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Tariffe al 20% potrebbero invece ridurre la crescita del 65%. Ma le aziende restano resilienti: le operazioni M&A all’estero crescono del 17%. E il private equity si conferma centrale
Donal Trump rischia di azzerare la timida crescita tricolore. A dirlo è uno studio di EY, che ha calcolato che cosa accadrebbe alla nostra economia se l’amministrazione Usa confermasse dazi al 20% o al 30% sui prodotti Ue a partire dal prossimo primo agosto. Il Pil italiano è infatti atteso in espansione dello 0,6% quest’anno e dello 0,8% nel 2026, ma nel caso di tariffe più stringenti potrebbe subire una riduzione cumulata di circa l’1,4%, azzerando di fatto la crescita prevista, con un impatto negativo complessivo stimato poco sotto i 30 miliardi. Se invece venisse confermato il 20%, in linea con quanto comunicato agli inizi di aprile, il conto si aggirerebbe intorno ai 20 miliardi, con una contrazione del 65% delle attese di crescita (-0,9% cumulato tra il 2025 e il 2026).
Aziende resilienti: aumentano le acquisizioni all’estero
Nonostante lo scenario grigio, l’EY Parthenon Bulletin assicura che le aziende italiane stanno mostrando una forte capacità di reazione sul piano internazionale. Nei primi sei mesi del 2025, infatti, c’è stata una crescita significativa degli investimenti da parte di imprese tricolori su target estere con 143 acquisizioni annunciate, in aumento del 17% rispetto alle 122 dello stesso periodo del 2024. Non solo. In espansione è risultato anche il valore, passato da 7,1 miliardi di euro a 13,5 miliardi, con il settore industriale che da solo rappresenta il 24% delle transazioni. “L’incremento delle acquisizioni all’estero è un segnale della volontà del business di rafforzare la presenza a livello mondiale e di diversificare i mercati di sbocco, anche alla luce delle tensioni commerciali in atto. Nonostante ulteriori eventuali margini negoziali, realisticamente l’ammontare delle tariffe generalizzate difficilmente potrà essere inferiore al 20%”, commenta Marco Daviddi, managing partner EY-Parthenon in Italia.
Per l’esperto, le implicazioni in termini di crescita globale e per i mercati finanziari sono estremamente rilevanti, anche se gli impatti più consistenti si avranno nel corso del 2026. “È fondamentale che le istituzioni italiane ed europee adottino politiche coerenti e orientate allo sviluppo strategico, in particolare nei settori industriale ed energetico”, avverte. Rimarcando come la semplificazione degli incentivi e la promozione di investimenti sostenibili rappresentino leve cruciali per affrontare le sfide dei prossimi mesi, “così come l’accelerazione di accordi commerciali tra vari player mondiali ed europei”.
M&A, pipeline solida e aspettative ottimiste
Nei primi sei mesi del 2025, in Italia sono state annunciate circa 600 acquisizioni con un valore complessivo (laddove disponibile) di circa 18,7 miliardi di euro. Rispetto alle 564 registrate nei primi sei mesi del 2024, c’è stato un incremento del 6% in termini di numero di deal annunciati, ma una riduzione del 50% del volume totale di investimenti, in parte dovuta alla fase di incertezza che ha caratterizzato il primo trimestre del 2025 e che persiste ancora oggi. Di conseguenza, secondo lo studio, sono calati anche i cosiddetti megadeal (operazioni con controvalore superiore a 1 miliardo di euro), mentre il mid market ha segnato una flessione meno rilevante in termini di valore.
I settori che hanno guidato gli investimenti sono principalmente il comparto industriale, con il 22% del numero di operazioni annunciate, seguito dai beni di consumo (18%) e tecnologia, e da quello dei servizi ed energy & utilities (11%). Sebbene il comparto industriale continui a essere quello di punta, si è registrato un calo dal 27% al 22% in termini di numero di deal. Al contrario, i beni di consumo e i servizi hanno messo a segno un incremento, in quanto nella prima metà del 2024 rappresentavano rispettivamente il 16% e 9% del numero di operazioni, così come il settore finanziario che ha registrato una crescita di rilievo, con un incremento dal 5% al 7%.
Il private equity si conferma motore di crescita
Private equity e fondi infrastrutturali hanno continuato a essere un elemento trainante del mercato M&A italiano, con circa 242 operazioni di buy-out su target tricolori, con un valore aggregato, quando disponibile, di circa 12,5 miliardi, rispetto alle 246 operazioni per circa 14,9 miliardi totali dello stesso periodo del 2024. I fondi si confermano essere una significativa percentuale di acquirenti nelle operazioni annunciate, raggiungendo il 41%. Inoltre, il numero di investimenti effettuati attraverso le portfolio companies, note anche come add-on, rimane importante, superando il 40% del totale delle operazioni effettuate dai fondi
Il rinnovato slancio delle privatizzazioni
Il report evidenzia poi la centralità per la strategia economica del Paese dello sviluppo dell’agenda infrastrutturale, con gli investimenti pubblici che fungono da catalizzatore. Tuttavia, viene sottolineato, per aumentare l’impatto e diversificare le fonti di finanziamento è importante coinvolgere il capitale privato, una leva che non è ancora stata pienamente sfruttata. Questo coinvolgimento, secondo gli esperti EY, dovrebbe avere due obiettivi principali: mobilitare il capitale privato per integrare la spesa pubblica, attraverso privatizzazioni mirate e partnership strategiche lungo la catena del valore delle infrastrutture, e aumentare le entrate da indirizzare verso investimenti o alla gestione del debito. Inoltre, nuovi modelli di partenariato pubblico privato, che possano consentire al settore pubblico di mantenere controllo e governo delle infrastrutture, possono anche migliorare l’efficienza, la sostenibilità e la competitività globale delle infrastrutture italiane, anche introducendo modelli di remunerazione degli investimenti (RAB) che premiano livello dei servizi ed investimenti. E per gli investitori, questo rappresenta una forte opportunità per sostenere la transizione dell’Italia verso un’economia moderna ed efficiente, allineando capitale, riforme strutturali e obiettivi nazionali a lungo termine.
Le privatizzazioni, conclude dunque lo studio, possono tornare al centro della strategia economica nazionale non come soluzione d’emergenza, ma come leva strutturale per attrarre capitale, rafforzare le infrastrutture, migliorare il livello dei servizi ed al contempo ridurre la pressione sul bilancio statale, seppure nel rispetto del mantenimento del controllo pubblico di infrastrutture critiche. L’obiettivo, si legge, è raccogliere circa 20 miliardi entro il 2026 tramite cessioni di minoranza, Ipo di società pubbliche, modelli concessori e PPP (Partenariato Pubblico-Privato). Diversi casi concreti sono in fase di analisi e preparazione, con focus su porti, aeroporti e reti di trasporto.
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