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Cosa cambia con l’ok alla “fiscalità di sviluppo”. Dai pensionati agli imprenditori, agevolazioni e contributi. Il prof Carlo Amenta: “Bene, ma ci sono anche rischi”

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Si chiama “fiscalità di sviluppo”. E già dal nome lascia intendere la sua finalità. È la norma approvata dal Consiglio dei ministri per consentire alla Regione di ridurre o in certi casi annullare alcune imposte di carattere regionale per agevolare il trasferimento in Sicilia di cittadini europei.

Ma non solo. Grazie a questo provvedimento, noto anche come “norma Portogallo” perché segue il modello di altri Paesi europei come appunto il Portogallo che ha abbattuto la tassazione sulle pensioni, alcune categorie di siciliani potranno beneficiare di incentivi per progetti di sviluppo.

Il via libera è arrivato lunedì notte, sulla scorta di un vecchio decreto che stabiliva norme di attuazione dello Statuto della Regione. Manca solo l’ultimo passaggio, l’ok del presidente della Repubblica, poi la norma potrà essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Tutti felici… o quasi. I vantaggi per l’Isola sono evidenti, ma c’è chi invita alla cautela. «È certamente una buona notizia – commenta Carlo Amenta, docente di Economia e Gestione delle imprese all’Università di Palermo -, questa norma è un esempio di autonomia differenziata vera, proprio perché si dà alla Regione la possibilità di decentralizzare».

Però? «Il rischio è che il sistema fiscale sia meno equo», aggiunge Amenta. Il riferimento è chiaro. La norma è buona ma va gestita nel miglior modo possibile per evitare che si trasformi in una giungla fiscale.

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«Sia chiaro – ribadisce Amenta – la norma è positiva perché alla fiscalità di sviluppo corrisponde una riduzione delle imposte. E quando levano le tasse sono sempre contento. Si rischia, però, una frammentazione del sistema fiscale che di fatto c’è già. Si pensi ai fortettari o a chi beneficia di sconti per le ristrutturazioni».

Come evitarlo? Secondo Carlo Amenta «la cosa migliore è che la Regione abbassi le tasse a tutti i cittadini, a prescindere da quello che fanno, giusto per scongiurare il rischio che il sistema fiscale non sia più equo e che categorie già rumorose o capaci di influenzare il governo riescano ad ottenere trattamenti fiscali diversi».

La norma, infatti, consente alla Regione di scegliere a chi applicare le agevolazioni purché alla base ci siano progetti di sviluppo. «Una ipotesi – dice ancora il docente – sarebbe impiegare la fiscalità di sviluppo a una zona, per esempio ad alcune aree industriali». Parola di chi fino a pochi mesi fa era commissionario straordinario del governo per le Zes della Sicilia occidentale.

Come funzionerà dunque la fiscalità di sviluppo una volta operativa? La Regione avrà facoltà di ridurre o azzerare le imposte di carattere regionale e le addizionali Irpef, attribuire incentivi e contributi, ma dovrà farlo stipulando una convenzione con l’Agenzia delle Entrate. A beneficiarne, dunque, in questo caso sarebbero singole categorie di imprenditori.

Il presidente della Regione Renato Schifani ha condiviso il suo entusiasmo con una nota in cui definisce l’ok del Consiglio dei ministri «un passo storico che, a quasi ottant’anni dalla sua adozione, riconosce finalmente alla Sicilia la possibilità di applicare una fiscalità di sviluppo, in piena coerenza con l’autonomia finanziaria della Regione».

Il sogno è che la Sicilia diventi un altro Portogallo. «La norma – aggiunge Schifani – prevede anche agevolazioni fiscali per i pensionati non residenti che acquistano casa in Sicilia e vi trasferiscono la residenza, sulla scia del modello Portogallo. Ma potremo intervenire anche a sostegno delle fasce deboli e delle nuove imprese siciliane».





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