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TCF opzionale per le PMI: opportunità concreta o compliance fuori portata?


Il decreto del 9 luglio 2025 rende operativo il Tax Control Framework opzionale per i soggetti sotto soglia. Un regime volontario che promette benefici sanzionatori, ma impone requisiti stringenti, anche contabili. Un’analisi tecnico-pratica tra vantaggi, oneri e prospettive per le imprese minori.

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Con la firma del decreto attuativo del 9 luglio 2025 da parte del Viceministro dell’Economia Maurizio Leo, trova finalmente attuazione l’articolo 7-bis del D.Lgs. 128/2015, che introduce un regime opzionale di Tax Control Framework (TCF) destinato ai contribuenti che, pur non possedendo i requisiti dimensionali per l’accesso all’adempimento collaborativo ordinario, intendano dotarsi volontariamente di un sistema strutturato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale. 

Si tratta di un intervento normativo che amplia significativamente il perimetro della cooperative compliance, rendendola potenzialmente accessibile anche a soggetti il cui volume d’affari o ricavi sia inferiore ai 750 milioni di euro, soglia che scenderà a 500 milioni dal 2026 e a 100 milioni dal 2028.

In questo contesto, il nuovo TCF opzionale si rivolge a una platea ampia di imprese, in particolare quelle di dimensione media e piccola, interessate a rafforzare il proprio presidio fiscale attraverso strumenti volontari di trasparenza preventiva. 

1) TCF opzionale per le PMI: opportunità concreta o compliance fuori portata?

L’accesso al regime è subordinato al possesso di un insieme strutturato di documentazione, da predisporre prima dell’esercizio dell’opzione e da allegare alla relativa comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate. 

In particolare, occorre redigere un documento descrittivo dell’attività dell’impresa, una strategia fiscale approvata dagli organi di gestione in data anteriore all’opzione, una descrizione puntuale del sistema di gestione del rischio fiscale, una mappa dei processi aziendali, una mappatura dei rischi fiscali – comprensiva anche di quelli derivanti dall’applicazione dei principi contabili – nonché una certificazione indipendente dell’intero sistema, conforme alle linee guida richiamate dall’art. 4, comma 1-quater del D.Lgs. 128/2015.

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Proprio quest’ultimo elemento, la certificazione, assume un ruolo centrale nella logica del decreto. Essa deve attestare non solo l’adeguatezza tecnica del sistema di controllo, ma anche la sua coerenza con i principi contabili applicabili. 

La marcatura temporale del documento certificativo costituisce presupposto di validità dell’opzione, la quale produce effetti a partire dal primo giorno del periodo d’imposta in cui è effettuata la comunicazione. 

In caso di modifiche organizzative che incidano sull’assetto di controllo, è obbligatorio aggiornare la certificazione, a dimostrazione della costante aderenza del sistema alla realtà aziendale.

L’opzione è irrevocabile per un periodo di due esercizi, al termine dei quali il regime si intende tacitamente prorogato per altri due, salvo revoca espressa da comunicarsi in tempo utile all’Agenzia delle Entrate. 

Tra i principali effetti premiali riconosciuti al contribuente che opta validamente per il TCF opzionale vi sono la disapplicazione delle sanzioni amministrative e penali per le violazioni riconducibili a rischi preventivamente comunicati tramite interpello, la non trasmissione della notizia di reato per le componenti attive infedeli e la disapplicazione del reato di dichiarazione infedele, sempre nei limiti stabiliti dalla norma. Tuttavia, il mantenimento di tali benefici è strettamente subordinato alla persistenza delle condizioni richieste e alla continuità dell’efficacia del sistema adottato.

L’Agenzia delle Entrate conserva il potere di verificare la sussistenza dei requisiti anche successivamente all’esercizio dell’opzione, e la perdita dei requisiti comporta la decadenza dai benefici sin dall’inizio del periodo d’imposta in cui essi sono venuti meno. 

Resta così evidente la necessità di un presidio interno costante e qualificato, che non si limiti a un adempimento formale, ma rappresenti una componente viva e funzionale dell’organizzazione aziendale. 

Sebbene il D.M. 9 luglio 2025 non disciplini espressamente il profilo sanzionatorio, è opportuno considerare che la responsabilità connessa alla certificazione non è trascurabile: qualora il professionista indipendente rediga una certificazione infedele, potrebbe rispondere in sede amministrativa o disciplinare, anche in analogia con quanto previsto per altri regimi fiscali che richiedono validazioni professionali (come il visto di conformità o le asseverazioni tecniche). In tali casi, sono previste sanzioni comprese tra 516 e 5.165 euro, oltre alla possibile sospensione dall’albo o dal registro professionale di appartenenza. 

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Questo rafforza l’esigenza di un presidio professionale altamente qualificato e responsabile da parte degli esperti incaricati.

Sotto il profilo applicativo, l’introduzione del TCF opzionale solleva alcune considerazioni critiche, in particolare per quanto riguarda l’equilibrio tra costi e benefici. 

L’adozione di un sistema formalizzato di gestione del rischio fiscale implica un investimento importante in termini di consulenza, strutturazione interna e certificazione indipendente, che potrebbe risultare oneroso per imprese di media o piccola dimensione. 

Ciò che rende ancora più rilevante questa valutazione è l’esplicito riferimento, contenuto nel decreto, alla necessità che il sistema sia conforme ai principi contabili, il che richiama, almeno idealmente, assetti di controllo propri delle grandi imprese o delle società quotate, come quelli derivanti dal Sarbanes-Oxley Act statunitense o dalla legge 262/2005. 

È lecito quindi chiedersi se per le imprese non quotate, meno strutturate, possa essere sufficiente un sistema di revisione legale rafforzata che, pur senza riprodurre schemi propri delle grandi multinazionali, garantisca un livello di affidabilità compatibile con le esigenze del nuovo regime.

In questa prospettiva, il successo del TCF opzionale dipenderà dalla capacità del sistema fiscale e professionale italiano di rendere accessibile, sostenibile e attrattiva la compliance collaborativa anche per soggetti che finora ne sono rimasti ai margini. 

La sfida non è solo tecnica o organizzativa, ma anche culturale: promuovere un approccio alla fiscalità improntato alla prevenzione e alla trasparenza significa rafforzare la fiducia reciproca tra contribuente e amministrazione, valorizzando il ruolo del professionista come garante della qualità delle scelte fiscali e della tenuta complessiva del sistema.

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