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una legge pioniera per l’Europa


La Francia ha deciso di dare una scossa all’industria della moda con una legge pioniera anti fast fashion, approvata nel 2025. L’obiettivo? Rallentare la corsa sfrenata all’usa-e-getta e spingere produttori e consumatori verso scelte più sostenibili. Etichette ambientali obbligatorie, tasse aggiuntive per le aziende ad alto impatto e limiti alla pubblicità aggressiva sono solo alcune delle misure con cui Parigi punta a cambiare le regole del gioco.

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Mentre la Francia accelera il passo e l’Unione europea lavora a nuove norme comuni, resta da chiedersi: anche l’Italia, terra d’eccellenza per moda e artigianato, saprà fare della sostenibilità un punto di forza del proprio sistema moda?

Cosa prevede la nuova legge della Francia anti fast fashion

La Francia è il primo paese al mondo a promuovere una nuova legge anti fast fashion. Approvata al Senato il 10 giugno con 337 voti favorevoli e un solo contrario, la nuova normativa introduce misure stringenti contro il modello ultra-effimero che caratterizza molte grandi piattaforme di e-commerce globali. Il testo, presentato dalla deputata Anne-Cécile Violland e definito “ambizioso” dalla ministra della Transizione ecologica Agnès Pannier-Runacher, era già stato approvato un anno fa dall’Assemblea Nazionale e ora passerà a una commissione mista per l’approvazione definitiva attesa in autunno.

Tra le principali novità:

  • eco-score obbligatorio: ogni capo dovrà riportare un indicatore sull’impatto ambientale (emissioni, consumo di risorse, riciclabilità);
  • tassa ambientale progressiva: da 5 euro per articolo nel 2025 fino a 10 euro nel 2030 per i prodotti con basso punteggio ambientale (con un tetto del 50% del prezzo finale);
  • divieto di pubblicità per i brand che adottano modelli di moda ultra-veloce, con sanzioni anche per gli influencer che li promuovono online;
  • tassa da 2 a 4 euro su pacchi spediti da aziende con sede fuori dall’UE, come Shein e Temu;
  • obbligo per le piattaforme online di fornire informazioni ambientali sui prodotti venduti.

Il principio guida è semplice: chi inquina di più, paga di più. E chi promuove scelte sostenibili, viene premiato. Non è la prima volta che Parigi si distingue su questi temi. Già nel 2020, la Francia fu il primo Paese a vietare la distruzione di capi invenduti, obbligando alla donazione o al riciclo. Ora, con questa legge, si alza ulteriormente l’asticella e si manda un segnale forte a livello europeo. Con queste misure, la Francia punta non solo a ridurre l’inquinamento, ma anche a contrastare le distorsioni economiche che penalizzano i produttori europei a favore di colossi internazionali.

Un segnale per l’Europa e per l’Italia

La legge francese arriva in un momento importante: l’Unione Europea sta lavorando a una strategia per il tessile sostenibile, presentata nel 2022 e attualmente in fase di implementazione. L’obiettivo dell’UE è chiaro: fare in modo che, entro il 2030, tutti i prodotti tessili immessi sul mercato europeo siano durevoli, riparabili, riciclabili e realizzati nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani.

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E l’Italia? Il nostro Paese è leader nella moda, ma anche in molte filiere artigianali e di eccellenza che già operano in modo etico. Tuttavia, l’assenza di una normativa nazionale specifica sul fast fashion lascia un vuoto da colmare. Alcuni segnali incoraggianti arrivano da piccole e medie imprese, start-up circolari, e da iniziative locali legate al riciclo e al riuso.

Il distretto pratese, ad esempio, è da anni un caso studio europeo per l’economia circolare nel tessile, mentre brand emergenti come Rifò, WRÅD o Eticlò stanno guadagnando visibilità puntando sulla moda sostenibile e su materiali rigenerati, trasparenza e produzione a chilometro zero.

Fast fashion, un problema ambientale e culturale

Il fast fashion non è solo un tema ecologico. È anche una questione culturale. Ogni anno, secondo l’UNEP (United Nations Environment Programm), vengono prodotti oltre 100 miliardi di capi d’abbigliamento. Il 60% finisce in discarica entro dodici mesi. Un modello insostenibile che ha effetti sociali devastanti, tra sfruttamento del lavoro, condizioni precarie e montagne di rifiuti tessili esportati nei Paesi del Sud del mondo. Secondo il Circularity Gap Report 2025, solo l’8,6% dell’economia mondiale è circolare. La moda, con le sue filiere globali e le sue contraddizioni, è al centro di questa crisi.

Ogni secondo, in Francia, vengono scartati 35 capi d’abbigliamento. Nel solo 2023, il valore del fast fashion nel Paese è salito a 3,2 miliardi di euro. Numeri che raccontano di una spirale difficile da fermare. Eppure, il cambiamento è possibile. Serve una nuova narrazione, che parli di moda non come tendenza, ma come espressione culturale, sostenibile e responsabile. Serve educazione nelle scuole, trasparenza nei brand, responsabilità nei consumi. E serve anche il coraggio di prendere decisioni politiche come ha fatto la Francia.

La legge francese è un atto politico, ma anche un messaggio culturale: la moda non può più basarsi sull’eccesso e sulla superficialità. Deve tornare a essere creatività, qualità e responsabilità. Non è solo una sfida economica, ma un’opportunità per valorizzare modelli produttivi più giusti e per restituire alla moda la sua dignità culturale.





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