E’ molto probabile che alla fine della trattativa con la Ue avremo liquidato l’annuncio di dazi al 30% come l’ennesima “sparata” di Donald Trump, dicono le imprese in queste ore a bassa voce. Dietro gli allarmi sulla stangata «inaccettabile» e i numeri drammatici dei possibili danni snocciolati uno a uno dai settori più esposti all’export Usa – dai macchinari alla farmaceutica, dall’alimentare all’agroalimentare, dall’auto ai metalli di base – c’è infatti la speranza della trattativa Ue. E che quindi si arriverà alla fine a dazi accettabili, magari accompagnati da compensazioni Ue. Perché far pagare una tassa così alta sui macchinari pieni di tecnologia made in Italy, sulla componentistica o sulle piastrelle artigianali italiane, significa dare un taglio secco alle esportazioni verso gli Stati Uniti. Tagliare di fatto fuori dal mercato Usa migliaia di imprese. E tra queste soprattutto le Pmi che mai riuscirebbero, anche volendo, aprire una fabbrica negli States. Possono resistere prodotti di alta qualità, come il Grana Padano, che pure rischia di essere pagato 10 dollari in più al chilo, ma il calo generale delle vendite in territorio americano sarebbe inevitabile. Senza contare la tassa occulta già in vigore con la svalutazione del dollaro che sta già erodendo i margini delle aziende. Tra gli effetti a catena, c’è poi la nuova pressione da arginare di prodotti in arrivo da altri Paesi come Cina e India, a loro volta danneggiati da Trump. Certo, la qualità italiana è un’altra cosa. Ma questo non cancella le stime. L’Italia può pagare fino a 35 miliardi di export per la Cgia di Mestre. Mentre proiettando la simulazione fatta dal Centro studi di Confindustria sul 10% al 30% si arriva a circa 50 miliardi.
I MACCHINARI
Macchinari, macchine utensili speciali e delle automazioni per l’industria, rappresenta un mercato in cui l’Italia puòcontare su un particolare vantaggio competitivo verso gli Usa. E non a caso quello americano costituisce per le nostre imprese il primo mercato di sbocco, avendo ormai superato nei volumi la Cina e la Germania. Ebbene è su questo comparto che pesano i rischi maggiori. Il Centro studi di Confindustria aveva ipotizzato un impatto da 3,3 miliardi, in caso di dazi al 10% unito alla svalutazione del dollaro. Questo vuol dire che il fardello può sfiorare i 10 miliardi con un possibile dazio triplicato rispetto al 10%. Attenzione, dicono le imprese: non esiste una concorrenza locale tecnologicamente al nostro livello. Portiamo Oltreoceano macchinari e innovazione di cui l’ industria Usa ha bisogno. Come possa farne a meno è tutto da vedere.
L’AUTOMOTIVE
I numeri parlano chiaro. Nel 2024 l’Europa ha esportato verso gli Usa un valore pari a circa 39 miliardi. Ma nella partita dei dazi rischia di fare la sua parte anche l’Italia , visto che stando ai dati Anfia il nostro Pese esporta direttamente verso gli Stati Uniti oltre 4 miliardi in vetture e componenti. Cifre che descrivono una bilancia commerciale attiva per 3 miliardi grazie alla presenza di Stellantis che opera anche negli Usa. Il mercato della componentistica diretta ammonta a 1,2 miliardi ed è già colpito da dazi all’importazione al 25%, anche se attenuati da un meccanismo di rimborsi che permette ai costruttori Usa di limitare i danni. Di fatto, però, la componentistica italiana fa riferimento al mercato dell’auto tedesco, primo destinatario delle forniture. L’export totale del settore vale 25 miliardi. E secondo su 16 milioni di veicoli leggeri venduti in Usa, circa 6 milioni sono stati importati da paesi ora soggetti a dazi.
L’AGRICOLTURA
L’agroalimentare può essere tra i più colpiti, soprattutto italiano e francese. Coldiretti parla di una “mazzata” per il Made in Italy: con i nuovi dazi, i rincari arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini e al 42%per conserve e marmellate. Anche la viticoltura francese lancia l’allarme: gli Usa sono il primo mercato estero, con esportazioni per 3,8 miliardi nel 2024. Secondo una stima Coldiretti i dazi al 30% sui prodotti europei potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro. Al danno immediato in termini di un probabile calo delle esportazioni andrebbe ad aggiungersi alla mancata crescita, con il cibo Made in Italy in Usa che quest’anno puntava a superare i 9 miliardi. Il Codans vede però un aumento indiretto dei prezzi anche per le famiglie italiane con un conto da 4,23 miliardi.
Dazi al 30% sui prodotti venduti in Usa dal 1° agosto «potrebbero pesare per oltre 4 miliardi per il settore farmaceutico italiano, considerando la svalutazione attuale del dollaro». La stima è del presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, che però rimane fiducioso rispetto al lavoro diplomatico dell’Ue e del governo italiano: «Siamo convinti che la negoziazione del commissario Maros Sefcovic arriverà ad un risultato positivo rispetto a smentite e annunci, che abbiamo registrato in questi mesi arrivare dagli Usa». I prodotti farmaceutici rappresentano la principale voce dell’export Ue verso gli Stati Uniti, pari al 22,5% del totale nel 2024. Alcune aziende per la verità hanno già negli anni scorsi iniziato a rafforzare la produzione in Usa, mentre chiedono all’Ue una semplificazione delle regole per restare competitive in un contesto sempre più instabile.
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