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L’interventismo economico del governo Meloni, e un classico caso di omicidio-suicidio


La sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso di UniCredit contro l’utilizzo del golden power da parte del governo sull’acquisizione di Banco Bpm certifica lo scenario di totale confusione nel quale è entrata l’economia italiana riguardo alle grandi operazioni di fusione e acquisizione. Qui, non si vuole entrare nel merito dell’operazione finanziaria lanciata da UniCredit né sulle conseguenze che l’acquisizione del Banco Bpm avrebbe sul tessuto industriale del Nord Italia. Qui, il punto è la protervia interventista del governo Meloni sugli affari privati delle aziende italiane.

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Il governo Draghi estese a praticamente tutti i settori industriali e finanziari la norma per cui, in caso di minaccia alla sicurezza nazionale, il governo può intervenire per impedire o limitare il cambio del controllo di un’azienda italiana. Nessuno ebbe a obiettare nulla, e giustamente, perché lo spirito della norma era chiaro: evitare che un’azienda italiana rilevante potesse essere acquisita da un’azienda di un Paese potenzialmente in grado di minacciare la sicurezza nazionale.

Il governo Meloni non ha creduto ai propri occhi quando, cambiando la parola «sicurezza» con quella «interesse» (passando quindi da un approccio reattivo a uno proattivo), si è trovato tra le mani lo strumento più dirigista che neppure un Fausto Bertinotti all’apice del consenso si sarebbe mai sognato di chiedere: decidere a piacere chi può comprare cosa, soprattutto su aziende private dove il governo non ha una partecipazione. Si vedrà nel tempo, quali danni porterà questa ingerenza politica nell’economia, ma sappiamo già che le esperienze passate non promettono niente di buono.

La sentenza del Tar del Lazio, a leggere i giornali del giorno dopo, avrebbe bocciato due delle quattro prescrizioni del governo a UniCredit (quanti soldi devono essere prestati obbligatoriamente in proporzione ai depositi; e quanti devono essere destinati a progetti di aziende e start-up), lasciando in vita gli altri due (uscita accelerata dalla Russia; e livello di acquisti di buoni del Tesoro da parte di Anima, una società di raccolta del risparmio posseduta da Banco Bpm, il target di UniCredit). In una durissima nota emessa ieri, la banca guidata da Andrea Orcel fa sapere che in realtà anche sugli altri due il Tar avrebbe di fatto modificato le intenzioni del governo.

Mistero che si aggiunge a confusione. In attesa di capire fino in fondo cosa accadrà quando tutte le autorità si saranno espresse, questa storia del golden power appare un classico caso di omicidio-suicidio. Omicidio perché, se alla fine avesse ragione il governo, molto probabilmente UniCredit sarà costretta a rinunciare alla tanto agognata Ops su Banco Bpm.

Suicidio perché, se ciò avvenisse, verrebbero immediatamente meno le altre due prescrizioni, in quanto verrebbe meno l’offerta pubblica di scambio. Quindi, se UniCredit rinunciasse all’Ops, potrebbe non uscire dalla Russia secondo i dettami del governo, e Anima sarebbe libera di vendere tutti i titoli di Stato italiani come e quando vuole, anche domani.

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A prescindere dall’operazione finanziaria in sé, e tenendo conto delle buone ragioni del Banco Bpm che correttamente difende il suo specifico business con le piccole e medie imprese del Nord, l’intervento del governo Meloni ha trasformato l’istituto del golden power. Non era per questi motivi che era stato istituito da Mario Draghi (del resto, uno degli esponenti più pro libero mercato che l’Italia abbia mai avuto), invece era esattamente questo ciò che il governo voleva: dire sì o no in base alla propria preferenza di chi deve possedere cosa, e non difendere la sicurezza nazionale.

Lo certifica in modo plastico la dichiarazione rilasciata dal Ministero dell’Economia, che sembra presa dal copione di una commedia all’italiana anni Cinquanta. Il Mef si è affrettato a far sapere in modo trionfalistico che la sentenza del Tar gli ha dato ragione, malgrado, come abbiamo visto, abbia bocciato metà del provvedimento. E fin qui siamo alle dichiarazioni buone per la campagna elettorale, tipo «abbiamo abolito la povertà».

Triste, ma fa parte del gioco (in realtà il Mef voleva sottolineare la legittimità generale del golden power come strumento, non negata dal Tar, avendo davanti a sé la minaccia concreta di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea). Il problema è che appena il giorno prima, all’assemblea dell’Associazione delle banche italiane (Abi), il ministro Giancarlo Giorgetti era stato categorico nel dire che il mestiere delle banche è quello di prestare soldi alle imprese, e che questo avviene sempre meno e che le cose devono cambiare, esattamente come vuole fare lui con il decreto golden power su UniCredit. Zàcchete, manco il tempo di dirlo e il Tar ha bocciato proprio la parte sul finanziamento alle imprese.

Ma poi c’è la parte che svela la verità: con la sentenza del tribunale amministrativo, ha detto il Mef, si riconosce che «la sicurezza economica» fa parte della «sicurezza nazionale». Già era difficile codificare la sicurezza nazionale, figuriamoci quella economica. Per tutti gli italiani, sicurezza economica vorrebbe dire arrivare alla fine del mese, poter risparmiare e guadagnare sui propri risparmi, dare ai propri figli la possibilità di una vita migliore. Ma che c’entra tutto questo con i titoli di Stato che compra Anima? E adesso chi deciderà cosa è davvero «sicurezza economica»?

I chilometri lineari di analisi sul caso UniCredit-Banco Bpm si sarebbero potuti risparmiare se fossero tutte cominciate con la constatazione della realtà: UniCredit è una banca italiana come Banco Bpm, e quindi non c’era alcun bisogno di usare il golden power. Ma viviamo nell’epoca delle verità alternative, e all’improvviso UniCredit non è stata reputata italiana. La verità non alternativa, invece, è chiara, e il Mef l’ha ricordato con la nota stampa di sabato: qui decidiamo noi chi deve fare cosa, e a quali condizioni, a prescindere dall’interesse nazionale, e non a causa dell’interesse nazionale.

L’Aisi, l’autorità italiana per la sicurezza interna, i nostri servizi segreti, sono attivamente coinvolti nel processo del golden power, e chissà come valuteranno quello che tutti sanno essere l’obiettivo finale del risiko bancario in corso: consegnare le Assicurazioni Generali al controllo di un imprenditore privato ritenuto dal governo amico e affidabile. Questo va bene per «la sicurezza economica» del Paese?

Palazzo Chigi ha avocato a sé il potere finale di decidere, e con questo golden power senza limiti (a parte il Tar e forse l’Unione europea) ha ricreato un super ministero delle Partecipazioni Statali e Influenze Private che tutto vuole decidere e tutto vuole indirizzare. Senonché gravity always wins, come si impara a scuola: la legge di gravità vince sempre.

Quindi, il governo dirigista scoprirà presto che, qualora gli spread invertissero la rotta e il debito italiano dovesse tornare sotto pressione, non potrà far comprare tutti i titoli di Stato ad aziende italiane in nome del patriottismo; scoprirà anche che il regolatore italiano ed europeo ha delle regole da seguire sulla salute dello stato patrimoniale delle società, che travalicano la «sicurezza economica» (sic); capirà che il Banco Bpm, il Monte dei Paschi e domani le Generali non potranno comprare aziende decotte a comando del potere politico o partecipare a faraonici progetti patriottici che non abbiano un chiaro ritorno economico (ricordate i famigerati prestiti Non-Performing Loans  che misero a grave rischio la tenuta delle banche e fecero perdere miliardi ai risparmiatori e alle stesse banche?).

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Il governo Meloni lo imparerà tardi, e speriamo che non siano già stati fatti troppi danni, anche se in realtà dovrebbe saperlo già adesso: se il governo vuole che i risparmi degli italiani (leggere bene: degli italiani, non dell’Italia o del governo italiano) restino in Italia, deve creare occasioni di investimento sicure e profittevoli, non chiedere alle banche e alle assicurazioni di versare l’oro alla patria.

Il governo funziona se agisce sull’offerta di occasioni di investimento. Se invece intende agire sulla domanda, decidendo dove mettere i soldi dei risparmiatori, farà dei danni, senza ottenere i risultati sperati. Il classico caso di omicidio-suicidio.



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