Primo, non prenderle. E non prendersela (troppo), se mezza Francia ti si rivolta contro. Il governo di François Bayrou è di nuovo sulla graticola, anzi sul barboc, da martedì sera. La legge di bilancio per il 2026, nelle intenzioni di Matignon, è da 44 miliardi, da reperire con lo “sforzo di tutti”, assicura il primo ministro. Ma a saltare subito all’occhio è il congelamento delle spese sociali per un anno. L’annèe blanche prevede che pensioni, stipendi pubblici e altre prestazioni non vengano adeguate all’inflazione. L’ammontare sarà lo stesso del 2025. Bayrou ha provato a giocare la carta del mal comune mezzo gaudio. “Lo Stato darà l’esempio – assicura François Bayrou – stabilizzerà la sua spesa e ridurrà perfino il suo tenore di vita: si è dato la prima regola di non spendere un euro di più del 2025, fatta eccezione per l’aumento del debito e la spesa aggiuntiva per il bilancio delle forze armate”.
L’anno bianco consentirà 7 miliardi di risparmi. E “sarà in realtà un anno nero, per lavoratori, servizi pubblici, e per il nostro potere d’acquisto”, commenta Sophie Binet. La segretaria generale della Cgt (Confederation general du travail) contesta l’aumento della spesa militare di ulteriori 3,5 miliardi nel 2026 e 3 miliardi nel 2027. “Finanzieremo i Rafale (gli aerei da combattimento ndr.), chiudendo gli ospedali, e avendo in realtà bisogno dei Canadair”, per spegnere gli incendi, che nei giorni scorsi hanno colpito il sud del Paese. Lo Stato “darà l’esempio”, eliminando tra i 1000 e 1500 posti pubblici: un dipendente statale su 3 che andrà in pensione non verrà rimpiazzato. La sanità subirà un taglio di 5 miliardi. Le franchigie mediche, l’importo che resta a carico dei pazienti per l’acquisto dei farmaci, raddoppieranno il loro massimale, da 50 a 100 euro all’anno. La stessa modalità era già stata decisa per bilanciare il finanziamento della previdenza sociale del 2024, con un raddoppio di queste franchigie su farmaci, procedure paramediche e trasporti, dopo mesi di proteste delle associazioni dei pazienti.
Il primo ministro ha poi proposto di eliminare 2 festività: il lunedì di Pasqua e l’8 maggio, fine della Seconda Guerra mondiale. Togliere la celebrazione della vittoria sul nazismo, commenta Binet, “sarebbe gravissimo, con l’estrema destra alle porte del potere”. Il bilancio 2026, rileva il governo si basa su 5 principi: pareggio di bilancio entro il 2029 (deficit al 5,4 per cento nel 2025, al 4,6 per cento nel 2026, al 4,1 per cento nel 2027, al 3,4 per cento nel 2028, per raggiungere il 2,8 per cento nel 2029), stabilizzazione e riduzione della spesa pubblica, sacrifici per tutti, tutela del lavoro e della competitività delle imprese, impegno sostenibile per tutti (senza imporre, dunque, riduzioni degli stipendi nel settore pubblico e delle pensioni di vecchiaia).
Lo “sforzo nazionale equo” passerà per un contributo di solidarietà che sarà chiesto ai “più ricchi”. In autunno verrà presentato un disegno di legge contro la frode fiscale e sociale, per “individuare, punire e recuperare meglio il denaro perduto”. Il governo vuole inasprire le sanzioni contro le aziende che ritardano i pagamenti ai partner commerciali, imponendo una sanzione pecuniaria “fino all’1 per cento del fatturato”. Saranno poi stanziati 900 milioni in finanziamenti azionari aggiuntivi per gli investimenti nelle imprese (“il capitale di rischio è un potente strumento per l’innovazione e la crescita aziendale”). I patrons esultano, anzi applaudono. La Cpi (Confédération des petites et moyennes entreprises) considera “alcune misure piuttosto coraggiose”, in particolare la limitazione della spesa pubblica. La visione “è buona”, dicono le piccole e medie imprese, “ma rimangono ancora molti interrogativi”. L’Association française des entreprises privées, che riunisce le 117 maggiori aziende francesi, definisce la manovra “in linea” con le sue priorità, in particolare l’abbassamento del deficit entro il 2029 e “l’aumento della quantità di lavoro necessaria per produrre di più in Francia e quindi ridurre la nostra dipendenza”.
Il malcontento è tutto delle opposizioni, e non solo. A sinistra, La France Insoumise considera il documento di bilancio “una dichiarazione di guerra sociale”, come affermato dal capogruppo all’Assemblée nationale, Mathilde Panot. Su X, il primo segretario del Partito socialista, Olivier Faure, scrive che François Bayrou “ha scelto la violenza di misure il cui effetto cumulativo colpirà duramente le famiglie”, mentre “i grandi patrimoni degli ultra-ricchi saranno risparmiati”. Più che un progetto di ripresa, la manovra – avverte – “è un piano per demolire il nostro modello francese. Quello che ci aspetta non è un anno vuoto, ma un anno nero. Su queste basi, l’unica soluzione possibile è la censura”. Lo sa pure Marine Le Pen, che in quanto a capacità di sintesi non è seconda a nessuno: “Quasi 20 miliardi tra tasse e tagli”. Il governo, commenta il leader del Rassemblement national “preferisce attaccare il popolo francese, lavoratori e pensionati, piuttosto che dare la caccia agli sprechi, chiedendo maggiori risparmi in particolare sui costi dell’immigrazione, sulla burocrazia ospedaliera e sull’istruzione”. Se “François Bayrou non rivede il suo piano, lo censureremo”.
Una mozione di sfiducia che, se votata da tutta l’opposizione, potrebbe davvero far cadere l’esecutivo, al contrario di quanto accaduto il 1 luglio, quando la sfiducia proposta e votata, invano, da tutta la gauche, non ha avuto esito, proprio per il mancato appoggio dal partito di Le Pen. “Censuriamo quando è utile al Paese”, si era giustificata Marina. Potrebbe essere questo il caso? Certamente, considerato che tra i partiti di governo non fila proprio tutto liscio: “Ancora una volta, saranno soprattutto le classi medie a essere chiamate a contribuire, anche se è grazie alla loro mobilitazione e al loro duro lavoro che il Paese potrà uscire da questa situazione. Per ottenere il sostegno del popolo francese servono giustizia e buon senso: due principi gravemente assenti in questa manovra”, scrive Xavier Bertrand, presidente della regione Hauts-de-France, in quota Les Republicains. Dall’esecutivo sono già partiti gli inviti a parlarne. “C’è ancora margine per negoziare”, assicura il ministro dell’economia, Éric Lombard, ospite al telegiornale di France 2. “Se siamo arrivati a questo punto, è perché non abbiamo un bilancio in pareggio da 50 anni, e la Francia è sovra indebitata, il che limita le nostre politiche pubbliche”. L’imperativo, dunque, è “stabilizzare il debito”, agendo sulla “riduzione della spesa pubblica” e “sull’aumento della produzione”.
Aggiornato il 16 luglio 2025 alle ore 10:35
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