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Prandini (Coldiretti): “Inaccettabile il taglio dei fondi alla Pac”


Il bilancio 2028-2034 proposto dalla Commissione Ue ha suscitato numerose polemiche da parte delle organizzazioni sindacali del settore agricolo. Il taglio del 20% alla Politica agricola comune (Pac), la proposta di fusione con i fondi di coesione, vincoli burocratici sempre più gravosi ma anche l’ipotesi di nuovi dazi dagli Stati Uniti preoccupano l’agricoltura italiana ed europea. Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, ha parlato di questi temi a Fortune Italia, denunciando le contraddizioni di una politica comunitaria che, a suo dire, penalizza i produttori europei rispetto ai concorrenti esteri e rischia di aprire la strada a una concorrenza sleale tra Stati membri.

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Con un taglio del 20% del budget della Pac quali sono i rischi che corre il settore agricolo?

Si tratta di un taglio delle risorse per 770mila imprese. Questo dato non è una nostra stima, ma emerge chiaramente dalle dichiarazioni del commissario all’Agricoltura, Christoph Hansen, che ha rimarcato come un successo l’aver salvato l’80% del budget destinato al nostro settore. Al contrario, per noi è un fallimento senza precedenti, poiché non solo perdiamo il 20% dei fondi, ma non vediamo nemmeno riconosciuto il dato legato all’inflazione di questi anni. E proprio in quest’ottica, a nostro avviso, sarebbe stato necessario un aumento delle risorse a disposizione, tenendo conto che stiamo parlando di un bilancio pluriennale che arriva al 2034.

Quali filiere rischiano di essere colpite maggiormente?

Il settore vitivinicolo potrebbe essere uno dei più colpiti poiché, oltre a vivere una crisi di carattere economico a livello europeo, verrà equiparato al tabacco e sarà dunque impossibilitato ad accedere alle risorse del cosiddetto ‘accoppiato europeo’. Sottolineo questo aspetto perché ciò potrebbe valere anche per altri comparti e così facendo viene posto in essere un meccanismo di esclusione per alcuni settori ed è una cosa assolutamente antistorica. Secondo Coldiretti, sarebbe invece necessario creare delle misure a sostegno per determinati settori, proprio per evitare che le filiere vadano in difficoltà.

Perché è importanti che i fondi agricoli rimangano separati da quelli di coesione?

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Tenerli separati è innanzitutto fondamentale per evitare la confusione sui numeri. Mescolare le risorse destinate all’agricoltura con quelle dei fondi di coesione potrebbe far risultare una situazione pressoché invariata in termini nominali, ma in quelli reali si avrà un cambiamento significativo e una sicura diminuzione dei fondi per l’agricoltura. Quindi, per noi è centrale che la Politica agricola comune resti come è, anche perché è uno dei pilastri fondanti dell’Europa stessa. Cancellandone la storia e l’importanza sarà più facile in futuro suddividere le risorse e destinarle ad altre esigenze degli Stati membri. In questo modo si ritornerebbe ad una sorta di nazionalizzazione della Politica agricola comune con tutto quello che ne deriva e l’Italia, stante il debito che ha accumulato, non potrà competere con le azioni di carattere finanziario che la Germania, per citarne una, potrà fare. Dunque, si verrà a creare una forma di concorrenza interna tra Stati.

Le proteste sono già cominciate. Come pensa di muoversi Coldiretti per contrastare il piano di Von der Leyen?

Siamo solo all’inizio del percorso e abbiamo 2 anni per modificare al meglio la proposta presentata dalla Von der Leyen, che Coldiretti contesta sotto tutti i punti di vista, anche in termini strategici: perché l’Europa perde una grande occasione. In altre parti del mondo ci sono sempre più investimenti sull’agroalimentare poiché non si tratta solo di un tema economico, ma anche sociale. Di fronte a tutto ciò la nostra azione sarà in primis rivolta verso il Parlamento europeo, che ha la possibilità bloccare ciò che la Commissione ha proposto sul piano finanziario. Successivamente, faremo pressione sul Consiglio europeo a cui partecipano i capi di Stato o di governo dei Paesi membri e, dato che questa manovra entrerà in vigore a fine del 2027 – anno in cui molti Stati saranno in campagna elettorale – penso che non sia nell’interesse di nessuno esasperare i toni rispetto a importanti settori produttivi. Inoltre, nella sfida di carattere globale in cui ci troviamo, indebolire i comparti economici sarebbe una mossa antistorica e antieconomica.

Lei ha parlato di un dazio occulto della burocrazia di Bruxelles. Ci può spiegare meglio cosa intende?

Oggi un imprenditore agricolo trascorre circa un terzo del proprio tempo a compilare moduli. È un dato che fotografa un sistema eccessivamente burocratizzato, appesantito da una serie di regole e vincoli operativi spesso inutili. A questo si aggiunge la pressione dell’Europa, che ci spinge ad affrontare sfide di portata globale legate all’apertura dei mercati. Penso, ad esempio, all’accordo con il Mercosur: mentre in Europa ci impegniamo a ridurre le emissioni, in Brasile queste sono aumentate del 55%. È evidente che le regole devono valere per tutti, non solo all’interno dei confini comunitari. Lo stesso discorso vale per gli agrofarmaci: in Europa vigono norme molto severe per la tutela dei cittadini, ma queste vengono aggirate quando si importano prodotti trattati con principi attivi vietati in Ue da oltre quarant’anni. Analogamente, siamo giustamente impegnati nella lotta al caporalato, ma chiudiamo un occhio quando importiamo merci da Paesi dove lo sfruttamento e la manodopera minorile sono all’ordine del giorno. Infine, c’è il tema delle deroghe: l’Unione Europea consente l’uso eccezionale di alcune sostanze, ma queste autorizzazioni dovrebbero valere automaticamente per tutti gli Stati membri che hanno le stesse coltivazioni. In caso contrario, si rischia di alimentare una concorrenza sleale tra Paesi appartenenti alla stessa Unione.

A tutto ciò si aggiunge anche la questione dei dazi Usa. Quanto sarebbe danneggiato il settore agricolo?

Con un dazio al 30% la stima di Coldiretti è di una diminuzione di 2,3 miliardi di euro considerando l’aumento dei costi per i cittadini statunitensi e, ovviamente, una perdita di mercato per le imprese agroalimentari italiane. Se si riuscisse a stare al di sotto del 10% la nostra stima è una crescita del mercato di 1,2 miliardi, raggiungendo i 9 miliardi entro il 2025. Mi auguro che l’Europa abbia una capacità diplomatica per riuscire ad abbassare i dazi e credo che sarebbe utile che la Von der Leyen si spendesse di più, evitando come unica arma di dialogo i controdazi.

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