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Ricchissime banche. Utili al massimo storico, ma il credito a famiglie e imprese non decolla


Il triennio 2022–2024 si è rivelato un periodo eccezionale per le banche italiane. Stando ai dati diffusi dalla Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani, gli istituti di credito hanno totalizzato oltre 112 miliardi di euro di utile netto in tre anni. Solo nel 2024 il sistema bancario ha messo a segno un nuovo massimo in termini di utile netto con 46,5 miliardi, in crescita del 14% rispetto al già ricco 2023. La performance è stata favorita da un contesto particolarmente redditizio, determinato soprattutto dalla politica monetaria della Banca centrale europea, che a partire dal 2022 ha inaugurato una stagione di rialzo dei tassi di interesse. Tuttavia, mentre i bilanci bancari sorridono, i prestiti a imprese e famiglie restano deboli: secondo il rapporto mensile dell’Associazione bancaria italiana (Abi), a giugno 2025 la crescita su base annua è stata appena dello 0,9%. Il risultato è comunque migliore di quello registrato a maggio, quando i prestiti alle famiglie erano aumentati dell’1,5% mentre quelli alle imprese erano diminuiti dell’1,4%.

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Guardando al passato, tra il 2018 e il 2021 il comparto bancario aveva vissuto una fase di incertezza e profitti contenuti: gli utili netti oscillavano tra i 15 e i 16 miliardi l’anno, con un minimo storico di appena 2 miliardi nel 2020, nel pieno della pandemia. La timida ripresa del 2021 (16,4 miliardi) è però stata l’anticipo del vero punto di svolta, arrivato nel 2022. Con l’avvio della stretta monetaria della Bce, l’utile netto delle banche italiane è raddoppiato a 25,5 miliardi di euro, segnando l’inizio di un triennio d’oro. Gli istituti sono tornati a guadagnare principalmente grazie al margine d’interesse, ovvero il differenziale tra quanto incassano dai prestiti e quanto pagano sui depositi. Nel 2023 la tendenza è proseguita con un balzo del +55% degli utili netti rispetto all’anno precedente. Insieme ai profitti, sono migliorati anche gli indicatori di efficienza e solidità: il rapporto tra costi e ricavi è calato, il rendimento sul capitale è aumentato e la qualità del credito si è attestata tra le migliori d’Europa.

Di fronte a un quadro così florido, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenendo all’Assemblea annuale dell’Abi, si è lanciato in un vero e proprio rimprovero alle banche. “L’inversione di rotta rispetto a dove eravamo dieci anni fa è netta”, ha esordito, sottolineando la tenuta del sistema bancario e la fiducia mostrata dagli investitori. Tuttavia, “il rafforzamento in termini organizzativi, reddituali e patrimoniali delle banche italiane degli ultimi 15 anni non si è tradotto in condizioni più favorevoli al credito, ma al contrario, in una riduzione delle erogazioni alle imprese”, ha evidenziato Giorgetti. Secondo il ministro, le banche si sono concentrate troppo sulla gestione patrimoniale e sulla distribuzione dei dividendi, trascurando la loro funzione di intermediazione del risparmio e quindi di supporto alla generazione di nuova ricchezza. Eppure, tra il 2022 e il 2024 la contrazione del rapporto deficit/Pil e la discesa dello spread hanno creato le condizioni ideali per rilanciare il credito. “Mi attenderei che le banche approfittino di questo quadro mutato e dedichino il più possibile a fare la loro parte: tornino a fare le banche, ovvero a raccogliere, tutelare e prestare il risparmio, guadagnando sul classico margine di interesse”.

Giorgetti ha quindi puntato il dito contro una visione eccessivamente finanziarizzata del ruolo bancario, che rischia di trascurare le esigenze di famiglie, imprese e territori. Esempio ne è stato l’atteggiamento passivo nell’adeguare i tassi di remunerazione dei conti correnti. “Le banche italiane hanno giocato prevalentemente di rimessa, attivandosi sulla spinta della concorrenza delle altre banche europee e degli operatori fintech. Occorre invece che siano proattive, che sappiano consigliare la propria clientela su come ripartire in modo efficiente i risparmi”, ha sottolineato il ministro. “È evidente come gli eccezionali rendimenti totali riconosciuti agli azionisti negli ultimi due anni sono stati possibili anche grazie alle garanzie pubbliche prestate in occasione del Covid”, ha proseguito, ricordando il ruolo decisivo dello Stato durante gli anni più difficili. Giorgetti ha però invitato le banche a uscire dalla logica dell’emergenza per tornare al “business as usual”: valutare il merito creditizio, ridurre l’asimmetria informativa e operare come ponti tra risparmiatori e tessuto produttivo.

Alla luce degli ultimi dati, neanche le opposizioni hanno risparmiato critiche alle banche. In particolare, i parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni bilancio e finanze di Camera e Senato hanno evidenziato che “tra margini e commissioni, le banche continuano a fare utili a valanga, arricchendosi ancora di più dopo la fase dell’aumento dei tassi. Come ci racconta oggi la Fabi, nel 2024 parliamo di 46,4 miliardi di utili, +183% rispetto al 2021”. Eppure, questi “superutili” non si sono tradotti in benefici per l’economia reale, ma “sembrano aver appagato solo gli appetiti degli azionisti”. Il risultato? Tre anni di crescita irrisoria e un calo persistente della produzione industriale. Il M5S non risparmia critiche neppure alla gestione della situazione da parte del governo Meloni. “Potevano fare molto, hanno deciso di non fare niente, preferendo farsi baciare in fronte dalle agenzie di rating”, accusano i parlamentari.



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