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Corsi di formazione professionale online, l’e-learning non è un antidoto all’ansia da obsolescenza


I corsi di formazione professionale online sono onnipresenti in Italia. Dovrebbe essere un bene, almeno per i professionisti che ogni giorno devono misurarsi con l’esigenza di restare competitivi. Eppure, mai come oggi, le partite IVA rischiano di navigare in un mare di contenuti, corsi, webinar e consigli di “fuffa guru” che non offrono altro che fumo, a fronte di perdite di tempo e denaro. Imparare a dire di no è il primo modo per combattere l’ansia da obsolescenza.

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I numeri dei corsi di formazione professionale

I dati ci dicono che la formazione continua, soprattutto digitale, sia un mercato in pieno fermento. Dopo la pandemia, numeri record: secondo il rapporto di Arizton, il mercato globale dell’e-learning è passato da 14 miliardi di dollari nel 2021 a una proiezione di oltre 475 miliardi entro il 2027, con una crescita annua di oltre il 14%. In Italia si stima che il mercato valga oltre 500 milioni di euro, come indicato dal Business intelligence group.

Il fatturato delle aziende italiane di edtech nel 2022, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, ha superato i 2,8 miliardi di euro. Anche perché le imprese italiane investono circa il 47% del proprio budget formativo in digital learning.

Quanto spendono i professionisti per l’e-learning

In Italia il costo medio orario per un corso di formazione professionale è di 57 euro, con una media annua di 21 ore di corso per partecipante. La spesa media è dunque di 1.200 euro annui, ma con differenze significative sui casi singoli, perché esistono corsi di istituti ed enti rinomati che possono costare anche 10 mila euro. Il paradosso, però, è che solo il 40% degli studenti – secondo le statistiche di Coursera – porti a termine i corsi a cui si è iscritto.

Le piattaforme leader crescono a ritmi vertiginosi e ogni giorno se ne aggiungono delle altre, che promettono una formazione “non formale”, e talvolta informale, che non si traduce sempre in un valore aggiunto. Il problema non è la quantità, piuttosto la qualità dell’approccio. Siamo passati dalla “carestia formativa” degli anni ’90 all’indigestione informativa di oggi, senza però sviluppare tutti gli anticorpi necessari a distinguere ciò che nutre da ciò che avvelena.

Le paure che i “fuffa guru” dell’e-learning conoscono bene

Formatori, “fuffa guru” e influencer hanno trovato il loro mercato. Con i loro corsi di formazione professionale online promettono di trasformare chiunque in un imprenditore di successo in pochi giorni, oppure tecniche miracolose per far crescere i guadagni o migliorare il work-life balance. Tra loro anche autori di bestseller motivazionali, personaggi che vantano community e visibilità mediatica.

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Dietro la fame insaziabile di certificazioni si nascondono le nostre paure più profonde. Prima tra tutte l’ansia da obsolescenza professionale, amplificata dalla velocità del cambiamento tecnologico. Non lo confessiamo spesso, ma crediamo di essere sempre in procinto di diventare “inutili”, un timore che ci spinge a confondere l’aggiornamento con l’accumulo compulsivo di nozioni.

E poi c’è il grande equivoco su informazione e competenza. Aver visto un webinar sulle neuroscienze applicate al management non ci rende esperti di HR. Eppure il marketing aggressivo dell’industria della formazione, che ha imparato a giocare sulle umane insicurezze, fa cadere nella trappola un numero di professionisti in vertiginoso aumento. La promessa di successo rapido e la paura di essere tagliati fuori restano due leve potenti, in grado di superare qualsiasi barriera razionale.

I sintomi della bulimia formativa

Dalla sindrome del lunedì alla sindrome del corso del lunedì il passo può essere breve. Molti professionisti cominciano continuamente nuovi percorsi formativi, spinti dall’entusiasmo del momento, salvo poi abbandonarli alle prime difficoltà o per mancanza di tempo. Il risultato? Una collezione di corsi incompleti che fanno crescere il senso di inadeguatezza.

Poi c’è la paralisi decisionale. Davanti a centinaia di piattaforme a disposizione, e soprattutto migliaia di opzioni formative diverse ma apparentemente pertinenti, si finisce spesso per bloccarsi oppure scegliere in base al prezzo più basso e alla promessa più accattivante. Criteri, questi, che raramente portano a decisioni convenienti.

Per uscire da questo labirinto è necessario cambiare mentalità, passando dalla logica dell’acquisto della formazione a quella della crescita. Ogni investimento serio richiede analisi, strategia, pazienza, tempo, impegno, costanza. Prima di iscriversi a qualsiasi corso – per far sì che rappresenti davvero un investimento – bisogna chiedersi cosa si intenda trasformare concretamente del proprio lavoro e come si misureranno i risultati. In assenza di questi elementi, l’investimento rappresenta soltanto uno spreco.

Un altro criterio di scelta dovrebbe essere quello temporale, soprattutto se si parte da zero. Bisogna diffidare dai corsi che promettono trasformazioni rapide, perché tutte le competenze professionali si costruiscono nel tempo, con pratica costante e feedback continui. E poi ci sono le competenze dei formatori: è facile confondere la visibilità mediatica con le competenze reali, ma un vero esperto ha tracce concrete del proprio lavoro, un elenco di clienti a suffragio della bontà della sua offerta.

Un buon corso di formazione, inoltre, crea connessioni produttive durature. I migliori investimenti formativi non sono soltanto quelli che insegnano qualcosa, ma quelli che costruiscono relazioni professionali significative, un network reale su cui contare ogni giorno.

Corsi di formazione professionale online: imparare a dire di no per essere più competenti

Il miglior investimento formativo che si possa fare per il proprio lavoro è imparare a dire di no al 98% dell’offerta sul mercato, senza farsi assalire dal dubbio patologico su “ciò che sarebbe potuto essere”. Bisogna dire sì in modo consapevole al restante 2%, scegliendo meno, ma meglio.

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I professionisti italiani possono dedurre fiscalmente il 50% delle spese di formazione e aggiornamento professionale – come indicato dall’art. 54 del TUIR – compresi master, corsi e convegni. Un incentivo che dovrebbe spingere verso scelte ponderate e di qualità. Questo non significa avere un atteggiamento conservatore, ma essere strategici. Perché il boom quantitativo delle entrate del settore dell’e-learning non si è ancora tradotto in un miglioramento qualitativo dell’apprendimento professionale, né in un incremento esponenziale dei redditi o del PIL a livello nazionale.

Nessun professionista che sappia applicare ciò che ha imparato – e che serve a qualcuno – può diventare “inutile”. Questa consapevolezza non può essere insegnata attraverso un corso, ma è il motivo essenziale per cui esiste qualsiasi business: l’offerta di una soluzione a un problema specifico, anche apparentemente banale, che può cambiare la vita delle persone.



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