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Abbandonare la sostenibilità sarà un danno per tutti, anche per le aziende


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In questi ultimi mesi stiamo assistendo a un generale ridimensionamento sulle ambizioni per la sostenibilità ambientale, in particolare negli Stati Uniti, dove uno dei primi provvedimenti dell’allora nuova amministrazione Trump è stato uscire dall’Accordo di Parigi, con conseguente sospensione degli sgravi fiscali in investimenti green e attacchi a scienziati ed esperti. A seguito di ciò, anche alcune banche e aziende statunitensi hanno fatto marcia indietro sul loro impegno per il clima o sono uscite dalle varie coalizioni per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Sul fronte europeo, le questioni di competitività e sicurezza hanno messo in ombra il percorso verso basse emissioni di CO2, che è andato delineandosi a partire da un decennio fa. Ciò ha portato a una semplificazione o addirittura a uno smantellamento del Green Deal europeo, nonché alla volontà di alleggerire ciò che le aziende considerano un onere normativo, a partire dalla CSRD e dalla CSDDD.

Al susseguirsi di questi annunci, si sono accostati eventi atmosferici estremi sempre più numerosi e sempre più “costosi”. A dimostrazione di ciò, basta pensare che nel 2024, le richieste di risarcimento per danni causati da questi eventi ammontava a 310 miliardi di dollari, a cui si aggiungono 135 miliardi di costi assicurativi, per una somma superiore alla media del decennio del 38%, secondo i dati forniti da Swiss Re. Ma questi disastri hanno profonde conseguenze a livello umanitario, generando immigrazioni su vasta scala, perdita di patrimonio culturale e perdita dei mezzi di sussistenza. Ci sono molti studi che lanciano un allarme in questo senso. Il Network for Greening the Financial System, per esempio, afferma che un ritardo di tre anni nella tabella di marcia verso il net zero potrebbe costare l’1,3% del Pil globale. In conclusione, abbandonare la transizione impatterà sicuramente la crescita e la competitività. Non solo; tutto ciò metterà in discussione il modello di business di alcuni settori, da sempre basato su petrolio a basso costo e abbondante e sulla disponibilità gratuita di risorse naturali. Infine, esporrà le aziende a rischi legali, in quanto quelle che non hanno assunto impegni ambientali saranno esposte a costi di questo tipo, generati da eventi come la mobilitazione avvenuta sotto il nome di “Affaire du Siècle”.

Questa ritirata di alcuni player chiave dagli impegni per combattere i cambiamenti climatici e preservare la biodiversità è evidente dal declino di risoluzioni “on-climate” presentate alle assemblee generali delle imprese, che, nonostante la stagione dei meeting non sia terminato al momento in cui si scrive, appare già chiaro.

Diversi fenomeni osservati all’inizio del 2025 dimostrano che la sostenibilità è una tendenza a lungo termine integrata negli impegni e nelle ambizioni delle società. Ad esempio, negli ultimi mesi le aziende si sono unite attorno alla CSRD e quelle francesi sembrano aver compreso la necessità, prima delle loro controparti straniere, di coinvolgere i propri azionisti sulle questioni climatiche. Inoltre, l’inclusione della sostenibilità nelle agende di molte società dimostra che non le stanno ignorando. Ancora più fondamentale, dopo un periodo 2020-2024 caratterizzato dall’annuncio di ambizioni e strategie, stiamo ora entrando in una fase di dialogo sulla credibilità dei piani di transizione.

In quest’ottica, Ofi Invest AM ha ora deciso di includere le questioni ambientali nel normale schema di governance efficiente. In altre parole, anziché ricorrere a risoluzioni sul clima per affrontare queste problematiche, preferiamo adottare risoluzioni di routine, in particolare sulla remunerazione dei dirigenti o sulle elezioni degli amministratori. In caso di disaccordo su un aspetto extra-finanziario, d’ora in poi tenderemo a opporci all’elezione degli amministratori responsabili di tali politiche piuttosto che a presentare una risoluzione che prenda posizione sul clima.

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