Secondo un’analisi pubblicata oggi dal Centro Studi di Confindustria, l’introduzione di dazi del 30% sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti avrebbe un impatto significativo sull’economia nazionale. La stima è chiara: a parità di cambio euro-dollaro, l’export italiano di beni oltreoceano si ridurrebbe di circa 38 miliardi di euro, che corrispondono al 58% dell’attuale volume di vendite italiane negli Stati Uniti. In termini più ampi, ciò rappresenterebbe il 6% dell’export complessivo dell’Italia e un colpo diretto pari al 4% della produzione manifatturiera nazionale.
L’impatto dei dazi Usa sul made in Italy: -0,8% di Pil entro il 2027 secondo Confindustria
L’effetto netto sul Prodotto interno lordo, secondo lo scenario elaborato dagli economisti di Confindustria, sarebbe una riduzione dello 0,8% del Pil italiano nel 2027 rispetto al percorso di crescita previsto in assenza di misure tariffarie. Un dato che tiene conto sia dell’effetto immediato sul commercio sia delle ricadute indirette sull’intera filiera industriale. Sebbene la struttura dell’industria italiana presenti alcune capacità di assorbimento degli shock, in particolare nella ricerca di mercati alternativi e nella competitività qualitativa dei prodotti, l’impatto resta rilevante.
Diversificazione e valore aggiunto non basteranno a compensare
Il Centro Studi sottolinea che le imprese italiane potrebbero parzialmente mitigare gli effetti della chiusura del mercato statunitense attraverso strategie di diversificazione geografica e una crescente focalizzazione su fattori competitivi non legati al prezzo – come design, innovazione, qualità, sostenibilità. Tuttavia, anche ipotizzando un certo grado di riorientamento delle esportazioni verso altri mercati, l’ammanco in termini di ricchezza generata sarebbe difficilmente recuperabile nel breve-medio termine. In particolare, la perdita riguarderebbe comparti altamente integrati con la catena del valore globale, e spesso con investimenti produttivi o commerciali già consolidati sul suolo americano.
I settori più esposti: manifattura, moda, meccanica e agroalimentare
Le aree produttive più colpite da un’eventuale stretta tariffaria Usa includerebbero la meccanica strumentale, il settore automotive, la moda, il lusso, ma anche l’agroalimentare. Si tratta di comparti chiave dell’economia italiana, non solo per il volume di esportazioni, ma anche per la loro capacità di trainare occupazione e innovazione. Le imprese esportatrici italiane, che in molti casi hanno costruito negli anni una relazione stabile con il mercato statunitense, si troverebbero di fronte a un bivio: aumentare i costi per mantenere le vendite oppure riposizionarsi altrove, con tutti i rischi e le incognite del caso.
Il contesto geopolitico e le incognite sulla politica commerciale Usa
L’allarme lanciato da Confindustria si inserisce in un contesto internazionale caratterizzato da crescenti tensioni protezionistiche, in particolare alla vigilia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dove l’eventualità di una nuova amministrazione Trump rende plausibile una politica commerciale più aggressiva. Un ritorno ai dazi su scala ampia, come già sperimentato durante il primo mandato di Trump, riaprirebbe scenari complessi per l’export europeo e in particolare italiano, mettendo a rischio la stabilità di molte imprese medio-piccole che si sono affacciate con successo sui mercati americani negli ultimi dieci anni.
Richiesta di una risposta europea coordinata e proattiva
Confindustria lancia infine un appello alle istituzioni italiane ed europee affinché si preparino a rispondere in modo coeso a eventuali misure protezionistiche statunitensi. La costruzione di accordi commerciali alternativi, il rafforzamento delle relazioni con l’area asiatica e sudamericana, l’investimento in politiche industriali comuni sono indicati come strumenti essenziali per limitare l’esposizione e rafforzare la resilienza dell’industria continentale. Senza una strategia condivisa, il rischio è che l’Italia si trovi ad affrontare una nuova fase di rallentamento, in un momento in cui la crescita già appare fragile e disomogenea.
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