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Bilancio Ue, Berlino affossa le ambizioni di von der Leyen


Inequivocabile e soprattutto irreversibile. Il secco «Nein» di Berlino al nuovo bilancio di Bruxelles affonda le possibilità di varo del piano multi-miliardario immaginato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Secondo il governo tedesco è «inaccettabile l’aumento generalizzato della spesa comunitaria nel momento in cui tutti i paesi sono impegnati a consolidare i propri budget nazionali».

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Così sentenzia la Germania, primo azionista dell’Europa sotto il profilo economico, militare e anche politico, dato che cancelliere Friedrich Merz (Cdu) resta il leader del partito che guida il Ppe, il primo Gruppo dell’Europarlamento, lo stesso a cui è iscritta la connazionale von der Leyen. Un gran rifiuto pesante come un macigno. Di fatto, la pietra tombale alla bozza del bilancio 2028-2034 proposta da Bruxelles in maniera oltremodo avventata, come provano i contemporanei mal di pancia registrati anche negli altri governi in cui risulta indigeribile la cifra-mostre di duemila miliardi.

NON È SOLO BERLINO; a mettersi di traverso al piano concepito dalla presidente della Commissione Ue è anche il cosiddetto fronte dei Paesi «frugali». La ricetta a base di debito comune e nuove tasse buttata sul tavolo da Bruxelles non piace per niente a Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca.

Nel mirino si staglia innanzitutto il meccanismo del «Catalyst-Europe» in grado di attivare oltre 150 miliardi di prestiti comuni utilizzabili «per le aree strategiche». Fumo negli occhi per i nordici convinti che «già l’assicurazione che questi saranno garantiti a livello Ue – di per sé – comporta rischi» non a caso bollati esattamente con lo stesso aggettivo usato da Merz: «inaccettabili».

Ma si lamenta anche l’Italia, altrettanto refrattaria all’introduzione di ulteriori tasse specie se incardinate sulle grandi imprese. L’idea di un’imposta Ue legata al fatturato annuo perseguita da Bruxelles viene bocciata senza alcuna distinzione di colore politico; infatti il primo ostico avversario della misura è il ministro delle Finanze tedesco, Lars Klingbeil, segretario della Spd, convinto che la sua vera priorità sia «rinforzare l’economia tedesca garantendo posti di lavoro e attraendo investimenti dall’estero. In questo contesto la proposta della Commissione invia il segnale sbagliato».

A SENTIRE KLINGBEIL duemila miliardi sono un numero fuori da qualunque scala. Bene gli investimenti sulla competitività dell’Ue e anche la maxi-spesa per la difesa tuttavia «dobbiamo assolutamente rimanere proporzionati alle nostre finanze»: è il “pizzino” a Bruxelles con la regola sulla spesa Ue che Berlino continua a considerare aurea nonostante in Germania abbia abolito il tetto al debito.

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Socialisti, conservatori, ma anche ambientalisti e liberali: Von der Leyen è riuscita a scontentare quasi tutti, senza differenze. Clamorosa la tirata di orecchie dei bavaresi da Monaco, dove il Ministro degli Affari europei, Eric Beisswenger (Csu), denuncia l’attacco della presidente della Commissione Ue nientemeno che al federalismo fondativo non solo della Bundesrepublik: «La sua proposta di bilancio priva le regioni del loro potere nella politica locale a favore dei governi nazionali». Tradotto vuol dire che la Baviera – se passa il piano di von der Leyen – avrà meno voce nel capitolo della distribuzione dei fondi Ue sui cui finora è sempre stata protagonista assoluta. Mentre il ministro dell’Edilizia bavarese, Christian Bernreiter, sempre della Csu, condanna il bilancio che per lui odora perfino di comunismo. «Gli approcci basati sull’economia pianificata non hanno mai funzionato. Le amministrazioni locali sanno meglio di chiunque altro dove i finanziamenti portano i maggiori benefici. Dobbiamo difendere con la massima forza questo punto»

SUL TOTALE del nuovo bilancio, in qualunque forma verrà approvato, la Germania contribuirà per circa un quarto. Impensabile che Bruxelles possa dettare la linea a Berlino o, peggio, mettere il governo Merz di fronte al fatto compiuto, anche se per ora solo dal punto di vista delle intenzioni. L’asse democristiano Merz-Von der Leyen funziona ma solo fino a un certo punto, finché dura la convenienza reciproca, fino a quando la seconda non chiede al primo di sobbarcarsi il progetto che coincide con la consacrazione di un potere sostanzialmente extra-politico. Troppo per il leader Cdu che non ha più bisogno di avere le spalle coperte dall’Ue per trattare con gli Usa, la Cina, Israele o immaginare patti di desistenza con le forze anti-europeiste, tra cui spicca Afd, il nemico giurato della Commissione di Bruxelles (peraltro) fondato proprio in funzione anti-euro.



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