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Trattativa sui dazi in stallo, torna il fantasma ritorsioni


Lo stallo nelle trattative sui dazi tra Stati Uniti e Unione europea riporta sulla scena lo spauracchio dell’escalation commerciale. Non ha avuto successo la proposta, cara alla Germania, di abbassare i dazi sulle auto europee (al 17,5%) in cambio di dazi zero alle auto americane. Certo la cosa non è piaciuta al cancelliere Friedrich Merz, con la prima economia europea che ha aperto all’utilizzo del meccanismo di anti-coercizione più volte evocato dalla Francia, la più intransigente nelle trattative con gli Usa. Il fatto che si arrivi a evocare un tale bazooka significa che le trattative si stanno svolgendo in un clima teso e rischiano la rottura in qualsiasi momento: il meccanismo anti-coercizione dell’Ue è un’arma potente, che significherebbe per gli Usa nuovi dazi, restrizioni agli investimenti, barriere alla fornitura di servizi, revoca di licenze, divieti e restrizioni ad aziende, limitazioni alla partecipazione degli appalti pubblici.

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Ma certamente dà la misura di quanto il viaggio a Washington del commissario al Commercio Maros Sefcovic non abbia fornito i frutti sperati con i giorni che passano inesorabili in vista della data dell’1 agosto, termine ultimo fissato da Donald Trump (che chiede un’aliquota almeno al 20%) per trovare un accordo prima dell’entrata in vigore delle tariffe al 30% per tutta l’Unione. Uno scenario da incubo per molte imprese, con danni potenziali stimati in 35 miliardi dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Ancora più da incubo, però, sarebbe uno scenario di ritorsioni e contro ritorsioni: Trump ha già detto che eventuali risposte europee si aggiungerebbero ai dazi già stabiliti. Immaginarsi come reagirebbe se gli si ponesse davanti un’arma estrema come il meccanismo anti-coercizione. Il lato più debole degli Stati Uniti sono i cosiddetti servizi digitali, quelli dove le sue big tech macinano ricavi stellari in Europa: non a caso Trump ha imposto al G7 di esentare le imprese a stelle e strisce dall’applicazione della Global Minimum Tax. Sempre uno studio della Cgia evidenzia come nel 2022 i primi 20 colossi del web hanno fatturato 1.345 miliardi. In Italia nello stesso periodo hanno realizzato 9,3 miliardi di euro di ricavi, versando la miseria di 206 milioni al fisco. Facendo un paragone con quanto versato dalle piccole imprese tricolori (con fatturato fino a 5 milioni) merge che queste hanno versato 27,2 miliardi di tasse: 132 volte di più dei colossi Usa. In uno scenario estremo, ma comunque tecnicamente possibile, il meccanismo anti-coercizione potrebbe azionare limitazioni parziali o complete ai vari Meta, Amazon e Google con l’effetto di dare una mazzata a e-commerce e ricavi pubblicitari (ancor più remota la possibilità, a dire il vero solo teorica, di un oscuramento di social, motori di ricerca e servizi vari).

Se la Ue affondasse il colpo sulle big tech, non è da escludere che ci possano essere grossi scossoni a Wall Street: basti pensare che le sette più grandi come Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet, Amazon, Meta e Tesla valgono da sole un terzo dell’indice principale di Borsa (l’S&P 500).

Sarebbe comunque uno scenario di guerra, sconveniente all’Europa quanto agli Usa. Ragione per cui il governo italiano continua a invitare alla ragione e alla trattativa.

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“La migliore risposta ai dazi è negoziare, in maniera seria, ferma e coerente”, ha detto il vice ministro delle Imprese Valentino Valentini, intervistato dal settimanale Moneta che invita anche a guardare altrove per compensare le perdite di export dagli Usa “rivolgendosi a quei mercati mondiali che sono impattati come noi e che, come noi, intendono comunque mantenere viva la propria attività commerciale”.



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Lo stallo nelle trattative sui dazi tra Stati Uniti e Unione europea riporta sulla scena lo spauracchio dell’escalation commerciale. Non ha avuto successo la proposta, cara alla Germania, di abbassare i dazi sulle auto europee (al 17,5%) in cambio di dazi zero alle auto americane. Certo la cosa non è piaciuta al cancelliere Friedrich Merz, con la prima economia europea che ha aperto all’utilizzo del meccanismo di anti-coercizione più volte evocato dalla Francia, la più intransigente nelle trattative con gli Usa. Il fatto che si arrivi a evocare un tale bazooka significa che le trattative si stanno svolgendo in un clima teso e rischiano la rottura in qualsiasi momento: il meccanismo anti-coercizione dell’Ue è un’arma potente, che significherebbe per gli Usa nuovi dazi, restrizioni agli investimenti, barriere alla fornitura di servizi, revoca di licenze, divieti e restrizioni ad aziende, limitazioni alla partecipazione degli appalti pubblici.

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Ma certamente dà la misura di quanto il viaggio a Washington del commissario al Commercio Maros Sefcovic non abbia fornito i frutti sperati con i giorni che passano inesorabili in vista della data dell’1 agosto, termine ultimo fissato da Donald Trump (che chiede un’aliquota almeno al 20%) per trovare un accordo prima dell’entrata in vigore delle tariffe al 30% per tutta l’Unione. Uno scenario da incubo per molte imprese, con danni potenziali stimati in 35 miliardi dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Ancora più da incubo, però, sarebbe uno scenario di ritorsioni e contro ritorsioni: Trump ha già detto che eventuali risposte europee si aggiungerebbero ai dazi già stabiliti. Immaginarsi come reagirebbe se gli si ponesse davanti un’arma estrema come il meccanismo anti-coercizione. Il lato più debole degli Stati Uniti sono i cosiddetti servizi digitali, quelli dove le sue big tech macinano ricavi stellari in Europa: non a caso Trump ha imposto al G7 di esentare le imprese a stelle e strisce dall’applicazione della Global Minimum Tax. Sempre uno studio della Cgia evidenzia come nel 2022 i primi 20 colossi del web hanno fatturato 1.345 miliardi. In Italia nello stesso periodo hanno realizzato 9,3 miliardi di euro di ricavi, versando la miseria di 206 milioni al fisco. Facendo un paragone con quanto versato dalle piccole imprese tricolori (con fatturato fino a 5 milioni) merge che queste hanno versato 27,2 miliardi di tasse: 132 volte di più dei colossi Usa. In uno scenario estremo, ma comunque tecnicamente possibile, il meccanismo anti-coercizione potrebbe azionare limitazioni parziali o complete ai vari Meta, Amazon e Google con l’effetto di dare una mazzata a e-commerce e ricavi pubblicitari (ancor più remota la possibilità, a dire il vero solo teorica, di un oscuramento di social, motori di ricerca e servizi vari).

Se la Ue affondasse il colpo sulle big tech, non è da escludere che ci possano essere grossi scossoni a Wall Street: basti pensare che le sette più grandi come Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet, Amazon, Meta e Tesla valgono da sole un terzo dell’indice principale di Borsa (l’S&P 500).

Sarebbe comunque uno scenario di guerra, sconveniente all’Europa quanto agli Usa. Ragione per cui il governo italiano continua a invitare alla ragione e alla trattativa.

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“La migliore risposta ai dazi è negoziare, in maniera seria, ferma e coerente”, ha detto il vice ministro delle Imprese Valentino Valentini, intervistato dal settimanale Moneta che invita anche a guardare altrove per compensare le perdite di export dagli Usa “rivolgendosi a quei mercati mondiali che sono impattati come noi e che, come noi, intendono comunque mantenere viva la propria attività commerciale”.



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