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Terapia cellulare: gli Stati Uniti puntano alla sindrome di Pearson


Il trattamento sperimentale si basa sulla sostituzione dei mitocondri malati con altri sani, due designazioni dell’ente regolatore statunitense potrebbero accelerare lo sviluppo del farmaco

Le patologie mitocondriali sono causate da un difetto nei mitocondri che non riescono a fornire energia alle cellule, tra queste c’è la sindrome di Pearson, che interessa meno di un centinaio di bambini nel mondo e per cui non esistono terapie mirate ed efficaci. Il numero esiguo di pazienti, le conoscenze ancora limitate e il basso ritorno economico rendono lo sviluppo di farmaci una sfida quasi impossibile scoraggiando le aziende farmaceutiche a investire in questa patologia. Ma non la biotech israeliana Minovia che lo scorso giugno ha annunciato di aver ottenuto dalla Food and Drug Administration (FDA) la Fast Track Designation e la Rare Pediatric Disease Designation per MNV-201, una terapia cellulare innovativa che potrebbe offrire ai pazienti una speranza di cura.

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CHE COS’È LA SINDROME DI PEARSON

La sindrome di Pearson (PS) è stata descritta per la prima volta nel 1979 e dieci anni dopo è stata riconosciuta come una malattia mitocondriale, un gruppo di disturbi genetici che colpiscono i mitocondri, gli organelli responsabili di produrre energia per le cellule. Dal punto di vista genetico, le proteine responsabili del funzionamento dei mitocondri dipendono da due genomi distinti: il DNA mitocondriale (mtDNA), presente all’interno dei mitocondri ed ereditato solo dalla madre, e il DNA nucleare, ereditato da entrambi i genitori. Circa il 75% delle malattie mitocondriali è dovuto a mutazioni nel DNA nucleare, ma nel restante 25% il problema risiede nel DNA mitocondriale, che si eredita solo dalla madre.

Nel 10% dei casi legati al mtDNA si osservano grandi delezioni, chiamate Single Large-Scale mtDNA Deletions (SLSMDs). Nella PS, la più frequente è lunga 4.977 basi e comporta la perdita di un intero segmento di mtDNA. Il risultato è un danno multisistemico che colpisce sangue, pancreas, sistema nervoso e altri organi vitali. La malattia compare nei primi anni di vita e oggi l’unica terapia disponibile mira a gestire i sintomi, ad esempio attraverso la somministrazione di enzimi pancreatici, vitamine o trasfusioni di sangue. Nonostante i progressi nelle cure di supporto, l’aspettativa di vita raramente supera i tre anni.

In Italia la prevalenza è stimata intorno a 1 caso su un milione di nati, rendendola una patologia ultra-rara e quasi sempre sporadica: la mutazione si verifica de novo nell’ovocita o nelle prime divisioni dell’embrione. All’interno degli stessi mitocondri possono coesistere DNA sano e DNA mutato, un fenomeno detto eteroplasmia, che rende difficile il counseling genetico e, al momento, impossibile la diagnosi prenatale.

LE TERAPIE AVANZATE: EDITING E SOSTITUZIONE DEI MITOCONDRI

Per curare le malattie mitocondriali stanno emergendo strategie innovative basate sulle terapie avanzate. Alcuni approcci puntano a correggere il DNA mitocondriale difettoso grazie a tecniche di editing genomico con sistemi come CRISPR, che tagliano il mtDNA in posizioni specifiche per eliminare le copie mutate.

Altri approcci cercano di sostituire i mitocondri malati, “trapiantando” nelle cellule del paziente mitocondri sani prelevati da donatori. Su questa seconda strategia si basa MNV-201, la terapia sperimentale sviluppata da Minovia Therapeutics. Nel 2017, la biotech, in collaborazione con lo Shelba Medical Institute di Tel Aviv, ha trattato il primo paziente con la sindrome di Pearson, all’interno di un programma di trattamento per uso compassionaevole. I risultati ottenuti su questo e altri 5 pazienti – pubblicati a fine 2022 su Science of Translational Medicine (ne abbiamo parlato qui) – sono stati promettenti, dimostrando un netto miglioramento dei parametri clinici e il recupero parziale della capacità di movimento.

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LA TECNOLOGIA E IL TRAL CLINICO

La strategia, chiamata Mitochondrial Augmentation Technology (MAT), consiste nell’isolamento di mitocondri sani provenienti dalla placenta di donatori non affetti dalla malattia. In parallelo, vengono raccolte dal sangue del paziente le cellule staminali ematopoietiche, queste cellule vengono arricchite con i nuovi mitocondri e poi reinfuse nel paziente, con l’obiettivo di ripristinare almeno in parte la funzione energetica.

Al momento, Minovia sta conducendo in Israele uno studio clinico di Fase II abilitato da IND (Investigational New Drug), cioè un’autorizzazione preliminare della FDA che consente di testare la terapia sull’uomo. Questa fase serve a valutare la sicurezza e a raccogliere le prime indicazioni di efficacia. L’avvio dello studio principale, che fornirà i dati necessari per una possibile futura commercializzazione, è previsto per il 2026.

LE DUE DESIGNAZIONI FDA

Nel frattempo, MNV-201 ha ottenuto due designazioni dall’FDA: la Fast Track Designation e la Rare Pediatric Disease Designation. Due etichette burocratiche che possono tradursi in un passo concreto verso i pazienti affetti da malattia di Pearson.

La Fast Track Designation è un percorso speciale che accelera lo sviluppo e la revisione dei farmaci destinati a malattie gravi che non hanno terapie adeguate. In concreto, consente all’azienda di avere interazioni più frequenti con l’FDA, ricevere feedback tempestivi su risultati clinici e sugli aspetti regolatori, sottomettere i dati in modo progressivo senza aspettare la conclusione dello studio, e accedere a una revisione prioritaria che riduce i tempi di valutazione finale.

La Rare Pediatric Disease Designation è un riconoscimento riservato ai farmaci per malattie pediatriche ultra-rare. Se MNV-201 arrivasse all’approvazione, Minovia potrebbe ricevere un Priority Review Voucher, cioè un “buono” che consente di far valutare un altro farmaco in soli sei mesi, anche se non riguarda la stessa malattia. Questi voucher possono avere un valore superiore a 100 milioni di dollari e possono essere venduti ad altre aziende, contribuendo a finanziare la ricerca e a rendere sostenibile lo sviluppo di terapie per malattie rarissime.

Queste due designazioni segnano un potenziale percorso più veloce per lo sviluppo di una terapia che, finora, non esiste. Pur senza garantire il successo clinico, aumentano la possibilità di ridurre sensibilmente i tempi di sviluppo clinico e di approvazione. Per i pazienti e le loro famiglie – poche decine nel mondo – significa restare nel campo visivo della ricerca, invece di sparire ai margini per colpa della rarità della loro condizione.



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