Lo diceva già Leonardo da Vinci, quando tracciava la piantina della Milano sforzesca: là dove sarebbe poi sorta l’Ambrosiana, quello era «il “vero centro” di Milano». Perché lì si trovava il Foro della città romana. Oggi lo ripete, con forza, il segretario generale dell’Ambrosiana, Antonello Grimaldi, che coltiva il sogno di fare nuovamente di questa istituzione il cuore culturale della città. Nei suoi tre anni nell’istituzione milanese, i visitatori sono passati da 60mila a 303.964 (dato del 2024), mentre nei primi cinque mesi del 2025 le presenze registrate sono state 223.712, il 60 per cento in più rispetto all’anno precedente. «Il che, spiega a «Il Giornale dell’Arte» Antonello Grimaldi, fa supporre che quest’anno sfioreremo i 500mila visitatori. Non solo: per il secondo anno consecutivo, il bilancio è in utile. Un fatto tutt’altro che scontato per un’istituzione culturale. Ma qui mi s’impone una domanda».
Quale?
Sarebbe doveroso che tutte le istituzioni culturali e museali rendessero pubbliche le chiusure dei rendiconti finanziari. Per me che, come amo ripetere, sono «un manager prestato alla cultura», è del tutto ovvio, e resto dell’idea che l’Ambrosiana oggi rappresenti la prova lampante che i luoghi della cultura debbano essere gestiti da manager. I risultati lo provano, sebbene io non mi accontenti mai. Si può sempre fare di più e meglio, soprattutto se ci si mette la passione, un valore aggiunto che io ritengo indispensabile nel nostro lavoro e che metto in atto costantemente. La mia grande ambizione è che l’Ambrosiana riconquisti il suo ruolo centrale a Milano (è il più antico museo della città!) perché se in passato è stata una tappa ineludibile del Grand Tour, in seguito, per lungo tempo i milanesi stessi stentavano a riconoscerla. Questa la ragione per cui ho voluto sulla facciata i grandi stendardi su cui sono riprodotti i capolavori della Pinacoteca, in modo che chiunque passi, possa capire quali tesori vi sono conservati. Comunicare sempre più e sempre meglio è uno degli obiettivi che mi pongo.
Quali sono gli strumenti per raggiungere questo obiettivo?
Penso ai pannelli introduttivi in ogni sala, alle didascalie ben illuminate e ai supporti tecnologici, che non devono sostituirsi alla visione dell’opera ma devono consentire di approfondirne la conoscenza, i dettagli, le storie che ognuna porta in sé. È ciò che abbiamo fatto, grazie a Intesa Sanpaolo, nella Sala dei Fiamminghi appena riallestita, dove c’è una postazione interattiva pensata proprio a questo scopo. A ottobre avremo un nuovo sito, ancora più intuitivo e immediato, quindi più fruibile dal pubblico e il podcast sarà arricchito con nuovi contenuti. L’Ambrosiana che sogno deve rispondere in modo semplice e immediato a ogni visitatore, qualunque sia la sua preparazione, la sua provenienza, la sua cultura. Perché la crescita dei numeri è importante ma non sufficiente: il mio auspicio è che l’Ambrosiana torni a essere un polo culturale non elitario e non autoreferenziale, così come era nella mente del fondatore, il cardinale Federico Borromeo. Per questo mi auguro una revisione statutaria che meglio specifichi la governance dualistica che vige in Ambrosiana.
Questa sarebbe una novità radicale: oggi esistono il Collegio dei Dottori (la componente ecclesiastica, degli studiosi) e la Congregazione dei Conservatori (il CdA laico, per così dire), quest’ultima deputata ad assicurare la stabilità patrimoniale e la vita amministrativa dell’Ambrosiana. Che cosa dovrebbe cambiare a suo parere?
Questa governance aveva senso al tempo del fondatore. Parliamo di oltre 400 anni fa. Nel diritto societario le governance dualistiche sono state un fallimento. Ritengo che tale sistema, se deve permanere, vada meglio definito: chi ha le responsabilità in ogni ambito deve avere anche la piena titolarità nella gestione delle attività all’interno del museo. Ovviamente, con questa mia proposta, cerco il dialogo e il dibattito.
Altri progetti?
Tanti. Innanzitutto continuare il dialogo con l’arte contemporanea: a settembre avremo il giovane Pietro Terzini (1990), con una mostra di cui sarò il cocuratore; a novembre Nicola Samorì, a gennaio frate Sidival Fila creerà un’opera in dialogo con il «Cartone della Scuola d’Atene» di Raffaello. Cui si aggiungerà, a ottobre, la nuova mostra sul Giubileo. E poi auspico di poter riaprire e rendere fruibile entro un paio d’anni, in accordo con la Soprintendenza, il Foro romano che si trova proprio sotto di noi. Avrei poi un’altra proposta che a mio parere potrebbe giovare alla città di Milano.
Quale proposta?
A Milano manca una cabina di regia culturale. Ci sono giorni in cui inaugurano contemporaneamente tre mostre importanti: perché non coordinarci? E perché non fare un biglietto unico, totale, per tutti i luoghi della cultura milanese? Parlo di una sorta di «Milan pass», che renda più funzionale per visitatori e turisti la fruizione dei luoghi di cultura della città.
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