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La volontaria cancellazione dal registro delle imprese non è implicita rinuncia all’azione


Le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 19750/2025 hanno chiarito le conseguenze in tema di titolarità dei diritti di credito in giudizio in capo a una società di cui intervenga la cancellazione con le relative conseguenze rispetto all’azione giudiziale da questa intentata. Investito della questione il massimo consesso nomofilattico la soluzione è stata dettata tramite il principio di diritto in base al quale: “« L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l’estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell’avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall’ex-socio, o nei confronti del quale quest’ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l’estinzione del credito».

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Una società correntista, unitamente al socio unico e ai propri fideiussori aveva convenuto in giudizio la banca per chiedere la restituzione degli interessi ritenuti applicati illegittimamente. Il tribunale – a parte la posizione della banca che eccepiva la prescrizione del credito vantato – aveva dichiarato cessata la materia del contendere per l’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese e di conseguenza aveva considerato tale circostanza come implicita rinuncia all’azione giudiziale da parte dell’ente, mentre nel merito dichiarava le domande dei fideiussori non azionabili in via autonoma al fine di chiedere la restituzione del credito della società.
In seguito all’impugnazione delle parti attrici il giudice di secondo grado ha accolto parzialmente l’appello condannando la banca alla restituzione del credito, in relazione alla posizione del socio unico e assorbite le domande dei fideiussori. Negando di fatto l’azionabilità del credito da parte della società cancellata.

La regola, invece, ora confermata dalle sezioni Unite è quella secondo cui va escluso che la volontaria cancellazione sia implicita rinuncia all’azione, a meno che non sia fornita prova di controparte di tale avvenuta rinuncia alle sopravvenienze attive tramite dimostrazione che sia intervenuto un esplicito atto unilaterale abdicativo ad azionare i corrispondenti diritti. Cioè la prova della rimessione del debito da parte del creditore.

Infine, sulla rilevanza dell’avvenuta o meno iscrizione in bilancio delle poste attive in contestazione la sentenza nomofilattica afferma che va esclusa l’automatica presunzione di estinzione del credito per la sua mancata iscrizione in bilancio aggiungendo che non sarebbe logica la rinuncia da parte dei soci succedutisi alla società in rapporto a un credito di cui senza evidenza contabile potrebbero anche non conoscerne l’esistenza. Potranno quindi i soci proseguire l’azione inizialmente avviata dalla società a cui il debitore si può opporre solo provando la mancata successione della controparte nella titolarità del credito originariamente spettante alla società perché questa ha rimesso il debito.



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