La Segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, apre la seconda tavola rotonda -alla quale partecipano Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy; Antonio Gozzi, Presidente di Federacciai; Chicco Testa, Presidente di Assoambiente Elena Prodi, docente al Politecnico di Milano, moderata da Andrea Pancani- dedicata ad energia, industria e innovazione “tre leve fondamentali per il futuro del nostro sistema economico” afferma.
“Oggi più che mai domandarsi “chi guida la transizione” equivale a interpellare la coscienza di chiunque abbia una responsabilità pubblica. Per troppi decenni l’Italia ha sofferto la mancanza di una visione strategica di medio-lungo periodo. Un vuoto che ha prodotto inerzie molto dannose, frenando il sistema produttivo, la qualità dell’occupazione, la competitività di sistema. Mentre altri Paesi manifatturieri si sono dotati di piani pluriennali chiari, noi abbiamo spesso assistito a interventi frammentati, discontinui, e a politiche industriali fatte di tanti incentivi a pioggia poco coordinati. Negli ultimi anni ci sono stati sforzi apprezzabili, ma ancora non sufficienti a imprimere una spinta decisiva e strutturale al nostro sistema produttivo.
Dobbiamo cambiare approccio, passare dalla logica emergenziale a una logica di visione e coordinamento italiano, ma anche europeo, sapendo che la regionalizzazione delle catene di fornitura chiama l’unione a costruire filiere industriali il più possibile integrate e non in perpetuo conflitto. Serve una visione comune di politica industriale, partecipata da attori pubblici, privati e parti sociali. Definire missioni strategiche e vocazioni territoriali, individuando i settori prioritari su cui puntare.
Accanto alle classiche misure orizzontali valide per tutte le imprese, occorre prevedere anche interventi verticali, mirati a sostenere comparti strategici. Va rafforzata l’intera filiera del valore: dalla ricerca e dal design iniziali, fino al marketing e alla distribuzione finali. È ora di investire in innovazione, logistica, reti commerciali. Per dirla in modo semplice: possiamo essere i migliori artigiani del mondo, ma se non abbiamo piattaforme e canali adeguati per far arrivare i prodotti al consumatore globale, qualcun altro raccoglierà il frutto del nostro lavoro.
Secondo punto che vorrei rimettere alla discussione: il sostegno alle imprese con condizionalità sociali e partecipative. Chiediamo di riordinare i fondi e gli incentivi alle imprese inserendo precisi orientamenti. Tra queste condizionalità, per noi è fondamentale inserire la partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti alla vita dell’impresa. La partecipazione non è solo democrazia industriale, ma anche un fattore di sostenibilità e successo dell’azienda. Imprese più partecipate sono imprese più solide e innovative. Lo Stato deve sostenere chi innova anche le relazioni industriali, chi coinvolge, crea ricchezza, non chi delocalizza o punta al profitto di breve periodo.
Terzo punto: il potenziamento della governance e dell’attuazione. Spesso in Italia non mancano le idee o i finanziamenti, ma capacità di finalizzare le idee. Una strategia è efficace solo se è anche ben implementata: senza capacità amministrativa, anche il piano migliore fallisce. Per questo chiediamo assunzioni mirate di personale qualificato nella PA, formazione manageriale, strumenti di monitoraggio e valutazione rigorosi per ogni misura adottata.
Quarta direttrice. E forse la più importante. Una politica energetica chiara, coerente e sostenibile. Energia e industria sono due facce della stessa medaglia. Senza una strategia energetica di lungo periodo non c’è futuro per la nostra industria. Negli ultimi anni, complici anche crisi internazionali (come quella del gas russo), le scelte italiane in campo energetico sono state spesso reattive e di pancia, più che frutto di una pianificazione stabile. Abbiamo fatto passi avanti sulla diversificazione delle forniture (rigassificatori, nuovi accordi), ma restiamo dipendenti per oltre il 75% dalle importazioni di energia. Questa situazione comporta un costo dell’energia più elevato strutturalmente per le nostre imprese rispetto alla media europea, ed è un macigno sulla competitività del sistema produttivo. Serve un intervento organico: riformare la fiscalità energetica (per esempio riducendo gli oneri impropri in bolletta), accelerare gli investimenti in rinnovabili e reti, e creare strumenti per stabilizzare i prezzi – anche con piattaforme di acquisto comune a livello europeo. Sulle fonti rinnovabili siamo ancora indietro: troppa burocrazia rallenta fotovoltaico ed eolico, le reti intelligenti e gli accumuli di energia stentano a decollare. Inoltre, senza pregiudizi ideologici, riteniamo che vada considerata anche l’opzione del nucleare di nuova generazione nel mix energetico: le tecnologie avanzate di terza e quarta generazione possono contribuire alla stabilità delle forniture e alla riduzione delle emissioni, in sicurezza.
La sfida industriale ed energetica non si vince da soli: l’Europa è il contesto decisivo. Oggi assistiamo a una competizione globale per la leadership tecnologica e industriale: Cina e Stati Uniti stanno investendo somme enormi e attuando politiche aggressive per dominare le filiere della transizione verde e digitale. L’Europa rischia di diventare il vaso di coccio tra vasi di ferro, schiacciata fra questi due giganti se non reagisce con unità e visione. Purtroppo, finora la reazione europea è stata timida e contraddittoria. Il Green Deal nella sua impostazione iniziale peccava di ideologia luddista e scarsa neutralità tecnologica. Inoltre, nel modo in cui è stato concepito, non ha avuto proprio nulla di “Patto”, mostrando unilateralismo e scarsa consapevolezza degli impatti industriali delle misure ambientali e favorendo a priori alcune soluzioni autolesionistiche, a partire dall’auto elettrica, invece di fissare obiettivi lasciando aperte le vie tecnologiche. In pratica, si è deciso in stanze chiuse di penalizzare interi settori – a partire dall’automotive – senza predisporre adeguati strumenti di compensazione, evoluzione o supporto. La nuova Commissione UE ha proposto un passo avanti ma ancora insufficiente e privo delle risorse necessarie per accompagnare davvero le nostre industrie nelle transizioni gemelle verde e digitale.
Chiediamo maggiore protagonismo dell’Europa, con un salto di qualità nella massa critica delle risorse, e una scala paragonabile a quelle di Cina e USA.
Servono insomma investimenti europei coordinati e una regia che eviti che ogni Paese vada per conto proprio. L’Italia deve fare la sua parte, ma l’Europa è il nostro moltiplicatore naturale. In conclusione, chi guiderà la transizione? La risposta non può che essere una: se non vogliamo andare a sbattere la dobbiamo guidare insieme, con una politica industriale nuova, concertata e coraggiosa. Dobbiamo avere il coraggio di una visione: immaginare l’Italia come un Paese che innova, che diventa campione nelle tecnologie pulite, che crea lavoro qualificato rispettando l’ambiente. Un’Italia in cui la bolletta energetica non sia più un freno, ma dove un nuovo mix energetico sia il primo volano di crescita. Un’Italia in cui fabbrica e digitale, economia e ecologia marcino insieme. Nessuno può farcela da solo: né lo Stato, né le imprese, né i lavoratori. Ma unendo le forze, con un patto per l’industria e il lavoro, possiamo veramente guidare la transizione invece di subirla. Questo è il momento di decidere il nostro futuro”. Ci interessa molto ascoltare le vostre idee e proposte su come dare sostanza a questa visione e accendere il motore dello sviluppo sostenibile del Paese.”
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