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Come possiamo sostenere gli agricoltori tagliando i fondi?


Questa settimana sarà cruciale per il futuro dell’Ue. Aspettiamo infatti la proposta della Commissione sul Quadro finanziario pluriennale post 2027 con cui si definirà il volto dell’Unione nei prossimi anni. Come socialisti, abbiamo sempre detto No a ogni forma di accorpamento del bilancio che la Commissione ha prospettato: politiche cruciali come quella di coesione, quella agricola e il fondo sociale europeo hanno bisogno di risorse dedicate per rispondere alle sfide che abbiamo di fronte. Anche a questo punto è vincolato il nostro sostegno – non una cambiale in bianco!- alla presidente von der Leyen che, proprio la scorsa settimana, ha accolto la nostra richiesta di mantenere il Fondo sociale. Una prima conquista all’interno di una lunga battaglia che dovremo portare avanti per evitare il deragliamento all’estrema destra dell’Ue a forze che la vorrebbero distruggere. Su questo alla presidente abbiamo detto: basta ambiguità.

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La politica agricola comune, al contrario di quanto ipotizzato dalla Commissione, deve restare un finanziamento specifico e va adeguata all’inflazione. Come possiamo, tagliando i fondi, sostenere gli agricoltori, le aree rurali interne, il protagonismo di giovani e donne, la conversione ecologica? È impossibile. Eppure l’agricoltura rappresenta un pilastro strategico dell’Europa, così come la politica di coesione, e va sostenuta soprattutto adesso che la minaccia dei dazi americani al 30% incombe sulle nostre produzioni agroalimentari, rischiando un impatto devastante con un aggravio di oltre 2 miliardi di euro. Nel 2024 abbiamo raggiunto il valore record di export con 7,8 miliardi e puntavamo al traguardo di 9 miliardi: tutto questo è adesso in grandissimo pericolo.

E che dire del rischio di mettere in discussione anche la condizionalità sociale della Pac per cui come socialisti ci siamo tanto battuti in questi mesi? Il principio che i finanziamenti debbano arrivare soltanto alle imprese che rispettano i diritti dei lavoratori è per noi più che un obiettivo, è un dovere morale irrinunciabile.

Poche settimane fa, insieme con una delegazione di colleghi e un’importante rappresentanza sindacale, anche a livello europeo, siamo stati a Borgo Mezzanone, il più grande slum d’Europa in cui vivono 5 mila persone migranti in condizioni di assoluta negazione dei diritti umani fondamentali, sfruttati dalla violenza delle mafie e dei caporali. Eravamo lì a ridosso del 13 luglio, quando sono trascorsi dieci anni dalla morte di Paola Clemente, bracciante pugliese vittima dello sfruttamento, la cui tragica morte contribuì all’approvazione della Legge 199 contro il caporalato, una norma preziosa che va applicata in modo completo. In quella occasione abbiamo ribadito la richiesta  di superare la legge Bossi-Fini; introdurre un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di lavoro (a livello anche europeo); investire i 200 milioni di euro del PNRR destinati al superamento degli insediamenti abusivi; istituire una Procura distrettuale e nazionale del lavoro; mantenere la condizionalità sociale della Pac post-2027 per un’agricoltura che metta al centro l’ambiente e soprattutto le persone, garantendo diritti e dignità a tutti i lavoratori. E’ indispensabile se vogliamo trasformare i campi di sfruttamento in territori di speranza e sviluppo, dove occupazione e legalità camminano insieme verso un modello produttivo agricolo sostenibile e umano, per cui il cibo non sia più una merce, ma un diritto.



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