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Germania aumenta i salari, l’Italia arranca: il divario europeo si allarga


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Berlino spinge sugli stipendi per combattere l’inflazione e rafforzare il potere d’acquisto, mentre in Italia i lavoratori fanno i conti con stagnazione salariale, precarietà e un futuro incerto.

Dal 1° gennaio 2025, in Germania il salario minimo legale è salito a 12,41 euro l’ora, con un ulteriore incremento già fissato a 13,90 euro nel 2026. Questa decisione è frutto di un forte intervento pubblico e della sinergia tra sindacati e governo per tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori di fronte all’inflazione.

Ma non si tratta solo del minimo. Interi comparti, dall’industria chimica al settore dei trasporti, stanno beneficiando di aumenti contrattuali strutturali, spesso superiori al 6% annuo. Una strategia precisa: sostenere la domanda interna, fidelizzare la forza lavoro qualificata e mantenere la competitività della locomotiva d’Europa.

In Italia, salari fermi, precarietà diffusa e perdita di potere di acquisto

Mentre Berlino rilancia, Roma resta al palo. In Italia, secondo l’OCSE, i salari reali sono tornati ai livelli del 1990, segnando un’anomalia nel panorama europeo. Nonostante una timida crescita dell’occupazione, il lavoro è sempre più povero e frammentato.

Il salario minimo legale non è ancora realtà. Le proposte sono ferme al Parlamento, bloccate da veti incrociati. Intanto, milioni di lavoratori vivono con retribuzioni ben al di sotto degli 8 euro lordi all’ora, specialmente nei settori della ristorazione, logistica e servizi.

Due modelli a confronto: inclusione tedesca contro deregulation italiana

La differenza non è solo quantitativa, ma qualitativa. La Germania punta a una società coesa, dove il lavoro garantisce dignità e prospettive. In Italia, il sistema continua a premiare la flessibilità selvaggia, spesso a scapito della stabilità e della produttività.

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A Berlino, i salari crescono insieme agli investimenti in formazione, innovazione e green economy. In Italia, invece, il lavoro povero è diventato la norma, e molti giovani fuggono all’estero proprio per cercare condizioni più eque.

Le conseguenze economiche: consumo interno debole e fuga dei talenti

L’assenza di una politica salariale espansiva in Italia si riflette anche sui dati macroeconomici. Il consumo interno resta debole, soffocato da salari stagnanti e inflazione. Il risultato si riduce a una crescita fiacca, entrate fiscali limitate e maggiori difficoltà nel finanziare welfare e sanità.

Al contrario, l’aumento dei salari in Germania funge da moltiplicatore economico, sostenendo domanda interna, occupazione e innovazione. Una lezione chiara: il lavoro ben retribuito non è un costo, ma un investimento.

L’Italia deve cambiare rotta

L’Italia non può più permettersi di restare indietro. È urgente:

  • Introdurre un salario minimo legale dignitoso;
  • Rinnovare i contratti collettivi bloccati da anni;
  • Incentivare le imprese che investono in qualità del lavoro;
  • Favorire la contrattazione decentrata legata alla produttività;

Senza un’inversione di tendenza, il rischio è quello di una deriva permanente, con un’Italia sempre più marginale nel contesto europeo, mentre Paesi come la Germania costruiscono il futuro sulle basi solide di una retribuzione giusta e di una politica del lavoro inclusiva.



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