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Alimentare, meccanica e moda. A rischiare è l’Italia delle pmi


I dazi del 30% sull’import dall’Ue annunciati dall’amministrazione Trump pongono l’Italia al centro di un potenziale uragano economico. A essere colpite, infatti, saranno molte delle filiere che costituiscono la spina dorsale del Made in Italy: dall’agroalimentare alla meccanica, dalla componentistica per l’automotive all’occhialeria, fino alla farmaceutica e all’elettronica.

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L’impatto non si rifletterà solo sui grandi nomi, ma anche su quel tessuto produttivo fatto di pmi che rappresenta l’ossatura industriale ed economica del Paese. Le associazioni di categoria lanciano l’allarme, mentre il governo e l’Europa si trovano a dover rispondere con fermezza a una misura che viene percepita come ingiustificata.

Il settore più immediatamente esposto è l’agroalimentare, che guarda al mercato americano come uno dei principali sbocchi per le sue eccellenze certificate. Mozzarella di bufala, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, olio d’oliva, vini Dop e Igp, prosciutti, salumi, liquori e dolci tipici rischiano di finire sotto scacco. Il vino italiano è in prima linea. Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato mondiale con un fatturato di 1,9 miliardi di euro nel 2024. “Chianti, Amarone, Barbera, Friulano, Ribolla, Prosecco: sono i nomi simbolo che rischiano di pagare il prezzo più alto”, osserva la Cia. Il pecorino romano, prodotto per il 90% in Sardegna, vede nel mercato Usa il destinatario del 57% delle sue esportazioni: “Con i dazi, rischiamo di perdere il nostro principale cliente, sostituito nei supermercati americani da prodotti alternativi più convenienti”, avverte l’associazione.

“Una misura gravissima e ingiustificata, che penalizza non solo i produttori europei, ma anche gli operatori economici americani che fanno parte integrante della nostra filiera commerciale”, ha dichiarato Giacomo Ponti, presidente di Federvini. Il comparto delle denominazioni Dop e Igp è uno dei più esposti. Gli Usa assorbono il 25% dell’export totale di questi prodotti, pari a quasi 3 miliardi di euro. Secondo Origin Italia, “gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato extra-Ue per le produzioni certificate italiane. Un patrimonio messo ora a rischio da scelte unilaterali che rompono un equilibrio costruito su fiducia e cooperazione”.

Ma a tremare non è solo il food. Dalla meccanica alla componentistica auto, dall’ottica alla farmaceutica, l’onda lunga dei dazi minaccia le aree più industrializzate del Paese. “Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di riferimento per il sistema delle imprese italiane, con una quota del 10,4% dell’export, alla pari con la Germania”, spiega Dario Costantini, presidente Cna. “Ma se ci concentriamo sulle pmi, la quota sale al 14%, e in Piemonte addirittura oltre: basti pensare al peso di materiali e macchinari destinati al settore automotive Usa”, osserva.

Preoccupazione forte anche nel Nord-Est, dove l’occhialeria è uno dei comparti simbolo. Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti e di Anfao, non nasconde il timore. “Il nostro territorio è fortemente esposto. I dazi rappresenterebbero un colpo duro per tutto il sistema produttivo bellunese, non solo per l’occhialeria ma anche per l’intera filiera industriale che guarda con determinazione ai mercati esteri”, ha dichiarato.

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“Il rallentamento della crescita e i possibili effetti sull’occupazione rischiano di riflettersi anche sui consumi, con una riduzione della spesa delle famiglie di 11,9 miliardi in due anni”, avverte Confesercenti.

Secondo il centro studi di Unimpresa, invece, l’impatto dei dazi sull’economia italiana sarà limitato. “Solo un terzo delle imprese esporta negli Usa, circa 34.000 aziende, e oltre il 50% del valore esportato è generato da imprese strutturate con più di 250 addetti, quindi più capaci di assorbire gli choc”, osserva.



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