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Il nuovo bilancio UE scatena lo scontro politico e riaccende la protesta degli agricoltori


La Commissione europea ha presentato mercoledì una proposta di bilancio settennale per il periodo 2028-2034, il Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp), da 1.816 miliardi di euro, pari all’1,26% del reddito nazionale lordo dell’UE, destinato a sostituire il quadro attualmente in vigore. Un bilancio definito dalla presidente Ursula von der Leyen come «il più grande, intelligente, più mirato e ambizioso di sempre», ma che ha immediatamente sollevato un coro di critiche e proteste da parte di eurodeputati, governi nazionali e associazioni di categoria. Per Germania e Olanda il bilancio è «inaccettabile» perché «troppo elevato», in un momento in cui tutti gli Stati membri stanno già compiendo «notevoli sforzi per consolidare i propri bilanci nazionali», come ha spiegato il portavoce del governo tedesco Stefan Kornelius.

Il progetto avanzato da von der Leyen rimodella la struttura del bilancio in una specie di puzzle che non è facile da comporre, secondo quattro pilastri principali, che riduce i capitoli di spesa dagli attuali sette a quattro. I fondi di coesione e quelli della Politica agricola comune (PAC) vengono fusi in un unico capitolo del valore di 865 miliardi, che dovrà finanziare anche la migrazione (circa 34 miliardi), la difesa e la sicurezza (Frontex, Europol). Il secondo capitolo di spesa, circa 590 miliardi, riguarda competitività e innovazione con un fondo dedicato di quasi 410 miliardi, di cui il 14% devoluto al sociale e il 35% alla transizione verde. Il terzo capitolo Global Europe, per la politica estera e di vicinato vale 215 miliardi tra cui 100 miliardi di euro per l’Ucraina, mentre il supporto militare continuerà per mezzo dello European Peace Facility. Il quarto è dedicato ai costi dell’amministrazione e vale circa 118 miliardi. 

Per le situazioni più gravi, viene anche proposto un nuovo Meccanismo di crisi straordinario, che offrirà prestiti agli Stati, ma serve l’approvazione del Consiglio. Mentre i contributi diretti degli Stati membri copriranno la maggior parte del bilancio, la presidente della Commissione prevede anche nuove tasse a livello europeo sui rifiuti elettrici, sul tabacco e sui profitti delle imprese per consentire a Bruxelles di raccogliere ulteriori entrate.

Dietro le cifre “monstre” e la retorica dell’efficienza, si delinea una strategia tecnocratica di accentramento decisionale e riduzione della trasparenza, che minaccia di stravolgere l’equilibrio istituzionale dell’Unione Europea. I membri del parlamento europeo sono, infatti, profondamente insoddisfatti della proposta del Quadro Finanziario Pluriennale e hanno minacciato fin dall’inizio di non partecipare ai negoziati sul documento. Il livello di informazioni fornite mercoledì dal commissario per il Bilancio Piotr Serafin in un incontro di presentazione con gli eurodeputati della commissione parlamentare per i bilanci (Budg) è stato giudicato insoddisfacente dai presenti, che hanno anche lamentato il consueto atteggiamento accentratore e sempre più autoreferenziale di von der Leyen e si sono detti indignati dal fatto che «la stampa sapesse più di loro». La genesi del Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2034 è stata, infatti, segnata da una segretezza anomala. I lavori preparatori sono stati condotti a porte chiuse, suddivisi in cellule tecniche compartimentate, nel timore di fughe di notizie. 

Il fulcro delle critiche riguarda la proposta di accorpare storici strumenti di bilancio – come la PAC, i fondi di Coesione e lo sviluppo regionale – all’interno di un unico contenitore denominato Piani di partenariato nazionale e regionale. A questi verrebbero destinati 865 miliardi di euro, vincolati però alla realizzazione di riforme approvate dalla Commissione. La misura, che evoca la logica dello strozzinaggio e somiglia più a una centralizzazione sotto maschera federalista, comporta in realtà un doppio effetto: da un lato la Commissione si arroga un potere di indirizzo sulle riforme dei singoli Stati, dall’altro svuota di fatto il ruolo degli enti locali – regioni e città – storicamente protagonisti nell’uso dei fondi strutturali. Non a caso, i leader del PPE, dei Socialisti, di Renew Europe e dei Verdi hanno denunciato il rischio concreto di una “rinazionalizzazione” delle politiche comuni e di una drastica riduzione del controllo parlamentare. In gioco non c’è solo la ripartizione delle risorse, ma l’architettura stessa della governance europea.

Von der Leyen parla di bilancio «più intelligente, incisivo e orientato al futuro». Eppure, le cifre suggeriscono tutt’altro. L’aumento dell’1,13% all’1,26% del reddito nazionale lordo degli Stati membri è stato bollato da molti come un’illusione contabile: il grosso dell’incremento, spiegano i relatori al Parlamento, serve unicamente a far fronte all’inflazione e alla restituzione dei debiti contratti con il Recovery Fund.

Nel frattempo, settori vitali come l’agricoltura vengono pesantemente penalizzati. La Politica agricola comune subisce un taglio drastico di 86 miliardi, scatenando la rabbia delle associazioni di categoria: Coldiretti parla di «disastro annunciato», mentre la CIA invoca la «mobilitazione permanente». Centinaia di agricoltori europei hanno manifestato a Bruxelles, chiedendo più risorse per il settore. Il premier ungherese Viktor Orban ha affondato la lama, accusando Bruxelles di abbandonare gli agricoltori per dare fondi a Kiev.

Un altro punto controverso è l’introduzione del programma Catalyst Europe: 150 miliardi di euro di prestiti garantiti dall’UE ai Paesi membri, pensati per finanziare obiettivi strategici degli Stati che ne faranno richiesta per implementare ulteriori investimenti in settori cruciali come energia, difesa e tecnologie all’avanguardia. Dietro l’apparenza di un fondo di sviluppo, si cela il ritorno della questione più divisiva d’Europa: il debito comune. La Germania, già irritata dall’aumento complessivo del bilancio, ha definito l’intera proposta «inaccettabile», ribadendo che «non è il momento di espandere la spesa europea mentre gli Stati sono impegnati nel consolidamento dei bilanci nazionali».

E mentre le risorse “proprie” – tra cui accise su tabacco, rifiuti elettronici e big tech – vengono vagliate come soluzione, molti Stati membri, specialmente quelli nordici, restano ostili a ogni forma di tassazione sovranazionale. La fotografia che emerge è quella di un bilancio modellato sull’agenda geopolitica della Commissione, in linea con una visione euro-atlantica che predilige deterrenza e controllo anziché sviluppo e coesione. Le prossime settimane saranno decisive: il Parlamento ha già minacciato di bloccare i negoziati e pretendere una nuova proposta. Ma la vera domanda è se l’Europa saprà ancora parlarsi – e ascoltarsi – oppure se si consumerà definitivamente lo strappo tra tecnocrazia e rappresentanza.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.





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