Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

I dazi invisibili dell’Ue, cosa e come funzionano le barriere interne che frenano le imprese italiane




Conto e carta

difficile da pignorare

 

Ultim’ora news 21 luglio ore 17


La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ne ha parlato più volte. E anche con tono polemico. «Chiedo all’Unione europea di eliminare i cosiddetti dazi interni, che penalizzano le nostre imprese» con ostacoli che gli Stati si sono autoimposti. 

Eppure, ufficialmente, nell’Unione Europea non esistono dazi doganali tra gli Stati membri. È uno dei pilastri del mercato unico: dal 1993 le merci possono circolare liberamente tra i Paesi dell’Unione, senza tariffe doganali, senza restrizioni quantitative e senza controlli sistematici alle frontiere interne. Allora a cosa si riferisce la premier effettivamente? Quali sono queste «barriere non tariffarie» che riproducono gli effetti dei dazi e rendono il commercio intraeuropeo meno fluido di quanto dovrebbe essere?

Barriere normative, fiscali o amministrative

Si tratta di cosiddette barriere non tariffarie (Bnt): normative, fiscali o amministrative che limitano o rallentano lo scambio di beni tra Paesi Ue, generando costi e ritardi che agiscono, di fatto, come «dazi interni». Un primo esempio riguarda le accise e l’Iva, che restano di competenza nazionale.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Ogni Stato applica proprie aliquote su prodotti come carburanti, alcol e tabacchi, creando differenziali di prezzo che disincentivano gli acquisti transfrontalieri. Così, mentre formalmente non esiste alcuna tassa sull’importazione di benzina dalla Slovenia all’Italia, la differenza di trattamento fiscale – legata alle accise italiane più alte – fa sì che l’operazione risulti comunque penalizzata economicamente. Lo stesso vale per prodotti alcolici o per sigarette, con effetti simili a quelli di un dazio.

In modo simile, anche la gestione dell’Iva varia da Paese a Paese: adempimenti, modalità di registrazione, tempi e controlli fiscali spesso divergono e possono diventare un ostacolo concreto, soprattutto per le piccole e medie imprese che vogliono operare in più mercati Ue.

Dal packaging ai prodotti agricoli

Un secondo livello di barriere riguarda le norme tecniche e i requisiti regolamentari. In teoria, la normativa europea dovrebbe garantire il principio del «mutuo riconoscimento»: se un prodotto è conforme in uno Stato membro, deve essere accettato anche negli altri. In pratica, molti Paesi mantengono regole proprie in materia di etichettatura, confezionamento o requisiti sanitari.

Così, un piccolo produttore italiano di formaggi può trovarsi in difficoltà a esportare in Germania, se non adegua il packaging o non supera controlli igienico-sanitari aggiuntivi. Allo stesso modo, per un produttore di elettrodomestici, la presenza di standard tecnici leggermente diversi – come requisiti di compatibilità elettromagnetica o forme delle prese elettriche – può costringere a produrre versioni diverse dello stesso prodotto per ogni mercato.

Anche materiali apparentemente standardizzati, come i materiali da costruzione, possono richiedere certificazioni locali aggiuntive o test duplicati, con conseguente rallentamento delle forniture.

Controlli, burocrazia e protezionismo mascherato

Non mancano poi i controlli amministrativi su alcune categorie sensibili, come i prodotti agricoli o gli animali vivi. Anche se non sono dazi, questi controlli possono rallentare significativamente la logistica, creando costi e incertezza per le imprese esportatrici. Il settore agroalimentare è tra i più colpiti da queste frizioni invisibili, spesso legate a motivi di sanità pubblica o tracciabilità, ma che si prestano a interpretazioni discrezionali da parte degli Stati membri.

Infine, ci sono casi di vero e proprio protezionismo mascherato. Alcuni governi utilizzano strumenti burocratici o scuse formali per scoraggiare le importazioni da altri Paesi Ue, a protezione dei propri produttori nazionali. È accaduto, ad esempio, con il riso italiano in Francia, o con l’olio d’oliva spagnolo in alcuni mercati del Nord Europa, rallentati da controlli straordinari o cavilli tecnici.

Altri esempi si trovano nel settore degli appalti pubblici, dove la complessità della documentazione o requisiti nazionali troppo specifici possono di fatto scoraggiare la partecipazione di imprese estere, nonostante le regole comunitarie parlino di piena apertura. Tutti questi fenomeni non violano apertamente le regole del mercato unico, ma le aggirano. L’effetto, però, è lo stesso: scoraggiare la concorrenza, aumentare i costi e limitare l’integrazione economica. Con buona pace della libera circolazione. (riproduzione riservata)

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi