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Europa: bilancio controverso  | ISPI


Più risorse ma differente distribuzione e gestione dei fondi: la proposta di bilancio pluriennale per il 2028-2034 presentata ieri dalla Commissione Europea ha provocato a Bruxelles un piccolo terremoto. Il progetto – cruciale perché definisce le priorità politiche dell’esecutivo europeo e che dovrà mettere il blocco nelle migliori condizioni per rispondere agli sconvolgimenti internazionali in atto e alle sfide per la difesa e la doppia transizione energetica e digitale – prevede uno stanziamento di circa 2mila miliardi di euro. Su base nominale è quasi il doppio rispetto a quello del settennato precedente 2021-2027 (1.270 miliardi). Si tratta del bilancio “più ambizioso mai proposto” ha detto la presidente Ursula Von der Leyen: “È più strategico, più lineare, più flessibile e più trasparente. Stiamo investendo di più nella nostra capacità di risposta e nella nostra indipendenza”. L’aumento delle risorse – ha precisato la Commissione – non andrà a pesare sui singoli stati membri, il cui contributo crescerà dall’1,13 all’1,15% del pil. La maggior parte delle nuove entrate arriverà quindi dall’adeguamento e dall’incremento di rendite che l’esecutivo vuole recuperare da nuove imposte. Tra queste una tassa sulle grandi imprese, sul tabacco e sui rifiuti elettronici. Il denaro incassato servirà anche per rimborsare i prestiti del Next Generation Eu, aprendo la strada a un nuovo strumento di debito comune, da utilizzare il caso di nuove crisi. La proposta rappresenta però solo il primo passo di un percorso che già si preannuncia tortuoso. All’Eurocamera l’accoglienza è stata gelida e diversi paesi hanno già levato gli scudi contro un piano che, lamentano è “inaccettabile” e per alcuni “troppo elevato”.  

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Semplicità o tagli? 

Von ver Leyen rivendica di aver stilato un piano “più semplice e mirato”. La semplificazione si traduce in una riduzione dei capitoli di spesa, che passano dagli attuali sette a quattro. Il primo, del valore di 865 miliardi comprende fondi di coesione e della Politica agricola comune (Pac) insieme e dovrà finanziare anche la migrazione (circa 34 miliardi), la difesa e sicurezza (Frontex, Europol). All’interno di questo capitolo 218 miliardi saranno dedicati alle regioni europee meno sviluppate e 300 miliardi per i pagamenti diretti agli agricoltori. Per accedere ai fondi i governi dovranno presentare dei “Piani di partenariato nazionali e regionali”, uno per ogni Paese Ue, quindi 27 rispetto alle centinaia attuali. Il principio, come per il fondo di ripresa Covid, Next Generation Eu, è fondi in cambio di riforme. Un modello, quindi, che a differenza dell’attuale introduce condizionalità a fronte dei pagamenti e che quindi è percepito con sospetto, se non vera e propria ostilità da alcune capitali. Il secondo capitolo di spesa (circa 590 miliardi) riguarda competitività e innovazione con un fondo dedicato di quasi 410 miliardi. Il terzo capitolo “Global Europe”, per la politica estera e di vicinato vale 215 miliardi e il quarto dedicato ai costi dell’amministrazione circa 118 miliardi. A caldo, il progetto scontenta tutti: se per Siegfried Muresan del Ppe, “è la somma di 27 bilanci nazionali” che trasforma l’Europa “in un bancomat”. per i Socialisti e democratici la proposta “rappresenta un chiaro passo indietro rispetto all’interesse comune europeo”. 

Agricoltori sul piede di guerra? 

Anche il mondo dell’agricoltura è già sul piede di guerra. Se nell’ultimo bilancio pluriennale dell’Ue infatti, la Politica Agricola Comune (PAC) ammontava a 386 miliardi di euro, stavolta al comparto saranno destinati solo 300 miliardi di euro. Si tratta di una riduzione di oltre il 20% senza considerare l’inflazione “per un settore che è già sotto pressione per i dazi di Donald Trump” ha obiettato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura e del COPA, associazione che rappresenta oltre 22 milioni di agricoltori e che ha definito quello di ieri un “mercoledì nero per l’agricoltura europea”. Inoltre, mentre in passato la PAC costituiva una sezione a sé stante del bilancio, nella proposta della Commissione viene accorpata ai finanziamenti per altre politiche in un fondo destinato ai “Piani di partenariato nazionale e regionale”. Al contrario, i paesi dell’Est Europa e in particolare le regioni confinanti con Ucraina, Russia e Bielorussia  hanno ottenuto un’importante vittoria perché – come sottolinea Politico – in base al piano presentato dall’esecutivo “riceveranno più fondi rispetto alle altre per soddisfare sia le loro esigenze di sicurezza che quelle economiche”. Infine, l’Ue ha proposto di sostenere la ricostruzione dell’Ucraina e il suo percorso verso l’adesione all’UE con un ulteriore importo di 100 miliardi di euro. 

VDL tra critiche e polemiche? 

La Commissione ha cercato di calmare gli animi sostenendo che i paesi membri possono sempre integrare i fondi nazionali per l’agricoltura. Ma sono pochi a credere che i governi europei a corto di liquidità troveranno i soldi extra da destinare al settore. Per contestare i tagli, quindi, centinaia di agricoltori hanno manifestato ieri fuori dalle istituzioni europee a Bruxelles, sventolando bandiere e scandendo slogan come “Benvenuti a Vonderland”: una frecciata alla presidente per quello che considerano un tradimento del settore agricolo europeo. Gli agricoltori non sono gli unici a contestare un approccio ritenuto troppo dirigista da parte di von der Leyen, accusata da più parti di aver centralizzato le funzioni dell’esecutivo nei piani alti di Palazzo Berlaymont. Anche sul bilancio pluriennale, diversi funzionari hanno lamentato una strategia ad excludendum, rivelando che diversi commissari, compresi i vicepresidenti dell’esecutivo avrebbero potuto vedere l’insieme della proposta solo cinque giorni prima la data di adozione. Per questo ieri alcuni di loro si sarebbero ribellati, opponendosi ad alcune proposte e ritardando la presentazione del piano. Pur accogliendo le critiche tuttavia, è evidente che un cambio di passo si renda necessario. Rispetto a quando è stato adottato l’ultimo bilancio pluriennale (2021-2027) l’Europa e il mondo sono entrati in nuovo periodo storico che – come sottolineano nei rapporti di Draghi e Letta – richiede cambiamenti profondi nella gestione comunitaria, semplificazione e capacità di intervento più rapide. Ma se la diagnosi è certamente giusta, per ora la cura proposta da von der Leyen appare molto controversa. 

Il commento 

Di Antonio Villafranca, Vice Presidente per la Ricerca ISPI 

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“Abbiamo bisogno di un’Europa più forte, più capace di difendersi e di investire. Perché questo avvenga è (anche) necessario rivedere le voci di spesa del bilancio Ue e accrescere l’intero bilancio. Con la sua proposta Ursula von der Leyen tenta di fare entrambe le cose. Ma sulle voci di spesa si è già iniziato a litigare (e lo si continuerà a fare nei prossimi due anni). Sull’accrescimento del bilancio vari paesi membri (vedi la Germania) hanno messo in chiaro che non aumenteranno il loro contributo, mentre la proposta di copertura tramite tasse (es. sui tabacchi) è già stata accolta da una levata di scudi. L’incoerenza balza subito all’occhio: vogliamo un’Europa più forte, ma non vogliamo darle i soldi per esserlo”.  



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