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privatizzare le aziende pubbliche per ridurre il debito


Il governo del Kenya ha lanciato un programma di privatizzazione che punta a ristrutturare radicalmente il ruolo dello Stato nell’economia, aprendo le porte alla partecipazione del settore privato in alcune delle principali aziende pubbliche. L’annuncio è stato fatto dal presidente William Ruto nel corso di un intervento istituzionale tenuto alla Borsa di Londra, occasione in cui ha illustrato un piano articolato per attrarre capitali, alleggerire la pressione del debito pubblico e rafforzare i mercati finanziari interni. L’iniziativa prevede che i primi asset a essere collocati sul mercato siano società strategiche, a partire dalla Kenya Pipeline Company, che sarà quotata alla Borsa di Nairobi entro la fine dell’anno.

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Il piano, strutturato secondo una tempistica definita, ha l’obiettivo di individuare un portafoglio di imprese statali da privatizzare attraverso offerte pubbliche iniziali oppure da rilanciare tramite modelli di partnership con operatori privati. Le autorità keniote ritengono che queste operazioni possano rappresentare un’opportunità concreta per attrarre investitori locali e stranieri, migliorare l’efficienza delle società coinvolte e potenziare il sistema infrastrutturale nazionale.

In questo contesto, la Kenya Pipeline Company è vista come un caso emblematico: un’azienda essenziale per la logistica energetica del Paese, che potrebbe diventare il volano per una nuova stagione di capitalizzazione e trasparenza nel settore pubblico. Ruto ha anche rimarcato l’importanza di modernizzare il Nairobi Securities Exchange, sottolineando come esperienze maturate in contesti come quello britannico possano contribuire a rafforzare le competenze e la credibilità del mercato finanziario keniota.

La scelta di procedere con la dismissione degli asset pubblici si inserisce in un quadro economico caratterizzato da uno spazio fiscale estremamente ristretto, con una difficoltà in aumento nel far fronte agli impegni di bilancio senza ricorrere all’indebitamento estero. Le difficoltà hanno raggiunto il culmine nel 2023, quando un pacchetto di misure fiscali da oltre 2,6 miliardi di dollari è stato ritirato a seguito di un’ondata di proteste popolari: da quel momento, il governo ha avviato una riflessione profonda sulle politiche di finanziamento dello sviluppo e sulla necessità di adottare strumenti di mercato come alternativa strutturale al debito.

Dalle aule di giustizia alla Borsa

La decisione del Kenya di rilanciare il programma di privatizzazioni arriva dopo una serie di ostacoli istituzionali che, nel 2023, ne avevano temporaneamente bloccato l’attuazione: l’Alta Corte del Paese aveva infatti sospeso l’iniziativa giudicando alcune modalità in conflitto con i principi costituzionali, ma il governo, senza abbandonare l’obiettivo, ha riformulato la strategia per rientrare nei parametri normativi previsti. L’attuale rilancio del piano, rivisto nei metodi e nella governance, è finalizzato a garantire maggiore legalità, trasparenza e supervisione istituzionale, elementi ritenuti essenziali per costruire fiducia tra investitori e opinione pubblica.

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Il presidente Ruto ha segnalato con chiarezza che l’obiettivo non è la svendita degli asset pubblici ma la loro valorizzazione strategica, in modo da generare ritorni economici duraturi e condivisi. A rafforzare la credibilità dell’operazione vi sono anche i primi risultati delle cartolarizzazioni già effettuate, attraverso le quali il governo ha raccolto oltre 1,3 miliardi di dollari mediante asset come strade a pedaggio e infrastrutture pubbliche. Alcuni di questi strumenti finanziari, in una seconda fase, verranno quotati anch’essi in Borsa, permettendo l’ingresso di nuovi investitori istituzionali e retail, in una logica di diversificazione e allargamento della base proprietaria.

Il passaggio in Borsa delle ex società pubbliche punta anche a rafforzare la Nairobi Securities Exchange, che negli ultimi anni ha mostrato segnali di debolezza in termini di liquidità e attrattività: le IPO sono quindi viste anche come un’occasione per iniettare nuova fiducia nel sistema dei capitali, migliorare la corporate governance e rilanciare il profilo internazionale del Kenya come destinazione sicura per gli investimenti a lungo termine. Alcuni analisti ritengono che, se gestita con rigore e visione, questa operazione potrebbe fare del Kenya un modello per altri Paesi africani che affrontano sfide simili nella gestione del debito e nella trasformazione delle economie statali in ecosistemi di mercato competitivi.

Un nuovo posizionamento internazionale per il Kenya

Il nuovo corso economico intrapreso da Nairobi non si esaurisce in una serie di riforme tecniche, ma rappresenta un riposizionamento più ampio della nazione nello scenario geopolitico africano e globale. L’intervento del presidente Ruto alla Borsa di Londra è stato carico di significato proprio per la scelta del luogo: un hub finanziario globale da cui trarre ispirazione per aggiornare regole, strumenti e pratiche dei mercati dei capitali kenioti. È in questa cornice che si inserisce anche il richiamo alla necessità di emanciparsi da forme di finanziamento esterne non più ritenute affidabili, come l’assistenza bilaterale a fondo perduto o i programmi internazionali spesso vincolati da condizioni politiche.

Il riferimento esplicito alla cessazione dei fondi USAID da parte dell’amministrazione americana – considerato uno shock istituzionale – è stato letto come un segnale della volontà di puntare sull’autonomia finanziaria e su risorse generate internamente. Le dichiarazioni di Ruto sull’intenzione di affidarsi sempre meno a fondi “che il Paese non può controllare” vanno nella stessa direzione. Parallelamente, l’apertura al capitale privato attraverso l’ingresso in Borsa viene interpretata anche come un tentativo di costruire una reputazione solida, capace di attrarre investimenti diretti esteri senza dipendere esclusivamente dalla diplomazia degli aiuti.

In quest’ottica, la modernizzazione e la creazione di un mercato secondario efficiente non servono solo a vendere titoli, ma a rafforzare la posizione di Nairobi come snodo finanziario per l’Africa orientale, con un modello di sviluppo ibrido che unisce pubblico e privato, locale e globale. Un modello che, se ben gestito, potrebbe stimolare investimenti settoriali anche in ambiti sensibili come sanità, energia, telecomunicazioni e trasporti, contribuendo alla crescita senza ricadere nel debito estero strutturale.

La sfida tra liberalizzazione e tutela dell’interesse pubblico

La strategia di privatizzazione delineata dal governo keniota non può essere letta solo come una misura tecnica per migliorare i conti pubblici, ma come un passaggio politico ben visibile verso una ridefinizione del ruolo dello Stato e delle sue responsabilità economiche. In questo processo, uno degli aspetti più delicati sarà riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra efficienza gestionale e controllo pubblico, tra apertura al mercato e garanzia dei diritti sociali.

 Affidare al capitale privato il futuro di settori strategici, pur garantendo trasparenza e concorrenza, comporta rischi che non possono essere sottovalutati, soprattutto in una fase storica contrassegnata da tensioni sociali, disuguaglianze diffuse e scarsa fiducia nell’establishment: la sfida consisterà nel far sì che le dismissioni non si traducano in una perdita di sovranità economica o in un’esclusione delle fasce più vulnerabili dalla fruizione dei servizi essenziali.

Servirà una regolazione attenta e un controllo istituzionale forte, capace di monitorare non solo i ritorni finanziari ma anche gli impatti sociali delle operazioni. La credibilità del progetto dipenderà dalla capacità del governo di spiegare le scelte, coinvolgere la cittadinanza e garantire che gli introiti generati siano reinvestiti in settori essenziali come l’istruzione, la sanità e le infrastrutture. Solo in questo modo la privatizzazione potrà essere percepita come uno strumento di crescita condivisa e non come una cessione di beni pubblici a vantaggio di pochi. Il successo del piano dipenderà, infine, dalla possibilità di costruire un ecosistema in cui la logica del profitto si integri con la funzione sociale delle imprese ex pubbliche. Se il Kenya riuscirà a percorrere questa strada con equilibrio e trasparenza, potrà posizionarsi come un laboratorio africano di modernizzazione economica sostenibile, capace di ispirare altri Paesi in cerca di soluzioni che coniughino autonomia, efficienza e giustizia sociale.

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