Microcredito

per le aziende

 

tipologie, dimensioni e cause del trend negativo


Il contesto italiano degli ultimi anni è segnato da una diffusione sempre più ampia delle crisi aziendali, soprattutto tra le piccole e medie imprese. Gli effetti dell’instabilità geopolitica, del rialzo dei tassi d’interesse e dell’aumento dei costi di energia e materie prime si aggiungono a fragilità strutturali storiche del tessuto imprenditoriale italiano.

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Secondo i dati più recenti, oltre l’85% delle aziende attive manifesta almeno un segnale di squilibrio finanziario, mentre le chiusure accelerate coinvolgono in modo particolare le imprese di minori dimensioni e quelle più giovani. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, normato dal D.Lgs. 14/2019, ha reso evidente come la prevenzione e il monitoraggio degli squilibri assumano un valore strategico per la sopravvivenza delle aziende e la tenuta del sistema economico.

Gli indicatori della crisi: dati sulle cessazioni, le tipologie e la distribuzione geografica

Nel primo semestre del 2025 si sono registrate 2.876 procedure concorsuali tra fallimenti e liquidazioni giudiziali (fonte: Creditsafe), dato in aumento rispetto agli anni precedenti (+8% rispetto al 2024, +25% sul 2023). Liquidazioni giudiziali – introdotte con il nuovo Codice – sono più che raddoppiate rispetto al 2023. La fotografia è la seguente:


  • Distribuzione geografica: il Sud è l’area più penalizzata, raccogliendo il 26% delle nuove procedure (con un aumento del +45% rispetto al 2023). Il Centro segue con il 23% e un aumento del 12%. Nel Nord-Ovest si segnala un incremento (13%), a fronte di una lieve riduzione nel Nord-Est (-6%).

  • Tipologie giuridiche: l’82% delle aziende coinvolte sono società di capitali, l’11% sono imprese individuali e il 7% società di persone. Questo dato indica come nemmeno la struttura formale più “robusta” possa garantire immunità dalla crisi, se non accompagnata da strategie di gestione adeguate.
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  • Crisi nelle “giovani imprese”: più della metà delle chiusure riguardano aziende con meno di dieci anni, con un forte aumento tra le società attive tra i due e i cinque anni (+52%).

Il fenomeno non è omogeneo: la presenza di aree storicamente più fragili conferisce una forte dimensione territoriale al rischio della chiusura aziendale in Italia. Provando a dare alcuni numeri:







Anno

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Cessazioni

% rispetto all’anno prima

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

2023

2.300

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2024

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

2.660

+15%

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2025

2.876

+8%

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Dimensioni e fragilità delle imprese: micro, PMI e settori più colpiti

Le micro imprese costituiscono il 75% dei casi di crisi nel 2025. Desta attenzione anche il dato sulle medie imprese, che pur rappresentando solo il 2% del totale, segnano un incremento del 50% delle chiusure rispetto al 2024. La dimensione aziendale, in Italia, resta un elemento discriminante, poiché implica una difficoltà di accesso al credito e una minore propensione all’innovazione. In pratica:


  • Commercio: mantiene il primato delle procedure concorsuali (649 nel semestre), riflettendo le difficoltà del settore ad adattarsi alla digitalizzazione nel consumo e alla contrazione della domanda.

  • Edilizia: 551 procedure, con un aumento del 15%. I rincari dei costi dei materiali e la conclusione dei bonus fiscali hanno impattato pesantemente.

  • Manifattura: quota 493 chiusure (-6%), ma permane fra i comparti ad elevato rischio, soprattutto a causa dei costi energetici e della debolezza della domanda estera.

La concentrazione della fragilità tra micro e PMI viene confermata anche da studi come quello realizzato da Cerved, che evidenzia come le imprese di piccole dimensioni, spesso prive di una regia finanziaria strategica e di adeguati assetti organizzativi, restino particolarmente esposte ai rischi sistemici.

La crisi del settore automotive: produzione vs commercio e fattori di vulnerabilità

La filiera dell’automotive è esempio di come difficoltà e resilienza convivano in comparti ad alta densità industriale. I dari rivelano che:


  • Commercio automotive: il comparto, che rappresenta il 97% delle imprese della filiera, ha vissuto una crescita (+6% tra il 2021 e il 2024). Tuttavia, l’aumento delle cessazioni (+8% nel 2024) rivela quanto la concorrenza e il ricambio di mercato giochino un ruolo decisivo.

  • Produzione automotive: con soli 1.929 operatori (3% della filiera), il settore produttivo affronta un calo del -42,8% nella produzione di autovetture (fonte ANFIA). La crisi colpisce soprattutto il Sud e le Isole (fino a -18% di aziende dal 2021), nonché l’occupazione (-6% in tre anni, con picchi negativi nelle aree meno industrializzate).

  • Consolidamenti selettivi: il segmento di produzione di carrozzerie (Ateco 29.2) vede diminuire il numero di aziende ma aumentare la forza lavoro (+12%), segno di una selezione che favorisce le realtà più strutturate.

I fattori di vulnerabilità includono il rincaro dei costi, la transizione tecnologica verso l’elettrico e la pressione competitiva internazionale, in particolare dalla Cina. Elementi ben fotografati anche dal rapporto del Centro Studi Confindustria e da ricerche CRIF in ambito di rischi finanziari associati all’automotive.

Cause strutturali e congiunturali: dall’accesso al credito alla trasformazione digitale

Le cause che alimentano la crisi aziendale sono molteplici e intrecciano fattori congiunturali ed elementi strutturali. L’accesso al credito rimane una delle principali criticità per il sistema produttivo. Secondo i dati di Cerved e Cribis, molti istituti di credito valutano le imprese esclusivamente sulla base dei bilanci depositati; in particolare, documenti redatti in forma abbreviata penalizzano l’accessibilità e la rapidità nelle istruttorie, indipendentemente dalla reale solidità aziendale. Le anali vanno oltre e raccontano che:


  • Stringenti criteri di rating bancario: algoritmi come quelli di CreditSafe, ModeFinance e Cribis penalizzano bilanci minimali e opachi, ponendo le PMI Italiane Chiusura Creditsafe 2025 in una posizione svantaggiata rispetto a competitor internazionali.

  • Burocrazia e carenze manageriali: la complessità normativa italiana spesso ritarda la reazione agli shock di mercato e limita la capability gestionale soprattutto per le aziende familiari e non strutturate.

  • Ritardi nella trasformazione digitale: le piccole aziende tendono a mostrare una minore propensione a investire in processi innovativi, un gap che aumenta l’esposizione al rischio nel medio termine.

  • Effetto fine sussidi: con la graduale eliminazione degli aiuti pandemici, molte realtà fragili sono rimaste prive di paracadute finanziario.

Tali criticità sono oggetto di attenzione anche nei report di Banca d’Italia e negli approfondimenti Consob, che sottolineano il legame tra difficoltà di accesso al credito, inadeguatezza dei bilanci e scarsa attrattiva per investimenti esterni.



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