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I dazi fanno paura alla moda. Dalle scarpe di Fermo all’agroalimentare di Ascoli “servono misure di sostegno”


di Raffaele Vitali

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FERMO – Due guerre non erano abbastanza, ci voleva di nuovo Donald Trump a creare scompiglio nell’economia mondiale. E anche italiana.  L’annuncio dei dazi al 30% nei confronti dell’Europa a partire dal primo agosto fa davvero paura.

Le Marche hanno esportato negli Stati Uniti nel 2024 merce per 1.244 milioni di euro, con una variazione rispetto al 2023 del -31,8%. C’è un grado di esposizione delle MPI al mercato statunitense che è pari nella regione all’1% del PIL.

“Non esiste una stima numerica ufficiale dei danni economici complessivi, ma i primi segnali raccolti tra le imprese italiane del settore accessorio moda indicano un impatto potenzialmente molto grave. Le esportazioni verso gli Stati Uniti, che nel 2024 hanno raggiunto i 2,8 miliardi di euro (-3,5% rispetto al 2023), rappresentano circa l’11,1% dell’export totale delle imprese rappresentate da Confindustria Accessori Moda, rendendo il mercato americano il secondo più importante dopo la Francia. In particolare, il calzaturiero (con quasi 1,4 miliardi di export) e la pelletteria (1,2 miliardi) sono i due settori della Federazione con export verso gli USA più elevato” aggiunge e Giovanna Ceolini, presindete della sezione di Confindustria e guida di Assocalzaturifici.

Stando ai dati di Confartigianato Fermo, Macerata e Ascoli, “il solo comparto moda ha negli Stati Uniti il terzo punto di riferimento, con 5.569 milioni di euro di esportazioni. La guerra commerciale, quindi, genererebbe solo sconfitti. Nel dettaglio, l’export Usa vale per Fermo 83milioni, in calo del 2,6%, per Macerata invece sono 152 i milioni, in crescita dell’1,3%, che diventa il 50% per gli abiti. Infine Ascoli Piceno che viaggia sui 365 milioni, chiaramente grazie al farmaceutico. Qui, da sottolineare, c’è la crescita dell’alimentare del 66%” spiega Enzo Mengoni, presidente territoriale Confartigianato.

I dazi ovviamente preoccupano. “In assenza di contromisure, si rischia un drastico ridimensionamento dell’export e un indebolimento della competitività internazionale, con ricadute significative lungo tutta la filiera produttiva e occupazionale” riprende Giovanna Ceolini.

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Il timore è di una nuova crisi strutturale che andrebbe a colpire in particolare le Pmi. Che a dire il vero non sono poi così presenti in Usa, ma il rallentamento delle griffe, di cui molte sono terziste, avrebbe in ogni caso un impatto pesante.

“Si pensa già aa nuovi mercati. Il 51% delle aziende che esportano negli USA ha iniziato a esplorare alternative (o si dichiara pronto a farlo), con focus su Asia (32%) ed Europa (31%), seguite da Medio Oriente (19%), Africa (10%) e Oceania (7%). Tuttavia, aprirsi a nuovi mercati richiede tempo, investimenti e supporto istituzionale” prosegue.

Per poi chiedere “una risposta coordinata a livello europeo e una politica chiara, che sostenga il settore nel riposizionamento, favorisca la creazione di filiere più resilienti e sostenibili, e sfrutti l’opportunità del nearshoring nel Mediterraneo. In gioco non c’è solo il Made in Italy, ma il ruolo strategico dell’Italia nella manifattura europea”.

Un soffio di ottimismo lo lascia la Confartigianato: “Le nostre imprese hanno le carte per reggere, ma hanno bisogno di visione, strumenti e politiche adeguate. Non dimentichiamoci che i nostri prodotti d’eccellenza Made in Italy non sono replicabili e sono particolarmente richiesti e apprezzati dalla clientela USA. In ogni caso è meglio lavorare già su un piano nazionale che garantisca liquidità alle imprese in caso di shock commerciali”.





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