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Il governo cancella il patrimonio delle «Aree interne»


All’inizio di aprile è uscito con ritardo e senza far troppo clamore il Piano Strategico Nazionale Aree Interne 2021-2027 (Psnai). Redatto negli uffici centrali del Ministero per gli Affari europei, il Pnnr e le Politiche di Coesione, rappresenta la nuova linea di indirizzo dello Stato verso le politiche a favore di migliaia di piccoli Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali.

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Ma da qualche giorno il clima di sostanziale indifferenza è completamente cambiato. A scatenare un vero putiferio è stata una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Psnai, dove si legge che alcune di «queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento».

Si tratta di una torsione di 360 gradi rispetto alle scelte che hanno orientato le politiche pubbliche negli ultimi 15 anni: di fatto si rinuncia all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento delle aree interne contro il quale si combatte in tutta Europa, e che ha visto l’Italia fare da apripista con politiche innovative e investimenti.

I primi a ribellarsi sono stati i sindaci dei comuni delle aree interne. Il loro appello è stato raccolto da molti studiosi e attivisti e l’eco della protesta ha raggiunto anche quotidiani nazionali che considerano l’abbandono di una parte così grande del territorio come una resa che non è né accettabile né opportuna in un paese con una conformazione come il nostro.

Quelle che vengono definite “Aree Interne” rappresentano circa la metà dei comuni italiani e quasi il 60% del territorio nazionale, nel quale risiede oltre il 22% della popolazione, più di 13 milioni di persone, più di quanto ce ne siano in tutto il Belgio (Istat 2023). Fragili ma tutt’altro che povere, le nostre aree interne contengono una parte rilevante del patrimonio culturale e forestale, oltre alle energie che permettono ad un paese piccolo come il nostro di giocare un ruolo importante sul mercato globale nei settori dell’artigianato industriale specializzato e in quello agricolo, attraverso la grande varietà di prodotti che derivano da una agricoltura estremamente diversificata.

Solo da pochi anni un numero crescente di persone ha cominciato a guardare a questa porzione di territorio come ad un’opportunità, una riserva di biodiversità, di varietà produttiva, di beni culturali diffusi, di fonti energetiche primarie. I territori che compongono questo pezzo di Paese sono diventati possibili luoghi strategici per il futuro della nostra economia, spazi dove un numero crescente di cittadini, giovani e migranti, si installano per sperimentare soluzioni inedite ed efficaci in grado di fornirci le coordinate per una reale transizione ecologica dell’economia e nuovi modi di fare società.

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Allora perché si decide di rinunciare ad immaginare un futuro per questa parte di paese?

Le cartografie mostrano come le aree destinate allo spopolamento irreversibile sono la quasi totalità delle aree interne del Centro-Sud.

Ma l’alternarsi di notizie allarmate sull’inverno demografico e sull’esplosione della bomba della sovrappopolazione dà la percezione di quanto poco tecnico e molto politico sia l’argomento.

Non bisogna dimenticare che i territori sono interconnessi e che le ripercussioni negative di tali scelte si allungano fino a lambire le grandi città del nostro paese, in termini di congestionamento, degrado ambientale, diseguaglianze crescenti. Forse la vera ragione si trova altrove.

Le scelte del governo contano sulla scarsa reattività dei cittadini di queste aree, ma non è detto che le cose vadano così anche questa volta. Le organizzazioni, le associazioni, le imprese che lavorano e continuano a scegliere le aree interne sono in mobilitazione. Si moltiplicano contestazioni, articoli, prese di posizioni, si progettano atti di disobbedienza civile. «Noi crediamo che lo spopolamento non sia un processo irreversibile, ma una sfida politica e culturale. E come ogni sfida, può essere affrontata e vinta – a condizione che si agisca con visione, risorse e coraggio. Nel nostro piccolo, lo stiamo già dimostrando: nascono nuove attività, arrivano nuovi abitanti, si attivano servizi innovativi e reti di collaborazione. Qui si mette in pratica la transizione ecologica, energetica e digitale. Non accettiamo che tutto ciò venga ignorato o sminuito» si legge nel documento dei sindaci abruzzesi.



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