Con l’avvicinarsi della scadenza del primo agosto, è necessario che Bruxelles continui a negoziare con Washington fino all’ultimo momento disponibile. Tuttavia, qualora non riuscisse a ottenere un accordo “ragionevole”, dovrà redigere un pacchetto di controdazi a cui aggiungere delle misure sanzionatorie nei confronti delle grandi aziende tecnologiche statunitensi.
Visto che anche in Europa realizzano utili da capogiro, è inaccettabile che queste realtà continuino a pagare le tasse nei paesi a fiscalità di vantaggio. Questa condotta, oltre a essere eticamente riprovevole, continua a essere un cavallo di battaglia politico dell’Amministrazione Trump. A tal punto che nel G7 di Kananaskis (Canada) dello scorso mese di giugno, gli USA hanno imposto un accordo che esenta le proprie multinazionali dall’applicazione della Global minimum tax (Gmt). Una tassazione mondiale al 15 per cento in capo ai colossi con un fatturato superiore ai 750 milioni di euro all’anno che, invece, rimarrà applicata solo alle grandi holding dei paesi Ocse. Questa riflessione giunge dall’Ufficio studi della CGIA.
Con dazi al 30%, un costo fino a 35 miliardi l’anno
I dazi doganali al 30 per cento pretesi dall’Amministrazione Trump potrebbero innescare una serie di effetti diretti sulle nostre esportazioni a cui andrebbero sommati anche quelli indiretti – come l’ulteriore svalutazione del dollaro sull’euro1, un aumento dell’incertezza dei mercati finanziari e un probabile incremento del costo di molte materie prime – in grado di provocare un danno economico al nostro sistema produttivo fino a 35 miliardi di euro all’anno. Praticamente la dimensione di una finanziaria. La stima è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA.
Alcuni dati sui colossi del web
I primi 20 colossi tecnologici statunitensi2 hanno prodotto a livello mondiale un fatturato aggregato che nel 2022 ammontava a 1.345 miliardi di euro. Un importo, quest’ultimo, che in quell’anno ha sfiorato il 70 per cento del Pil italiano; mentre le principali multinazionali del web presenti in Italia3, sempre tre anni fa hanno realizzato nel nostro Paese un fatturato di 9,3 miliardi di euro, versando al fisco italiano “solo” 206 milioni di euro4.
Il confronto tra piccoli e WebSoft
Se le nostre piccole e micro imprese nel 2022 hanno pagato 27,2 miliardi di tasse5, i 16 gruppi (che controllano 47 società) di big tech presenti in Italia6 ne hanno versate molte meno: come dicevamo più sopra, solo 206 milioni di euro7. Certo, le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse, ma, dal punto di vista della CGIA, il risultato che emerge è sconsolante. Se le piccole aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 98,5 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 132 volte più delle seconde8. Insomma, possiamo affermare con buona approssimazione che la distanza in termini di fatturato non giustifica quella relativa al gettito, così svantaggiosa per le PMI. Certo, quella appena richiamata è una comparazione che presenta una serie di limiti metodologici e non ha alcun rigore scientifico. Tuttavia, il ricorso sistematico all’elusione praticato negli anni ha incrementato questo gap, mettendo in evidenza in misura inequivocabile che, in Italia, alle multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato un trattamento fiscale di grande “favore”.
Solo in Molise le big pagano più tasse delle imprese locali
Se a differenza di quello che abbiamo appena illustrato, allarghiamo il confronto a tutte le imprese presenti in ciascuna delle 20 regioni italiane e i colossi del web che operano nel nostro Paese9, l’Ufficio studi della CGIA rileva che solo le attività economiche del Molise pagano meno tasse delle big tech presenti nel nostro Paese. I 206 milioni di imposte versate dai giganti del WebSoft non hanno nulla a che vedere con quanto pagano le imprese lombarde che, invece, danno all’erario 144,6 volte in più, quelle laziali 60,4 volte in più e quelle venete 42,3 volte in più.
1 Ricordiamo che dall’inizio del 2025 fino a oggi, il dollaro si è svalutato del 13,5 per cento rispetto all’euro.
2 Amazon.com, Alphabet, Microsoft, Meta Platforms, International Business Machines, Oracle, Uber Technologies, Salesforce.com, Adobe, Booking Holdings, Automatic Data Processing, Vmware, Waifair, Qurate Retail, Expedia, Chewy, Ebay, Airbnb e Actvision Blizzard.
3 Adobe, ADP, Alibaba, Alphabet, Amazon (10 società con sede in Italia), Booking, IBM, JD.com, Meta, Microsoft, Oracle, Otto, SAP, Salesforce, Uber e Vipshop.
4 Area Studi Mediobanca, Software & Web companies (2019-2023), Milano, 14 dicembre 2023.
5 Stiamo parlando di 2,9 milioni di imprese con un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro. Non sono inclusi i lavoratori autonomi in regime forfettario. Le imposte calcolate sono Irpef, Ires e Irap.
6 Adobe, ADP, Alibaba, Alphabet, Amazon, Booking, IBM, JD.com, Meta, Microsoft, Oracle, Otto, SAP, Salesforce, Uber e Vipshop.
7 L’importo di 206 milioni di euro include anche la Digital Service Tax. Quest’ultima è un’imposta pari al 3% dei ricavi generati nel periodo di imposta derivanti dalla fornitura di servizi digitali, applicata alle imprese che, individualmente o a livello di gruppo, hanno realizzato un ammontare di ricavi pari o superiori a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nello Stato italiano non inferiori a 5,5 milioni di euro.
8 Il fatturato delle piccole imprese italiane nel 2022 è stato pari a 916,3 miliardi di euro. Sempre nello stesso anno quello delle principali big tech presenti nel nostro Paese ha toccato i 9,3 miliardi di euro.
9 Secondo l’Area Studi di Mediobanca la quasi totalità opera a Milano e provincia.
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