Nel panorama economico moderno, i videogiochi hanno smesso da tempo di essere un semplice passatempo per nerd di nicchia, trasformandosi in una vera e propria industria, capace di generare miliardi e occupazione. E come ogni settore che si rispetti, attira l’attenzione… e i finanziamenti statali, spesso sotto forma di crediti d’imposta.
Sembra che i governi, anche quelli più “tradizionali”, abbiano finalmente capito che sparare a mostri virtuali o costruire imperi digitali può portare benefici tangibili all’economia globale del pase. Mentre la Francia si autoproclama campione europeo, se non mondiale, nell’arena dei videogiochi, con un entusiasmo che farebbe impallidire un giocatore di Candy Crush al millesimo livello, la situazione nel Bel Paese appare, per usare un eufemismo, più contenuta.
Il tesoro nascosto per i videogiochi francesi: il CIJV
Nel cuore dell’Assemblea Nazionale francese, un rapporto denominato “Rapport d’information sur le crédit d’impôt en faveur des entreprises de jeux vidéo“ (Rapporto d’informazione sul credito d’imposta a favore delle imprese di videogiochi) ha squarciato il velo sulla “prima industria culturale” del paese, il videogioco, suggerendo un approccio metodico e un interesse concreto nel monitorare e probabilmente ottimizzare l’impatto di tali agevolazioni.
Il suo indiscusso asso nella manica? Il “Crédit d’Impôt Jeux Vidéo” (CIJV). Non un semplice incentivo fiscale, ma la “colonna vertebrale” che ha permesso alla Francia di trasformarsi in una vera e propria “terra di studi di sviluppo”, vantando 600 aziende e 1.257 giochi in produzione, per un fatturato da capogiro di 6,1 miliardi di euro nel 2023.
Il CIJV, nato nel 2007 e potenziato nel 2017, permette alle imprese di detrarre dalle imposte il 30% delle spese ammissibili, fino a un massimale di 6 milioni di euro per esercizio e per azienda. Un gioco da ragazzi, si direbbe, se non fosse che il titolo deve superare un rigoroso esame di “qualità culturale” e “originalità”.
Risultato? La spesa fiscale è esplosa da 13 milioni nel 2016 a ben 66 milioni di euro nel 2023, con il numero di giochi sostenuti quasi quadruplicato. Non solo: il CIJV è un vero e proprio “moltiplicatore di impieghi”. Una riforma del 2017 avrebbe creato o salvato circa 2.500 posti di lavoro, ovvero il 32% degli impieghi nel settore nel 2020.
Stando al rapporto, il costo per impiego creato o salvato si aggirerebbe sui 20.000 euro all’anno, e lo steso si è persino “autofinanziato” grazie alle maggiori entrate fiscali. Dunque, non solo efficiente, ma anche economicamente virtuoso, quasi un miracolo fiscale per un settore su cui aleggia ancora oggi una nube di scetticismo non indifferente.
La guerra dei pixel: Canada, Regno Unito e Germania
La Francia non è sola in questa corsa all’oro digitale e la concorrenza internazionale è particolarmente agguerrita. Il Canada, pioniere del sostegno videoludico dal 1998, offre un credito d’imposta che può raggiungere il 37,5% delle spese di manodopera, senza alcun plafond. Il Regno Unito alza la posta al 34% delle spese eleggibili, e la Germania ha un fondo federale che copre dal 25% al 50% delle spese.
Una vera e propria “guerra dei talenti” che spinge gli studi a delocalizzare o i professionisti a espatriare. Per rimanere al passo, la Francia propone modifiche ambiziose:
- Prolungare il CIJV oltre il 2026, almeno fino al 2031. Perché, si sa, i cicli di produzione sono lunghi e ci vuole visibilità e sicurezza finanziaria.
- Aumentare il tetto massimo da 6 a 10 milioni di euro per azienda. Sembra che i giochi AAA (quelli con budget da blockbuster) superino allegramente i 100 milioni di euro, e il plafond attuale limita la crescita individuale di ogni studio.
- Estendere la durata di eleggibilità da 3 a 5 anni per i progetti con budget superiore ai 5 milioni di euro. Perché un videogioco, oggi, non si crea in un battito di ciglia (o di pixel).
- Includere le spese di prototipazione e considerare i Game as a Service, con un’estensione di eleggibilità di due anni dopo il lancio per i contenuti aggiuntivi.
Ah, e non dimentichiamo il vero “boss finale” per gli studi francesi: l’amministrazione fiscale! I tempi di pagamento del CIJV possono arrivare a “quasi 18 mesi”. La soluzione è un “guichet unique” (sportello unico) per “semplificare e accelerare i pagamenti”. Un classico caso di problema burocratico che richiede una soluzione burocratica (ma si spera più rapida).
L’Italia si arrovella tra decreti e saltuarie elemosine
Mentre i francesi dibattono di milioni, plafond e accelerazioni, nel Bel Paese si parla di un “credito d’imposta definitivo aggiuntivo“. Una delizia per i palati fini della burocrazia, disciplinata da decreti ministeriali e articoli di legge. Anche l’Italia ha il suo “tax credit video-giochi”, autorizzato dalla Commissione Europea in quanto “compatibile con il mercato interno” per il suo “valore culturale”.
Il Ministero della Cultura, tramite la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, si è adoperato per definire con precisione chirurgica le “Disposizioni applicative in materia di credito d’imposta per le imprese di produzione di videogiochi”, un vero e proprio labirinto fatto di “visto”, “considerato” e “constatato” che dimostra la meticolosità del nostro apparato statale nel riconoscere tale agevolazione.
Una rassicurazione doverosa, visto che il credito, del 25% delle spese, ha un tetto massimo di 1 milione di euro per società e per anno. Un po’ meno del 30% francese e del milione di euro, non del milione di milioni dei cugini. Ma il vero tocco di classe arriva con la gestione delle risorse.
Le richieste di tax credit sono arrivate, le verifiche sono state fatte, e si è atteso lo “scadere del periodo di 36 mesi dalla pubblicazione della graduatoria” per vedere la disponibilità di fondi “aggiuntivi”. Da uno stanziamento iniziale di 5.000.000 euro per la sessione 2021-2022, dopo aver assegnato 4.721.244,16 euro, la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo ha verificato la disponibilità di risorse residue nella misura di appena 278.755,84 euro.
Questi pochi, preziosi euro sono stati riconosciuti come credito di imposta definitivo aggiuntivo a imprese come Open Lab srl (8.481,27 € aggiuntivi) e Untold Games srl (203.610,50 € aggiuntivi per il gioco “City20“). Insomma, mentre la Francia discute di come spendere centinaia di milioni e recuperare velocemente il dovuto, l’Italia centellina le briciole lasciate dal budget iniziale, con procedure che si spalmano su anni.
La domanda che sorge spontanea, guardando al quadro generale, è: come si posiziona l’Italia in questa corsa al credito d’imposta videoludico? Da una parte, troviamo un rapporto parlamentare che valuta il sistema in generale, prendendo posizione anche minuziosamente sulla questione; dall’altra, decreti ricolmi di specificità tecniche sulle modalità di applicazione e liste dettagliate di piccoli finanziamenti.
Forse l’Europa sta correndo a una velocità, la Francia ad un’altra e l’Italia… l’Italia sta certamente partecipando alla corsa, forse con un passo più cauto, ma sicuramente con una burocrazia che non teme confronti (dopotutto, è il nostro marchio di fabbrica). Ma ciò che conta, alla fine, è essere in gioco, no?
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