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PIL E LAVORO/ Ecco quanto vale l’economia del mare in Italia


In Italia l’economia blu vale oggi circa il 3,5% del Pil e coinvolge oltre un milione di lavoratori. Le prospettive sono di crescita

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Parliamo spesso del mare come se fosse solo vacanze, paesaggi, romanticismo. Ma dietro le onde c’è molto di più. Il mare è, a tutti gli effetti, un gigantesco motore economico, eppure non tutti sanno che in Italia l’economia blu – quell’insieme di attività che dipendono direttamente o indirettamente dall’ambiente marino – vale oggi circa il 3,5% del Pil e coinvolge oltre un milione di lavoratori. Una cifra enorme se ci pensiamo e non si tratta solo di porti, pesca e cantieristica: al centro della nuova economia blu ci sono energie rinnovabili marine, biotecnologie, turismo sostenibile, innovazione ambientale.



Nel 2025, secondo quanto emerge dal XII Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare, redatto da Unioncamere in collaborazione con il Centro Studi Tagliacarne, le imprese del settore marino e costiero sono 228mila e danno lavoro a 1.040.172 persone, generando 64,6 miliardi di euro di valore aggiunto. Ma se si guarda anche l’indotto, si sale a 178,3 miliardi, cioè oltre il 10% del Pil nazionale.



La crescita dell’occupazione nel settore è tutt’altro che marginale: nel 2023 l’aumento è stato del 6,6% rispetto all’anno precedente, a fronte di un +1,7% dell’occupazione generale in Italia. È un segnale forte, che colloca il nostro Paese tra i primi tre in Europa per valore economico della Blue Economy, insieme a Spagna e Francia (dati Eurostat 2024).

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Ma non è solo questione di numeri, cresce anche la domanda di competenze: Istat segnala un incremento nei profili richiesti con skill green e digitali, quelli che oggi vengono chiamati “blue-green jobs”. Le attività consolidate – cantieristica, pesca, trasporto marittimo, turismo costiero e portualità – impiegano ancora oggi stabilmente oltre 400.000 persone, ma la vera svolta arriva da settori emergenti che stanno contribuendo a diversificare il mercato del lavoro, rendendolo meno stagionale e più qualificato.



Nel corso degli ultimi dieci anni, il comparto ha conosciuto alti e bassi: si è passati da un picco di oltre 610.000 occupati nel 2013 a un brusco crollo nel 2014, con una perdita di oltre 200.000 posti, seguito da una risalita costante fino alla pandemia. Il 2020 ha segnato un calo netto del 30%, ma il rimbalzo è stato forte, sostenuto da fondi pubblici, investimenti privati, dal Green Deal europeo, piano Ue per rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050, e dal Just Transition Fund, fondo Ue per aiutare le regioni più colpite dalla transizione ecologica, sostenendo imprese e occupazione.

L’economia del mare è un settore in movimento, ogni anno cresce di circa il 3%, ma ci sono le nuove filiere con picchi di crescita del 6% come l’eolico offshore, la desalinizzazione, le biotecnologie marine, la rigenerazione costiera e l’innovazione portuale. Il Green Deal europeo punta molto su questo sviluppo e non a caso l’Ue ha stanziato 6 miliardi di euro nel periodo 2021-2027 per aiutare i Paesi membri a supportare le attività sostenibili in mare, come le fonti rinnovabili di energia (onde, maree, eolico offshore), l’acquacoltura green, i porti a basse emissioni, la rigenerazione costiera e le tecnologie per il monitoraggio ambientale.

Grazie ai fondi della Missione Europea Restore our Ocean and Waters by 2030 e al progetto BlueMissionMed, che rappresenta la declinazione italiana della missione Ue, vengono coinvolti molti soggetti – pubblici e privati – che stanno collaborando per sviluppare tecnologie, infrastrutture e costruire nuovi modelli economici a basso impatto e più digitali.

A Roma, nella cornice post-industriale del Gazometro Ostiense, si è svolta il giugno scorso l’edizione 2025 del Blue Planet Economy, evento sostenuto da Lazio Innova agenzia della Regione Lazio, che ha portato a confronto centinaia di attori diversi come imprese, start-up, università ed enti pubblici. Nei giorni del summit è stata annunciata anche la nascita del nuovo Osservatorio nazionale sulla Blue Economy, con il contributo di Ispra (Istituto Superiore della Protezione e Ricerca Ambientale), Cnr (Centro Nazionale di Ricerca) ed Enea (Agenzia Nazionale della Ricerca di Nuove Tecnologie e dell’Energia).

L’idea è quella di raccogliere dati, analizzare tendenze economiche ma anche monitorare la salute del mare e delle sue coste. I risultati verranno elaborati e interpretati per capire come si possa innovare senza impattare negativamente sull’ambiente marino e orientare le politiche blu in Italia.

Numeri e politiche da soli non bastano, il tema è anche culturale: le direttive europee ci portano a scoprire un rapporto diverso con il mare, che consideri insieme economia, scienza, sostenibilità e tradizione. L’economia blu può diventare davvero un “luogo di sintesi”, dove l’Italia mette a frutto la sua vocazione marinara e grazie al suo patrimonio di 8 mila km di coste può giocare un ruolo da protagonista nel Mediterraneo.

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