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Dazi, crisi e opportunità, Basile: l’Italia deve guidare nuovo patto industriale


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Il presidente Ance Benevento: “Serve costruzione. Serve industria”

Benevento.  

Parte dai Dazi annunciati in Ameria,  attraversa l’Europa e arriva fino al Sannio. Parla di industria, di territorio, di nuove sfide e di opportunità Flavian Basile, presidente Ance di Benevento. Una lunga analisi quella proposta oggi dall’esponente dei costruttori sanniti, che rivolge particolare attenzione al mondo delle imprese e soprattutto alle imprese del Mezzogiorno.

“I dazi annunciati dall’amministrazione statunitense – fino al 30% su beni europei – non rappresentano soltanto un ostacolo commerciale. Sono il sintomo di una transizione geopolitica più profonda, in cui la globalizzazione cambia pelle e le catene del valore si ricompongono secondo logiche di prossimità, sicurezza e controllo strategico. Se l’America tutela i propri interessi economici e industriali con strumenti

assertivi, l’Europa non può più limitarsi a rispondere per riflesso.
Deve tornare a credere nella propria autonomia produttiva. Deve fare industria. E l’Italia deve avere il coraggio di assumerne la guida.

In questo scenario, il sistema produttivo non può più aspettare soluzioni esterne o invocare compensazioni. Deve proporre, orientare, costruire. Chi conosce la fatica quotidiana dell’impresa, chi vive la complessità dei mercati, chi difende posti di lavoro reali e valore aggiunto reale, ha il dovere di indicare una traiettoria. Con lucidità, con concretezza, con responsabilità”.

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Il Sannio industriale, paradigma di un’Italia che non si arrende

“Il Sannio e altri territori del Mezzogiorno rappresentano oggi l’esempio più nitido di una capacità produttiva che, pur operando in condizioni spesso più difficili, continua a investire, innovare, esportare. Sono aree che, lontane dai riflettori, hanno saputo tenere viva una manifattura solida, un’agroindustria competitiva, un’edilizia rigenerativa connessa alla logistica e alla transizione ecologica.

Qui la reazione alla crisi è diventata visione. L’assenza di grandi poli industriali è stata trasformata in rete di competenze diffuse. Il limite è diventato leva. E proprio da qui può partire un nuovo paradigma industriale per il Paese. Non un messaggio localistico, ma una traiettoria nazionale che si nutre della resilienza e della concretezza di chi produce valore reale. Una traiettoria che oggi va tradotta in strategia strutturale, capace di generare politica industriale vera”.

Una piattaforma euro-mediterranea per la produzione strategica

“Il primo asse su cui fondare una nuova politica industriale riguarda il Mediterraneo -prosegue Basile – che deve tornare a essere spazio produttivo condiviso. Il concetto di autonomia strategica, oggi evocato con frequenza, va trasformato in infrastruttura concreta. Serve una piattaforma produttiva che integri Europa del Sud e Nord Africa in un sistema industriale coordinato. Non solo accordi commerciali, ma insediamenti produttivi congiunti, distretti transnazionali, trasferimento tecnologico bilaterale, filiere integrate.

L’Unione per il Mediterraneo, che riunisce 43 Paesi e ha avviato oltre 50 progetti multilaterali, può diventare il perno di questa trasformazione. Secondo la Commissione Europea, una maggiore integrazione industriale euro-mediterranea potrebbe generare oltre 10 miliardi di euro di valore aggiunto entro cinque anni, in particolare nei settori agroalimentare, manifatturiero e green-tech (UfM Annual Report 2023). È su questa direttrice che va inquadrato anche il Piano Mattei, che non può limitarsi a forniture energetiche, ma

deve diventare un piano industriale congiunto: un ponte produttivo, non solo geopolitico.

L’Italia ha tutto per assumere questo ruolo. E oggi più che mai ha il dovere di farlo, ponendosi come hub europeo delle relazioni produttive nel Mediterraneo.

Un corridoio logistico tra Sud e Nord per la competitività dell’impresa

“Il secondo asse è quello logistico. Oggi un prodotto italiano può scontare fino al 30% del proprio prezzofinale in costi di trasporto e movimentazione, un gap che penalizza soprattutto le imprese del Mezzogiorno e delle aree interne. In un mercato globale in cui la competitività si misura sulla velocità, l’efficienza e la sostenibilità dei collegamenti, questa criticità va affrontata come una priorità strategica.

Va realizzato un corridoio logistico industriale tra Salerno e Verona, capace di integrare asse ferroviario (TEN-T), porti digitalizzati, interporti connessi e dogane automatizzate. I Fast Corridor, già attivi nei principali porti italiani, hanno dimostrato di poter ridurre fino al 30% i tempi di sdoganamento (Agenzia delle Dogane, 2023). Questo modello va reso strutturale e armonizzato su scala nazionale.

Allo stesso tempo, le Zone Logistiche Semplificate vanno potenziate, armonizzate con il diritto comunitario, e rese realmente attrattive per chi investe in filiere produttive e infrastrutture. Una logistica efficiente non è solo un fattore tecnico: è una leva competitiva per l’industria, una condizione per attrarre investimenti, una scelta di politica economica”.

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Un patto fiscale e normativo europeo per chi sceglie di produrre

Il terzo asse è quello fiscale e normativo. Oggi, chi produce in Italia sostiene un carico fiscale e contributivo tra i più alti d’Europa: oltre il 65% del reddito d’impresa, contro una media del 45% tra i partner europei (fonte: Commissione UE – Taxation Trends 2024). Questa sproporzione, che penalizza chi crea valore reale, deve essere superata.

L’Europa deve tornare a premiare il lavoro produttivo, gli investimenti in innovazione, la scelta di internalizzare competenze. Non attraverso incentivi occasionali, ma con un patto strutturale. Esistono già strumenti normativi efficaci, come l’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che consente regimi selettivi nelle aree svantaggiate, o l’art. 32a della Direttiva IVA, che prevede aliquote ridotte per i beni strumentali produttivi.

Le zone economiche speciali

Le Zone Economiche Speciali lo dimostrano: con un quadro normativo chiaro, trasparente e premiante, si possono attivare centinaia di milioni di euro in investimenti industriali e nuova occupazione. Va affermato un principio netto: meno tasse a chi reinveste, più credito a chi forma, più sostegno a chi riporta produzione e innovazione in Europa.

L’industria italiana non può essere lasciata sola. Chi guida il sistema produttivo ha la responsabilità di trasformare la denuncia in proposta, la difficoltà in direzione. Ogni container bloccato dalla nuova ondata di dazi racconta la storia di una filiera che resiste, di un’impresa che non arretra, di un territorio che vuole contribuire alla crescita del Paese.

Ogni ostacolo commerciale è una sfida alla dignità del lavoro e alla sovranità tecnologica. Ogni risposta timida è un’occasione persa per rilanciare il ruolo dell’Italia in Europa. Serve una postura nuova: non difensiva, ma generativa. Non attendista, ma costruttiva. Non frammentata, ma sistemica.

Costruire il futuro industriale dell’Europa, a partire dall’Italia

Non si tratta di difendere un passato, ma di costruire un futuro. L’industria non è una rendita, è una responsabilità. Una leva che tiene insieme competitività, coesione e identità economica.

Da territori come Benevento può partire una proposta industriale solida, replicabile, capace di generare effetti moltiplicatori. Una proposta che unisca concretezza e visione, che sappia parlare ai mercati e alle istituzioni, che metta l’Italia al centro del nuovo patto industriale europeo. Ogni crisi è un momento di verità per un sistema economico. Sta alla nostra capacità collettiva trasformarla

in una svolta. E oggi più che mai, non serve attendere segnali dall’alto. Serve diventare noi il segnale.

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