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Rapporto ICE 2024-2025: export italiano a -0,4%, ma le imprese sostenute dall’Agenzia volano (+8,4%). Allarme dazi USA e crisi tedesca


  • L’export italiano di merci nel 2024 si attesta a 623,5 miliardi di euro (-0,4%), soprattutto a causa della netta caduta delle vendite verso la Germania (-5%); ma rimane a +30% rispetto al 2019 (480 miliardi di euro);
  • A livello globale si intensificano le tensioni commerciali e il ricorso a forme protezionistiche, determinando un clima di forte incertezza;
  • ICE ha realizzato nel 2024 914 iniziative promozionali in 109 mercati diversi (dalla promozione fieristica al sostegno alla digitalizzazione, dagli accordi con la GDO e le piattaforme eCommerce, alle iniziative di formazione e di attrazione degli investimenti esteri);
  • L’export delle aziende che hanno usufruito dei servizi ICE nel periodo 2023-24 è cresciuto dell’8,4%.

Nel 2024 l’economia globale sembrava essersi stabilizzata, con una crescita del PIL mondiale del 3,3%, in linea con l’anno precedente, un’inflazione in lento ma costante calo – grazie alle politiche monetarie che sono rimaste restrittive – e l’occupazione tornata ai livelli precedenti la pandemia.

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Sempre nel 2024 l’UE si è confermata come il primo esportatore mondiale di beni e servizi, con una quota pari al 16,3% del totale (al netto degli scambi intra-regionali), seguita dalla Cina (14,8%) e dagli Stati Uniti (11,6%), che sono tuttavia il principale importatore (15,3%, contro il 15% dell’UE).

In Italia, dopo il netto recupero seguito alla crisi pandemica, la crescita del PIL si è stabilizzata su un tasso dello 0,7% nell’ultimo biennio, risentendo del complesso contesto internazionale. La propensione a esportare (31%) è rimasta stabile collocandosi su livelli poco inferiori rispetto a quelli di Francia e Spagna, anche se nettamente al di sotto di quelli della Germania.

Nei primi mesi del 2025, tuttavia, il panorama è cambiato rapidamente, quando la nuova amministrazione statunitense ha introdotto dazi e ne ha annunciati altri, generando incertezze sui mercati e tensioni internazionali con possibili ripercussioni sulle filiere produttive ed effetti negativi sulle prospettive dell’economia globale, intaccando quel clima di fiducia reciproca indispensabile per il funzionamento del sistema di scambi internazionali.

All’interno di questo quadro, molto complesso, l’impegno dell’Agenzia ICE si è rafforzato: sono stati aperti 5 nuovi uffici e 6 nuovi punti di corrispondenza e realizzate 914 iniziative promozionali in 109 mercati diversi. Dal 2018 al 2024 il numero di utenti che hanno richiesto servizi all’ICE è aumentato più del 50%, passando da 16mila a più di 25mila. Inoltre, nel periodo 2019-2024 l’Agenzia ICE ha seguito circa 2.370 operazioni di IDE (Investimenti Diretti Esteri), prestando i suoi servizi di assistenza in 473 casi, con una percentuale di successo del 36%.

Questa la prima valutazione che emerge dal nuovo Rapporto ICE 2024/2025, presentato ieri a Roma dal Presidente dell’Agenzia Matteo Zoppas (nella foto sopra), che illustra il quadro economico mondiale e i principali dati sulla presenza e sulla performance delle imprese italiane nei mercati internazionali.

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L’apertura dei lavori è stata del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso a cui sono seguiti le presentazioni di Matteo Zoppas e del Presidente Istat Francesco Maria Chelli, che ha introdotto l’Annuario Statistico ISTAT-ICE 2025. A seguire gli interventi di Lorenzo Galanti, Direttore Generale Agenzia ICE, Regina Corradini D’Arienzo, Amministratore Delegato e Direttore Generale SIMEST e Alessandra Ricci, Amministratore Delegato e Direttore Generale SACE. Le conclusioni sono state affidate al Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani.

Sintesi principali dati emersi dal Rapporto ICE

Lo scenario economico mondiale

Nel 2024, la crescita degli scambi di beni e servizi (+3,8%) ha superato di poco quella del PIL (+3,3%), confermando il rallentamento dei processi di globalizzazione già emerso dopo la grande crisi del 2008-09. Le previsioni per il 2025 e il 2026 suggeriscono per il commercio mondiale un andamento meno positivo (+1,7% nel 2025 e +2,5% nel 2026). Questo dato globale maschera però notevoli differenze fra le aree geografiche e suggerisce un riorientamento degli scambi fra blocchi di paesi. Considerando i singoli paesi, la Cina mantiene il ruolo di maggiore esportatore e gli Stati Uniti di principale importatore, con la Germania solidamente al terzo posto in entrambi i casi.

Al netto degli scambi intra UE, l’UE mantiene il primato come esportatore mondiale di beni e servizi, ma nel corso dell’ultimo decennio la sua quota di mercato mondiale è lievemente diminuita, a causa del calo nei beni (dal 15,2 al 13,9%), a cui ha tuttavia corrisposto un aumento nei servizi (dal 21,6 al 23,2%). L’UE mantiene peraltro un significativo surplus in entrambi i comparti: nei servizi fa registrare saldi attivi elevati soprattutto nei settori ICT, del turismo e dei trasporti, mentre il settore con il più elevato passivo (determinato dal disavanzo nei confronti degli Stati Uniti) è quello legato ai compensi per l’utilizzo della proprietà intellettuale; per quel che riguarda i beni, i deficit dell’UE nell’agricoltura e nell’industria estrattiva sono più che compensati dal forte surplus dell’industria manifatturiera, salito da 499 a 543 miliardi di euro nel 2024.

Il contributo maggiore alla crescita dell’export dell’UE è stato fornito l’anno scorso dall’industria farmaceutica, le cui vendite all’estero negli ultimi dieci anni sono aumentate a un tasso medio annuale dell’8,6 per cento, più del doppio di quello dell’insieme dei manufatti (3,9%), e che attualmente rappresenta il 12,5% delle esportazioni UE (era l’8,1% nel 2015). L’altro grande settore di specializzazione dell’UE, la meccanica, contribuisce in ampia misura alla formazione dell’avanzo delle merci, ma le sue esportazioni sono rimaste pressoché invariate nel 2024. È stata positiva la dinamica di quelle dell’industria alimentare e delle bevande (+4,3%), mentre si trova in sofferenza il settore degli autoveicoli (-5,8%).

La variabile dei dazi Usa 

Nei primi mesi del 2025 il panorama è cambiato rapidamente, quando la nuova amministrazione statunitense ha introdotto dazi e ne ha annunciati altri, generando incertezze sui mercati e tensioni internazionali con possibili ripercussioni sulle filiere produttive ed effetti negativi sulle prospettive dell’economia globale. Attualmente sono in corso colloqui bilaterali tra le due parti, il cui esito rimane ancora incerto.

La rapida escalation delle restrizioni commerciali, il perdurare delle guerre in corso e il grande aumento dell’incertezza hanno determinato una revisione al ribasso di tutte le previsioni economiche. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel World Economic Outlook di aprile 2025 ha stimato un rallentamento della crescita mondiale al 2,8% nel 2025 (era 3,3 nella previsione di gennaio) e appena migliore nel 2026 (3%), tassi al di sotto della media dei decenni scorsi.

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Dal lato degli scambi internazionali, il FMI ha indicato per il 2025 un rallentamento all’1,7%, rispetto alla previsione di gennaio pari al 3,2%. Benché i dazi siano limitati alle merci, i loro effetti si ripercuotono sull’economia in generale e, in particolare, sui servizi legati ai trasporti e alla logistica, che hanno un ruolo sempre più importante nella competitività delle esportazioni. Nel 2024 i prezzi dei cargo erano già aumentati notevolmente, anche a causa di focolai di tensione geo-politica, con tariffe dei container quattro volte superiori rispetto a quelle del 2023. Tenuto conto di questi elementi, le stime dell’OMC sugli scambi di servizi prevedono un rallentamento della crescita, che dal 6,8% del 2024 dovrebbe attestarsi al 4% nel 2025 e al 4,1% nel 2026.

Uno degli obiettivi della svolta protezionistica dell’amministrazione statunitense è il riequilibrio del saldo commerciale, strutturalmente in deficit da molti anni. Gli effetti dei dazi su questo obiettivo appaiono molto incerti, anche perché i danni che essi infliggono alle altre economie potrebbero deprimere pure la domanda di prodotti statunitensi. La svolta protezionistica degli Stati Uniti risale almeno al 2017, anche se non aveva ancora raggiunto gli attuali livelli di imprevedibilità. Si tratta di dazi contrari agli accordi sottoscritti dagli Stati Uniti e al principio di non discriminazione, che è alla base del sistema commerciale

multilaterale.

Generalmente, in risposta ai problemi creati dalla grande crisi del 2008-09, si è intensificato il ricorso ad altre forme di restrizione degli scambi. Tra queste, un ruolo politico molto rilevante è svolto dalle misure di difesa commerciale, dalle restrizioni motivate da ragioni di sicurezza nazionale, da altre forme non tariffarie di restrizione delle importazioni, quali regolamentazioni tecniche e sanitarie, che possono tradursi in una discriminazione ingiustificata nei confronti dei beni importati. L’aumento generalizzato del protezionismo è evidente anche nel ricorso crescente a forme diverse di restrizione delle esportazioni, soprattutto nel comparto delle materie prime industriali, tra cui si trovano le cosiddette “terre rare” e altri beni intermedi di importanza critica per il funzionamento delle reti produttive internazionali.

Tra le possibili modalità di gestione dell’attuale fase di crescente instabilità, si evidenzia l’opportunità che l’Unione Europea e gli altri attori rilevanti del sistema economico internazionale perseguano soluzioni cooperative, evitando dinamiche di escalation commerciale. Un esempio importante è l’accordo di partenariato tra l’UE e i quattro paesi fondatori del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), concluso nel mese di dicembre 2024, che prevede, tra l’altro, la riduzione delle barriere commerciali reciproche – ancora relativamente elevate, soprattutto per i manufatti (da parte del Mercosur) e per i prodotti agricoli (da entrambe le parti) – nonché l’adozione di standard condivisi per la sostenibilità ambientale e sociale delle attività produttive. Il processo politico che dovrebbe portare all’entrata in vigore dell’accordo si presenta però ancora irto di ostacoli. Nel 2024 e nell’anno in corso sono inoltre proseguiti negoziati ambiziosi con altri partner dell’Africa, dell’America latina, dell’Asia centrale, del Golfo Persico e dell’Indo-Pacifico.

L’Italia nell’Economia Internazionale

Le esportazioni italiane di merci si sono lievemente ridotte nel 2024 a 623,5 miliardi di euro (-0,4%), soprattutto a causa della netta caduta delle vendite verso la Germania (-5%). Le vendite all’estero sono cresciute però del +30% rispetto al 2019 (480 miliardi di euro).

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Le flessioni registrate nei mezzi di trasporto, nel sistema-moda, nei mobili, nei beni intermedi (soprattutto i derivati del petrolio) sono state compensate dagli aumenti di prodotti alimentari, chimico-farmaceutici, ICT e dal balzo della gioielleria (+39%), dovuto principalmente alla forte domanda del mercato turco.

In questo scenario è stato delineato il Piano d’Azione per l’export italiano, che pone un accento specifico sulla diversificazione geografica dei mercati di sbocco, con un orientamento verso aree extra UE a elevato potenziale di crescita – tra cui l’India, il Messico, il Brasile, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, i paesi ASEAN, l’Africa e i Balcani occidentali. Al contempo, si prevede un rafforzamento della presenza italiana anche in mercati consolidati quali Germania, Canada, Giappone, Regno Unito e Svizzera.

Un elemento strutturale rilevante in questo scenario è rappresentato dalla comprovata resilienza del tessuto produttivo italiano, in particolare delle micro, piccole e medie imprese, che continuano a evidenziare una spiccata capacità di adattamento alle mutate condizioni dei mercati internazionali. Tale resilienza si manifesta non solo nella tenuta dei flussi esportativi durante fasi congiunturali complesse, ma anche nella propensione alla specializzazione di prodotto e alla penetrazione commerciale in contesti geografici differenziati.

I MERCATI DI SBOCCO

Per quanto riguarda le esportazioni di manufatti, la lieve flessione registrata complessivamente nel 2024 è il risultato di dinamiche molto diversificate nei singoli mercati e settori. Il contributo negativo principale è venuto dalla Germania, la cui crisi economica si è tradotta in un calo del 5% delle vendite di manufatti italiani, soprattutto negli autoveicoli, nella metallurgia e nella meccanica. La forte flessione registrata in Cina (-21%) è il risultato di una correzione verso il basso del picco anomalo registrato nel 2023 dalle vendite di prodotti farmaceutici. Analogamente, la riduzione del 3,6% delle esportazioni verso gli Stati Uniti sconta il picco registrato in precedenza nella cantieristica navale.

D’altro canto, contributi positivi rilevanti derivano dalle esportazioni verso l’Arabia Saudita, cresciute di oltre il 29% grazie principalmente all’industria meccanica, e verso gli Emirati Arabi Uniti (+20,4%) per gli incrementi nella meccanica, nell’abbigliamento e nei prodotti in pelle. La crescita delle vendite in Spagna (+4,6%) ha beneficiato soprattutto degli aumenti registrati nei prodotti ICT e nella farmaceutica.

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Come già rilevato, la quota di mercato mondiale delle esportazioni italiane di merci, espressa a prezzi correnti, è rimasta sostanzialmente stabile intorno al 2,8% nell’ultimo decennio. Al lieve incremento registrato negli Stati Uniti (dove la quota si è attestata al 2,3%) e in Francia (7,9%) corrispondono flessioni altrettanto lievi in Germania (5,2%) e nel Regno Unito (3,9%), mentre sul mercato cinese la quota italiana è rimasta ferma all’1%.

LA COMPOSIZIONE TERRITORIALE

La lieve flessione registrata dalle esportazioni italiane nel 2024 è il risultato di una contrazione nel Mezzogiorno (-5,4%), nel Nord-Ovest (-2%) e nel Nord-Est (-1,5%). Nel Centro si è invece manifestata una ripresa, con una crescita del +4%.

Nel Nord-Ovest alla flessione del Piemonte (-4,9%), dovuta essenzialmente alla crisi del settore degli autoveicoli, e della Liguria (-24,1%), penalizzata dalle vendite di imbarcazioni verso gli Stati Uniti, si contrappone la tenuta della Lombardia (+0,6%), in cui le diminuzioni subite nella metallurgia e nel sistema-moda sono state compensate dalla crescita delle esportazioni di prodotti ICT, soprattutto verso la Spagna.

Nel Nord-Est sono aumentate lievemente soltanto le esportazioni del Friuli-Venezia Giulia (0,2%) e del Trentino-Alto Adige (1,9%). In Emilia-Romagna si è invece verificato un calo (-2%), che ha coinvolto la maggior parte dei settori, e in particolare l’industria meccanica, attenuato in parte dai buoni risultati ottenuti negli autoveicoli (in controtendenza con il resto del paese), nella farmaceutica e nei prodotti agroalimentari. Anche in Veneto la flessione delle esportazioni (-1,8%) ha coinvolto la maggior parte dei settori, con alcune eccezioni come l’industria alimentare, gli autoveicoli e i prodotti in legno.

Nel Centro la forte crescita delle esportazioni della Toscana (13,6%) è stata trainata principalmente dal comparto orafo (verso la Turchia) e dall’industria farmaceutica, e vi hanno contribuito anche l’agroalimentare e la meccanica; sono invece diminuite le esportazioni del sistema-moda. L’espansione delle esportazioni del Lazio (8,5%) è dovuta principalmente all’industria farmaceutica, mentre nel caso dell’Umbria (5,3%) hanno inciso soprattutto l’agroalimentare e l’abbigliamento. Per contro le esportazioni delle Marche hanno subito una drastica contrazione (-29,7%), attribuibile essenzialmente alla farmaceutica e alla cantieristica.

La flessione del Mezzogiorno è attribuibile principalmente al settore degli autoveicoli, con contrazioni molto marcate in Basilicata (-64%), Campania (-44,1%) e Abruzzo (-29%). Vi hanno concorso anche le diminuzioni registrate nel comparto aeronautico (-9,9%), presente in Puglia, Campania e Basilicata, e nei derivati del petrolio, principalmente in Sicilia (-15,5%) e in Sardegna (-4,4%). In controtendenza, hanno avuto un andamento positivo le esportazioni dell’industria farmaceutica, soprattutto in Campania, con un aumento superiore al 20 per cento, e quelle del settore agroalimentare, con aumenti del 4,4 per cento in Campania e del 17,9 per cento in Puglia.

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L’ANALISI SUI MICRO-DATI ISTAT

Per comprendere meglio le tendenze recenti delle esportazioni italiane, sulla base dei dati forniti dall’Istat, sono stati analizzati i risultati di oltre 84mila imprese “persistentemente esportatrici”, definite come quelle che hanno esportato continuativamente nel triennio 2022-24.

Le grandi imprese hanno realizzato poco più del 50% dell’export del 2024, quelle di medie dimensioni il 29,9% e le piccole e microimprese circa un quinto. Si conferma, inoltre, la rilevanza delle imprese multinazionali: quelle a controllo italiano spiegano il 40,4% dell’export registrato nel 2024, quelle a controllo estero il 33,8 per cento.

L’analisi ha anche esaminato la partecipazione delle imprese alle reti produttive internazionali (RPI, o catene del valore globali): l’accesso a input produttivi di altri paesi consente alle imprese di guadagnare in efficienza e ridurre i costi, sfruttando economie di scala, accedendo a nuove tecnologie per l’innovazione e reperendo prodotti intermedi di migliore qualità o più economici. Nel 2024 l’85,6% dell’export è stato generato da imprese coinvolte contemporaneamente in flussi bidirezionali di beni intermedi; il 10,6% da imprese coinvolte solo a monte o solo a valle; appena il 3,8% da aziende non coinvolte nelle reti produttive internazionali.

L’analisi della vulnerabilità del sistema esportatore italiano di fronte alla svolta protezionistica dell’amministrazione statunitense ha consentito di individuare un insieme di oltre 6mila imprese, con oltre 140mila addetti, esposte in modo diretto a rischi potenziali elevati. Ne fanno parte numerose imprese di piccola dimensione e con governance domestica; le imprese multinazionali, soprattutto estere, risultano invece molto meno presenti. I settori maggiormente esposti sono: l’industria delle bevande, la fabbricazione di prodotti in metallo, la farmaceutica, i mobili, il commercio al dettaglio, gli altri mezzi di trasporto. Queste imprese esportano verso gli Stati Uniti oltre 11 miliardi di euro.

ATTIVITÀ ICE NEL 2024

L’Agenzia ICE nel 2024 ha aumentato il numero di sedi estere (con 5 nuovi uffici e 6 nuovi punti di corrispondenza) e semplificato l’accesso a una vasta gamma di servizi per accompagnare le imprese nei sempre più difficili ma necessari percorsi di internazionalizzazione.

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Sono state realizzate 914 iniziative promozionali in 109 mercati diversi, con attività che variano dalla valorizzazione delle produzioni agroalimentari alla promozione fieristica, dal sostegno alla digitalizzazione delle PMI agli accordi con la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e con le principali piattaforme di eCommerce, dalle iniziative di comunicazione e di formazione per imprese ed export manager all’attrazione degli investimenti esteri.

La maggior parte delle attività di promozione del Made in Italy ha riguardato i mercati europei (24,5% del totale), il Nordamerica (19,7%) e l’Asia (18,9%).

Gli utenti che si sono rivolti ad ICE per servizi di informazione e assistenza nel 2024 hanno superato il numero di 25mila (in crescita di oltre il 50% rispetto al 2018, quando era poco sopra 16mila).

Nel corso del 2024 l’ICE ha promosso 22 vetrine virtuali del Made in Italy sui principali marketplace mondiali, aumentando notevolmente la visibilità delle PMI italiane.

L’Agenzia ICE organizza inoltre attività di formazione rivolte a imprese e giovani: nel 2024 sono state organizzate 68 iniziative con 4.483 partecipanti per un totale di circa 33mila ore di didattica erogate (in presenza e da remoto).

Nel periodo 2019-2024 l’Agenzia ICE ha seguito circa 2.370 operazioni di IDE, prestando i suoi servizi di assistenza in 473 casi, con una percentuale di successo del 36 per cento.

L’IMPATTO DEI SERVIZI ICE

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La valutazione sull’impatto dei servizi ICE, condotta regolarmente in collaborazione con l’Istat, ha evidenziato anche per il periodo 2023-24 un risultato largamente positivo per i beneficiari di servizi ICE: le imprese che hanno fruito del dei servizi promozionali e di assistenza personalizzata di ICE hanno incrementato le loro vendite estere del +8,4%, registrando una crescita superiore di +10 punti percentuali rispetto a quella del campione di imprese non-clienti. Quelle che hanno usufruito dei servizi di assistenza gratuiti hanno visto un incremento del 4,1% (+7,8 punti percentuali rispetto ad imprese simili ma non-clienti dell’Agenzia ICE).



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