Da trecentomila a due milioni di tonnellate grazie a un forno elettrico che porta con sé una colata continua sottile e un treno nastri. Rottami di ferro soltanto via mare per limitare al massimo l’impatto ambientale, sfruttando le banchine per l’alimentazione. E niente impianto di preriduzione (Dri) per problemi di cono aereo, con materiale in arrivo sempre via mare dagli altri impianti che potrebbero essere Taranto, Gioia Tauro o Piombino. Non cambierebbe l’attività di laminazione a freddo che continuerebbe a prevedere produzione di decapato, zincato, banda stagnata e cromata. Ma con i nuovi impianti e soprattutto i nuovi volumi, si tornerebbe a più di duemila addetti diretti.
Comincia a prendere forma compiuta il progetto della nuova Cornigliano, così come indicato dall’ultimo aggiornamento del piano di decarbonizzazione del gruppo Acciaierie d’Italia che si tornerà a discutere presto al ministero delle Imprese e su cui si stanno confrontando anche Comune e Regione. Ieri sera alle 21,30 la sindaca Silvia Salis ha convocato un vertice di maggioranza sul tema della siderurgia e domani il presidente della Regione Marco Bucci tornerà sul dossier acciaio, sempre in dialogo con il Comune.
Troppo delicata per affrontarla superficialmente, l’opportunità che Genova esamina a vent’anni dalla chiusura dell’altoforno, ben sapendo che la sola ipotesi di tornare alla colata continua pone sul territorio interrogativi pesanti e riapre scenari fino a poco tempo fa inimmaginabili.
C’è poi il tema di fondo che fino a oggi è rimasto esterno al dibattito, ma che invece è centrale: con quali finanziamenti si realizzerebbe l’intero piano che prevede altri tre forni a Taranto e quattro impianti di preriduzione? Se ne farebbe carico interamente il pubblico, oppure sarebbe chiamata a partecipare anche il prossimo vincitore della gara che il governo si prepara a bandire dopo l’uscita di scena degli azeri di Baku Steel?
Fino a che queste domande non avranno trovato risposte, non si potrà partire concretamente, dando così attuazione a un piano in cui sono indicate date precise.
Se le operazioni di costruzione dei nuovi impianti partissero nel 2026, la nuova Cornigliano potrebbe entrare in servizio dalla fine del 2029. Quattro anni per tornare a prevedere un’area a caldo formata questa volta da preridotto in ingresso (proveniente da altri siti) da inserire nel forno elettrico, per avere acciaio da lavorare a caldo con il cosiddetto “mini mill” e attività di laminazione a freddo. Già individuate anche all’interno dell’area gli spazi operativi per il forno elettrico, i coils laminati a caldo, i nuovi capannoni, i magazzini ricambi e materie prime, le aree lamiere e il parco rottame.
Niente impianto di preriduzione, come si diceva prima, per problemi di cono aereo, visto che è impossibile andare in verticale oltre i 50 metri di altezza (e qui si salirebbe fino a 140).
Altro nodo da sciogliere quello del fabbisogno energetico, che oggi arriva a circa 0,4 Twh (Terawattora) e che nell’assetto decarbonizzato salirebbe addirittura a 2,3, 1,3 dei quali per il solo forno elettrico.
Il fabbisogno di gas naturale, per intenderci, andrebbe raddoppiato, rivolgendosi alle utilities. Si può davvero utilizzare tutto questo, considerando che il piano è inserito all’interno di un volume complessivo di produzione di 8 milioni di tonnellate d’acciaio, sei delle quali a Taranto? L’impressione è che la trattativa, a Roma come a Genova e in Liguria, richieda ancora tempo. Di certo, se il progetto venisse alla fine realizzato, consentirebbe agli impianti del Nord quasi una sorta di indipendenza da Taranto e quindi in prospettiva anche un nuovo assetto societario. In questo caso potrebbero essere individuati non sono “soci di mestiere”, gruppi produttori di acciaio, ma anche partner commerciali interessati all’aumento della produzione.
I settori di destinazione dei prodotti realizzati negli stabilimenti del Nord (Cornigliano e Novi Ligure) vanno per quanto riguarda freddo, alluminato, elettrozincato e zincato all’automotive, agli elettrodomestici e ai distributori (esempi di clienti, Volkswagen, Eusider Group, Stellantis, Ariston, Lampre), per decapato, zincato e banda il settore alimentare, i pre-verniciatori, i distributori (Sonoco, Gabrielli, La Doria) e per i tubi e i tubiforma le costruzioni e l’agroalimentare (Manni Gropu, Condor, Cosida). Questa settimana il confronto riparte con l’obiettivo di un primo accordo quadro prima della pausa di agosto. Così almeno nelle intenzioni del titolare del dicastero delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
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