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La settimana di fuoco di Nordio tra il caso Elmasry e la scadenza del Pnrr


Si è aperta una settimana difficile per il guardasigilli Carlo Nordio. Le polemiche sul caso Elmasry, il torturatore e stupratore libico liberato dal governo italiano e rispedito in patria con un volo di stato, si sono rinvigorite dopo che è emersa la responsabilità del ministro alla Giustizia nella scarcerazione del libico e l’opposizione insiste nel chiedere le dimissioni di Nordio «con ancora più forza», come dice il M5S

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«Il tema non è la violazione del segreto ma la responsabilità del ministro – ha spiegato il senatore pentastellato Federico Cafiero De Raho – chiediamo che la presidente del Consiglio intervenga, i tempi ci inducono a credere che tutto fosse stato concordato». Anche Avs ritiene «principale responsabile Meloni. Nordio è la foglia di fico». «È stata smentita la versione del ministro e della sua capo di gabinetto Giusi Bartolozzi ma senza un intervento diretto di Meloni è impensabile che Nordio si sia assunto una tale responsabilità», ha affermato il senatore rossoverde Peppe De Cristofaro.

Il titolare di via Arenula, però, non è solo sotto attacco per le inadempienze strettamente politiche ma anche per quelle di natura più tecnica: l’Italia rischia di dover restituire diversi miliardi del Pnrr per il mancato raggiungimento, entro la scadenza del giugno 2026, di uno dei quattro obiettivi sulla giustizia, quello che riguarda la riduzione del 40% della durata media dei processi civili rispetto al 2019. Al momento è stato raggiunto solo il 20% di quanto richiesto dalla Ue, come denunciato nei giorni scorsi dall’Anm, l’associazione nazionale magistrati.

Partirà da questo dato la delibera del Consiglio superiore della magistratura (Csm), che sarà discussa in plenum domani. Un documento non solo critico, che vuole offre al ministro la disponibilità dei magistrati a collaborare attraverso alcune proposte mirate, in sostituzione dell’inconcludenza propagandistica del governo.

«Gli obiettivi erano stati fissati da Draghi, dopodiché in questo esecutivo è mancata una visione proattiva, non si è cercato di capire che cosa realmente si poteva realizzare: il problema della durata dei processi è un problema sistemico», ragiona con il manifesto Antonello Cosentino, giudice di Cassazione e membro del Csm. Di certo non aiutano a sfoltire il lavoro dei tribunali neanche le politiche securitarie del governo, che crea di continuo nuove fattispecie di reato. «È una contraddizione – nota il giudice Cosentino -. Non è in discussione la linea politica della maggioranza ma le norme vanno pensate con razionalità, cogliendo i nessi tra i problemi e cercando di seguire una linea politica che in qualche modo colleghi l’enunciazione a un obiettivo, che colleghi l’azione a un risultato».

«Non è un problema solo di quest’ultimo governo – spiega – anche se ora si è accentuata una prassi propagandistica della normazione. Le leggi si fanno per dare un messaggio all’opinione pubblica, sulla base di esigenze emotive». Per Cosentino «servirebbe una politica della giustizia come servizio e non come potere ma al momento l’esecutivo si è molto concentrato sull’idea di una ridislocazione dei rapporti tra i poteri dello stato, giudiziario esecutivo e legislativo, attraverso la riforma. La separazione delle carriere è un falso bersaglio, il punto è la fortissima diminuzione del peso istituzionale del governo autonomo dei magistrati».

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Il voto del plenum del Csm per il primo presidente della Corte di Cassazione, che succede a Margherita Cassano, è stato fissato, invece, per il prossimo 4 settembre. Nella seduta di commissione di ieri quattro voti sono andati a Pasquale D’Ascola, due a Stefano Mogini.



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