato per il 2033 è di 944 miliardi di dollari – si tratta di un settore destinato almeno a duplicare il proprio valore nel corso del prossimo decennio.
Un altro tema centrale è quello dell’impatto delle attività spaziali. L’aumento esponenziale dei lanci a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, dovuti soprattutto all’avvento di SpaceX e della sua costellazione Starlink, ha comportato un congestionamento sempre maggiore delle orbite terrestri, in particolare quella bassa (la cosiddetta Low Earth Orbit, LEO, compresa tra i 500 e i 1000 km di altitudine). Secondo alcune stime, al momento ci sono oltre 12mila satelliti operativi, di cui quasi il 90% concentrati in orbita bassa. Oltre ai satelliti presenti, preoccupa la presenza di detriti – stimati dalla Commissione europea a oltre 140 milioni, principalmente di piccole dimensioni. Questo sovrasfruttamento delle orbite potrebbe dare vita al cosiddetto effetto Kesler, una reazione a catena data dall’impatto tra satelliti che renderebbe impossibile l’accesso alle orbite.
Vi sono, infine, le preoccupazioni relative alla sicurezza delle infrastrutture orbitali, come ribadito all’interno della Strategia spaziale europea per la sicurezza e la difesa del 2023. Visti i servizi fondamentali per cui vengono impiegati, soprattutto in ambito militare, i satelliti sono sempre più oggetto di attacchi di guerra elettronica (spoofing, jamming o cyber attacchi) che mirano a limitarne le funzionalità o a interrompere le comunicazioni con il segmento terrestre.
Verso un mercato unico per i servizi spaziali
Nel far fronte alla necessità di adottare una legislazione comune a livello europeo, la Commissione ha risposto con un documento imponente, che prevede interventi che spaziano dal regime autorizzatorio per le attività spaziali alla sostenibilità ambientale passando per una riforma della governance europea dello spazio.
Come si intuisce dalla base giuridica utilizzata – l’articolo 114 TFUE relativo all’armonizzazione delle legislazioni nazionali per garantire il funzionamento del mercato interno – l’obiettivo principale del regolamento è di procedere alla creazione di un mercato interno all’Unione per il settore spaziale, facendo eco a quanto indicato da Draghi nel suo rapporto sulla competitività. Sebbene si tratti di una prassi consolidata da parte dell’Unione, che in questo caso trova una giustificazione nella natura trasversale del settore, l’utilizzo di questo fondamento giuridico potrebbe riaprire il dibattito iniziato nel 2023 relativo alla modifica dei Trattati e in particolare dell’articolo 189 TFUE – che proibisce all’Unione di procedere all’armonizzazione di norme degli Stati membri – al fine di definire con maggior chiarezza la competenza dell’Unione con riguardo alle attività spaziali.
Come preannunciato nei diversi documenti preparatori alla proposta di regolamento, l’iniziativa si articola su tre pilastri principali: sicurezza (safety), resilienza (resilience) e sostenibilità ambientale (sustainability). Questi tre elementi sono fondamentali per garantire la futura creazione del mercato interno per lo spazio e, soprattutto, la competitività dell’industria spaziale europea. Inoltre, le norme andranno a completare alcune normative già in vigore, come in ambito di cybersecurity. Le direttive NIS2 e CER garantiscono la resilienza delle infrastrutture terrestri che supportano i servizi spaziali, per cui lo Space Act andrà a colmare il vuoto normativo riguardante il segmento nello spazio, istituendo anche una rete europea di resilienza (EUSRN) per il coordinamento in caso di incidenti significativi.
Con riguardo al testo, il primo blocco di norme riguarda dunque l’autorizzazione e la registrazione degli operatori spaziali, mediante la creazione di un registro ad hoc, lo Union Register for Space Objects (URSO). Si tratta di una disciplina che si applica sia agli operatori dei Paesi membri, con meccanismi di riconoscimento automatico delle autorizzazioni rilasciate dalle autorità nazionali, sia a quelli dei Paesi terzi che operano nell’Unione. Quest’ultimi devono rispettare gli standard tecnici previste dal regolamento, prevedere dei sistemi anticollisione ed essere registrati all’interno dell’URSO. Questa misura riguarda soprattutto il colosso statunitense SpaceX che con la sua costellazione Starlink dispone di quasi 8mila satelliti in orbita LEO. Le disposizioni del regolamento, inoltre, si applicano anche alle organizzazioni internazionali, tra cui l’ESA e EUMETSAT, e richiederanno un accordo specifico per la loro corretta attuazione. Infine, viene introdotta un’autorizzazione unica per le costellazioni lanciate da operatori europei. Questa disposizione permette di ridurre considerevolmente gli oneri amministrativi, favorendo lo sviluppo industriale di costellazioni di satelliti europee.
L’altra novità del regolamento riguarda la governance europea. Al fine di implementare il contenuto del regolamento è previsto un ampliamento del ruolo della Commissione e dell’EUSPA nel settore, soprattutto nella gestione dei programmi di proprietà dell’Unione. Oltre a una riorganizzazione della struttura dell’EUSPA, il regolamento dota entrambi gli enti della facoltà di richiedere informazioni e di poteri di investigazione e d’ispezione – sia nei confronti degli operatori presenti sul territorio dell’Unione che all’esterno, previo rispetto delle condizioni indicate nel testo – quando sono coinvolti gli asset di proprietà dell’Unione. Si tratta di un ulteriore passo verso una governance più accentrata dei progetti spaziali europei, con un’attenzione crescente alla sicurezza e alla sostenibilità delle attività. Resta invece in capo alle agenzie nazionali la responsabilità per i programmi di iniziativa esclusivamente statale.
Sono, infine, previsti numerosi requisiti tecnici, che andranno a definire uno standard europeo su safety, resilienza e impatto ambientale. I fornitori di servizi spaziali dovranno calcolare e dichiarare l’impronta ambientale delle loro missioni (Environmental Footprint), basandosi su metodologie specifiche, aprendo la strada a una finanza sostenibile anche nel settore spaziale. Il regolamento, infatti, dovrebbe applicarsi dal 1° gennaio 2030, lasciando un certo lasso di tempo per l’adeguamento alle norme. Tuttavia, il testo – che seguirà la procedura legislativa ordinaria – passa ora nelle mani del Consiglio e del Parlamento europeo, lasciando spazio a emendamenti al suo contenuto.
Costi oggi, benefici domani?
La creazione di una prima legge europea per lo spazio rappresenta certamente un passo in avanti per l’autonomia strategica dell’Unione. Tuttavia, una delle principali preoccupazioni da un punto di vista industriale riguarda il potenziale costo da sostenere dalle aziende per adeguarsi ai requisiti tecnici. Questo aspetto era già stato sollevato durante le consultazioni preparatorie, in cui l’ASD-Eurospace – l’Associazione europea delle industrie aerospaziali – sottolinea, nell’accogliere positivamente l’iniziativa, che questa non deve comportare costi aggiuntivi per le imprese europee.
Tuttavia, nella sezione dedicata all’impatto economico della proposta di regolamento, viene indicato che per il settore privato l’iniziativa comporterà costi aggiuntivi: costi di produzione aggiuntivi stimati al 10% per gli operatori satellitari; da 1,5 milioni di euro per le grandi aziende a 200mila euro per le PMI per i produttori di lanciatori pesanti (come l’Ariane 6); 10% del budget IT per i costi associati alla gestione dei rischi; infine, circa 100mila euro per i requisiti necessari alle autorizzazioni.
D’altra parte, nel lungo periodo i benefici stimati saranno considerevoli: l’autorizzazione unica per le costellazioni permetterà un risparmio pari a 68 milioni di euro nel prossimo decennio; i maggiori standard legati alla cybersicurezza permetteranno un risparmio pari a 320 milioni all’anno; infine, l’allungamento della vita dei satelliti in orbita bassa da 5 a 6 anni ha un impatto annuo pari a 1,3 miliardi.
Si tratta, dunque, di uno sforzo considerevole nel breve periodo, che tuttavia mostrerà numerosi benefici con un orizzonte temporale maggiore. Per far fronte a questi costi iniziali e per promuovere ulteriormente la competitività della base industriale, l’Unione dovrà quindi accompagnare queste misure con maggiori investimenti e con una riforma del processo di procurement. In questo senso si pone il Competitiveness Fund, che sarà presentato a breve dalla Commissione europea, con ulteriori incentivi per il settore spaziale – anche se sarà necessario comprendere la forma che prenderanno. Inoltre, sarà fondamentale il prossimo Quadro finanziario pluriennale, nel quale il settore spaziale dovrebbe essere dotato di maggiori fondi, vista anche la sempre maggior interconnessione tra le infrastrutture spaziali e quelle legate alla difesa.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link