Dazi al 30% e dollaro svalutato. Sono queste le due minacce principali che, secondo l’ultimo rapporto del Centro Studi di Confindustria, pesano sul futuro a breve termine dell’economia italiana.
L’effetto combinato di una politica commerciale statunitense sempre più aggressiva e di un tasso di cambio sfavorevole sta già producendo i suoi effetti, erodendo la fiducia di imprese e famiglie con conseguenze dirette su investimenti, consumi ed export. Il quadro che emerge è quello di una crescita in affanno, dove i pochi segnali positivi – come il parziale rientro del prezzo del petrolio e i tassi d’interesse ai minimi – non sembrano in grado di compensare i colpi dell’incertezza.
L’industria, cuore pulsante dell’export, mostra segni di stagnazione, mentre il settore dei servizi, pur rimanendo in territorio positivo, rallenta la sua corsa. Per l’Italia si prospetta insomma una fase complessa, che richiederà un’attenta valutazione delle strategie per difendere la competitività del sistema produttivo.
Il peso dell’incertezza su investimenti e consumi
L’incertezza è il principale avversario delle decisioni economiche a lungo termine e i suoi effetti sono chiaramente visibili sulle scelte di investimento delle imprese italiane. Gli indicatori per il secondo trimestre dell’anno segnalano un deterioramento delle condizioni per investire.
Nonostante un leggero recupero della fiducia a giugno, il dato rimane su valori bassi e in calo rispetto al primo trimestre. Un segnale ancora più tangibile arriva dagli ordini di beni strumentali, che si confermano su livelli estremamente bassi. Le imprese, di fronte a un futuro poco decifrabile, preferiscono posticipare o ridimensionare i piani di investimento.
La stessa prudenza si ritrova anche nelle abitudini di spesa delle famiglie. Nel primo trimestre, a fronte di una crescita del reddito reale disponibile, i consumi sono aumentati in misura molto più contenuta. La spiegazione risiede nell’incremento del tasso di risparmio, una scelta dettata da finalità precauzionali. Le famiglie, percependo un orizzonte economico instabile, preferiscono accantonare risorse piuttosto che immetterle nel circuito dei consumi. I dati più recenti confermano questa tendenza: la fiducia dei consumatori è nuovamente scesa a giugno e le immatricolazioni di autoveicoli hanno registrato un crollo significativo, a testimonianza della riluttanza verso acquisti importanti e durevoli.
Manifattura in affanno, servizi in rallentamento
L’analisi settoriale conferma le difficoltà del quadro generale.
Il settore manifatturiero, colonna portante dell’export italiano, è tornato a mostrare segnali di debolezza. Dopo un avvio d’anno relativamente positivo, la produzione industriale ha registrato una contrazione a maggio.
Le indagini congiunturali suggeriscono una grande cautela da parte degli imprenditori, consapevoli che la minaccia dei dazi mette nuovamente a rischio la competitività del Made in Italy. L’indice PMI manifatturiero di giugno è sceso ulteriormente, posizionandosi in area di recessione, un segnale che anticipa possibili difficoltà anche per i prossimi mesi.
Nemmeno il settore dei servizi, che aveva mostrato maggiore resilienza, appare immune al rallentamento. Sebbene il fatturato complessivo sia stimato in crescita nel secondo trimestre, grazie anche all’apporto del turismo straniero, gli indicatori più recenti sono meno favorevoli. L’indice PMI dei servizi, pur rimanendo in zona di espansione, ha segnato una flessione a giugno, indicando un ritmo di crescita più blando.
L’economia italiana si trova quindi a fronteggiare un indebolimento che non è più confinato alla sola industria, ma che si sta estendendo anche al terziario.
Lo spettro dei dazi e l’erosione della competitività
Il vero nodo è comunque la politica commerciale degli Stati Uniti. Le tariffe sui prodotti europei, già portate al 10%, saliranno al 30% in assenza di un accordo entro l’1 agosto. L’escalation tariffaria, unita a un dollaro che da inizio anno si è svalutato di oltre il 13% rispetto all’euro, crea una miscela potenzialmente esplosiva ai danni delle esportazioni italiane. La svalutazione del biglietto verde rende infatti i prodotti dell’Eurozona automaticamente più costosi per gli acquirenti americani, erodendo i margini di competitività.
I primi effetti di questa situazione sono eterogenei. Nel primo trimestre c’è stata un’accelerazione delle vendite verso gli USA, probabilmente per anticipare l’entrata in vigore delle nuove tariffe. I dati successivi mostrano però che i settori già colpiti da dazi elevati, come metalli e autoveicoli, sono in forte calo.
L’impatto simulato sull’economia nazionale
Il Centro Studi di Confindustria ha elaborato una simulazione per quantificare le conseguenze di dazi permanenti al 30%. Lo scenario è allarmante. L’export di beni italiani verso gli Stati Uniti potrebbe ridursi di circa 38 miliardi di euro, un valore che corrisponde al 58% delle attuali vendite in quel mercato e al 6% dell’export totale italiano.
L’impatto netto, pur mitigato da una parziale ricollocazione delle vendite su altri mercati, si tradurrebbe in una riduzione del 4% dell’export totale di beni e dell’1% degli investimenti in macchinari. Complessivamente il livello del PIL italiano nel 2027 risulterebbe inferiore dello 0,8% rispetto a uno scenario senza dazi, con una perdita stimata di quasi 200.000 unità di lavoro annue.
Uno sguardo oltre confine
Allargando lo sguardo al quadro internazionale, l’Eurozona appare in difficoltà, con Germania e Francia in affanno (anche se l’economia tedesca sembra mostrare qualche segnale positivo), mentre solo la Spagna mostra una dinamica espansiva più solida.
Gli Stati Uniti hanno dovuto arrendersi a un ribasso del PIL nel primo trimestre, a cjui fa da contraltare qualche segnale di crescita della produzione industriale.
La Cina conferma invece una crescita robusta, trainata dalla manifattura high-tech, sebbene la domanda interna mostri segnali di volatilità.
La strategia per l’Italia – dicono gli analisti del CSC – non può quindi che passare da un duplice binario. Da un lato potenziare il mercato unico europeo, riducendo le barriere che ancora ne frenano il pieno potenziale. Dall’altro accelerare la diversificazione geografica degli scambi, puntando con decisione su mercati ad alto potenziale di crescita come il Mercosur, l’India e i paesi dell’area Asean.
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