Il decreto di Palazzo Chigi viola l’articolo del Regolamento Concentrazioni ed è contrario alla libera circolazione dei capitali e alla competenza della Bce. Il governo ha 21 giorni di tempo per rispondere
«La risposta non individua e spiega adeguatamente il modo in cui l’Operazione comporta un rischio per la sicurezza pubblica, né dimostra la compatibilità delle Prescrizioni con il diritto dell’Unione».
Nella sua valutazione preliminare, contenuta in una lettera di 56 pagine, la Commissione Europea esprime la sua contrarietà all’impiego del Golden power da parte del governo italiano nell’ops di Unicredit su Banco Bpm. Infatti nel documento che il Corriere della Sera ha potuto visionare, Bruxelles «ritiene in via preliminare che il Decreto, nella sua forma attuale, violi l’articolo 21(4) del Regolamento Concentrazioni» e lo fa per alcuni motivi ben precisi. A firmarlo Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione europea e Commissaria europea per la concorrenza.
L’adozione e l’entrata in vigore del decreto Golden Power infrangono gli obblighi di comunicazione e sospensione previsti, inoltre è «contrario alle norme dell’Unione Europea sulla libera circolazione dei capitali, alla competenza esclusiva della Bce in quanto autorità di vigilanza prudenziale nonché alla legislazione sui servizi finanziari». Ecco dunque che – nel caso “questa conclusione preliminare fosse confermata” – la Commissione potrebbe confermare la violazione della legge europea sulle concentrazioni e imporre all’esecutivo Meloni «di revocare senza indugio il Decreto». Palazzi Chigi ha dunque 21 giorni per rispondere e far valere le sue ragioni.
I motivi che hanno spinto Bruxelles a impugnare carta e penna sono ben elencati. «L’Italia – si legge nella missiva inviata a Roma – avrebbe dovuto notificare preventivamente il Decreto alla Commissione e astenersi dall’imporre gli obblighi prima dell’approvazione della Commissione». Pertanto il nostro Paese sembra aver violato gli obblighi procedurali dell’articolo sulle concentrazioni, dice in sostanza la Commissione.
Entrando più nel dettaglio del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la prescrizione su prestiti e depositi per la Commissione Ue «costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali, che non è giustificata nell’interesse della pubblica sicurezza», così come quella sul Project Finance e sugli investimenti in emittenti italiane cioè sui titoli gestiti da Anima, la sgr acquisita dal Banco. L’obbligo di uscita dalla Russia costituisce invece «una restrizione dei poteri di vigilanza attribuiti alla Bce».
Pubblica sicurezza
Per i tecnici di Bruxelles il concetto di «pubblica sicurezza» poi dovrebbe essere interpretato solo alla luce della giurisprudenza degli organi giurisdizionali dell’Unione e non può essere limitato a considerazioni puramente economiche. «Non vi è alcuna ragione apparente, alla luce degli elementi attualmente a disposizione della Commissione, per cui l’acquisizione di Bpm da parte di UniCredit costituirebbe una minaccia reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società». Il governo italiano non ha chiarito perché il profilo societario di Unicredit sarebbe un pericolo per l’attuale azionariato dell’ex popolare milanese: le due banche «sembrano infatti presentare un profilo simile». Inoltre gli azionisti dell’istituto guidato da Andrea Orcel, anche se hanno sede in altri Paesi, non esercitano «un controllo su Unicredit o può influenzare in modo significativo le sue attività».
Prestiti, risparmio e famiglie
Quanto al potenziale rischio di riduzione di prestiti in Banco Bpm dopo la fusione, la Commissione ha già risposto, affermando «che gli Impegni offerti da UniCredit rispondevano adeguatamente ai seri dubbi circa l’impatto dell’Operazione sul mercato della concessione di prestiti ai clienti al dettaglio e alle imprese». Inoltre le aziende e le famiglie italiane avrebbero altre banche a cui rivolgersi. Capitolo Anima: anche se l’asset manager «dovesse ridurre i propri investimenti in titoli di emittenti italiani dopo l’Operazione, tali emittenti italiani continuerebbero a beneficiare dell’accesso a un’ampia gamma di gestori di attivi alternativi consolidati» e la lettera cita altre società come Generali, Azimut, Eurizon e altri fondi internazionali.
Sull’uscita dalla Russia «non è chiaro se il rischio per la sicurezza pubblica che l’Italia sostiene giustificare l’imposizione dell’obbligo di uscita dalla Russia, che va oltre le misure di vigilanza della Bce, sia plausibile».
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