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D’Amante Verdini concordato preventivo al fallimento chi c’è dietro L’IMPERO?


Il crollo di D’Amante non è il risultato di un singolo evento catastrofico, ma piuttosto l’esito di una “tempesta perfetta”, una convergenza letale di shock esterni, vulnerabilità strategiche interne e una congiuntura finanziaria sfavorevole. Analizzare in profondità le cause di questa implosione significa non solo ricostruire la cronaca di una crisi aziendale, ma anche trarre lezioni universali sulla gestione del rischio, sulla diversificazione del business e sulla fragile alchimia che lega la crescita alla sostenibilità finanziaria. Le motivazioni, come emerse dalle cronache e dalle analisi del tempo, si possono ricondurre a tre macro-aree interconnesse: le turbolenze del mercato di riferimento, la perdita fatale di un cliente chiave e le conseguenti complicazioni finanziarie e reputazionali che ne sono derivate.

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1. Il Contesto Esterno: Un Mercato dei Diamanti e della Gioielleria in Profonda Trasformazione

 

Per comprendere appieno la crisi di D’Amante, è indispensabile inquadrare il contesto di mercato in cui l’azienda operava nel periodo critico tra il 2015 e il 2017. Il settore globale dei diamanti e della gioielleria stava attraversando una fase di profonda e strutturale trasformazione, caratterizzata da una serie di sfide che mettevano a dura prova i modelli di business tradizionali.

La Crisi del Settore Diamantifero: Innanzitutto, il mercato dei diamanti, nerbo dell’offerta di alta gamma di D’Amante, viveva un periodo di notevole difficoltà. Dopo anni di crescita trainata dalla domanda dei mercati emergenti, in particolare la Cina, il settore ha subito un rallentamento. La volatilità dei prezzi delle pietre grezze, unita a una crescente pressione sui margini di profitto per i grossisti e i tagliatori, creava un ambiente operativo complesso. Le grandi società minerarie mantenevano un forte controllo sull’offerta, mentre la domanda finale diventava sempre più esigente e frammentata.

A ciò si aggiungeva la crescente preoccupazione per la provenienza etica delle pietre. Sebbene il Processo di Kimberley fosse in vigore da anni per contrastare il fenomeno dei “diamanti di sangue”, la sensibilità dei consumatori verso la trasparenza e la sostenibilità della filiera aumentava. Questo imponeva ai player del settore, inclusi i grossisti come D’Amante, oneri aggiuntivi in termini di certificazione e tracciabilità, con costi che non sempre era possibile trasferire sul prezzo finale.

Un’altra minaccia, allora emergente ma oggi conclamata, era rappresentata dai diamanti sintetici (lab-grown). Sebbene nel 2016 non avessero ancora la pervasività attuale, la loro crescente qualità e il prezzo significativamente inferiore iniziavano a erodere quote di mercato nel segmento della gioielleria più accessibile, costringendo gli operatori tradizionali a riposizionare la propria offerta e a giustificare con maggior forza il “premio” di prezzo delle pietre naturali. D’Amante, operando sia come grossista sia come retailer, si trovava esattamente al centro di queste pressioni, dovendo gestire da un lato l’approvvigionamento complesso e dall’altro un consumatore finale sempre più incerto e informato.

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Le Dinamiche del Retail di Gioielleria in Italia: Sul fronte del retail, il mercato italiano presentava sfide altrettanto significative. La lunga coda della crisi economica iniziata nel 2008 aveva contratto il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo i beni di lusso, come i gioielli, un acquisto spesso posticipato o ridimensionato. Il modello di business di D’Amante, con una rete di punti vendita fisici (ad insegne D’Amante e Athmosfera) situati prevalentemente nei grandi centri commerciali del centro-nord, era particolarmente esposto a questa dinamica.

I centri commerciali, se da un lato garantiscono un alto flusso di passaggio, dall’altro impongono costi fissi elevati: affitti importanti, spese condominiali, costi per il personale commisurati agli orari di apertura estesi. In un contesto di consumi stagnanti, questi costi fissi possono rapidamente trasformarsi in una zavorra insostenibile, specialmente se i volumi di vendita non raggiungono le soglie di redditività previste.

Inoltre, il settore vedeva una crescente polarizzazione. Da un lato, i grandi marchi internazionali del lusso (come Cartier, Bulgari, Tiffany & Co.) consolidavano la loro posizione nell’altissimo di gamma grazie a investimenti massicci in marketing e alla forza del loro brand. Dall’altro, catene di fast-fashion e marchi di gioielleria “accessibile” (come Pandora o la stessa Stroili Oro) conquistavano la fascia più bassa del mercato con prodotti di design a prezzi contenuti. Per un’azienda come D’Amante, posizionata in una fascia media o medio-alta, lo spazio di manovra si restringeva pericolosamente. Era necessario offrire un prodotto percepito come di alta qualità, ma a un prezzo competitivo, un equilibrio sempre più difficile da mantenere.

 

2. Il Colpo Mortale: La Perdita del Cliente Stroili Oro

 

Se le condizioni di mercato rappresentavano un forte vento contrario, il colpo che ha irrimediabilmente compromesso la stabilità di D’Amante è stato, secondo tutte le fonti, la cessazione del rapporto commerciale con il suo principale cliente: Stroili Oro. Questo evento non fu una semplice perdita di fatturato, ma un vero e proprio shock sistemico che ha innescato un effetto domino su tutta la struttura aziendale.

La Natura di una Partnership Strategica: Per comprendere la gravità di questo evento, è necessario capire la natura del legame tra le due società. D’Amante non era un fornitore qualsiasi per Stroili; era un partner strategico per una parte significativa della sua offerta, in particolare per quanto riguarda il commercio all’ingrosso di diamanti e gioielli in oro. Nel 2016, il segmento wholesale rappresentava il 35,6% del fatturato totale di D’Amante, che ammontava a 25 milioni di euro. Ciò significa che circa 8,9 milioni di euro provenivano dalla vendita all’ingrosso.

Sebbene non sia pubblica la quota esatta di questo fatturato generata da Stroili, è ampiamente riportato che ne fosse il “principale cliente”. È lecito ipotizzare, con un alto grado di verosimiglianza, che Stroili Oro rappresentasse ben oltre la metà di quel volume, se non di più. Perdere un cliente che, da solo, genera forse il 20-25% del fatturato totale di un’azienda è un evento catastrofico per qualsiasi impresa. È come se una macchina in corsa perdesse improvvisamente uno dei suoi quattro pistoni: l’intera struttura è sottoposta a uno stress insostenibile.

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Il Cambio di Proprietà e il Riorientamento Strategico: La rottura è coincisa con il passaggio di proprietà di Stroili Oro. Nel 2016, il gruppo è stato acquisito dal fondo di private equity Investindustrial, guidato da Andrea Bonomi, che lo ha rilevato da un altro fondo, L Catterton (nato dalla fusione delle attività di private equity di LVMH, Groupe Arnault e Catterton). Questo tipo di operazioni porta quasi sempre a una profonda revisione strategica della società acquisita.

L’obiettivo di un fondo di private equity è massimizzare il valore dell’azienda target in un orizzonte temporale di medio termine (solitamente 3-7 anni) per poi rivenderla con un profitto. Per raggiungere questo scopo, i nuovi proprietari implementano rigorose politiche di efficientamento dei costi, di ottimizzazione della catena di fornitura (supply chain) e di rafforzamento del brand.

In questo contesto, la decisione di internalizzare o di rinegoziare da zero tutti i contratti di fornitura è prassi comune. La nuova gestione di Stroili ha probabilmente valutato che fosse più vantaggioso, dal punto di vista strategico e dei margini, approvvigionarsi direttamente dai produttori internazionali, creare linee di prodotto esclusive o stringere partnership con fornitori più grandi e strutturati, capaci di garantire economie di scala maggiori. Il rapporto consolidato con D’Amante, probabilmente basato su accordi e relazioni personali costruite nel tempo dalla precedente gestione, è diventato obsoleto nel nuovo paradigma strategico. La D’Amante S.p.A., da partner chiave, si è trasformata in un semplice fornitore, peraltro sostituibile. La cessazione del rapporto è stata la diretta e brutale conseguenza di questa nuova visione industriale.

 

3. La Morsa Finanziaria: Banche, Liquidità e il Sogno Infranto della Borsa

 

La perdita del fatturato generato da Stroili Oro ha innescato la terza e fatale fase della crisi: la spirale finanziaria negativa. Un’azienda può sopravvivere a uno shock di mercato o alla perdita di un cliente se la sua struttura finanziaria è solida. Quella di D’Amante, purtroppo, presentava già delle fragilità che sono state fatalmente esacerbate.

Il Minore Supporto delle Banche e la Posizione Finanziaria Netta: Le cronache riportano come, alla crisi commerciale, sia seguito un “minore supporto delle banche”. Questa è una conseguenza quasi automatica. Gli istituti di credito basano le loro decisioni di finanziamento (concessione di prestiti, mantenimento delle linee di credito) su due elementi principali: la performance storica e le proiezioni future. Con la perdita improvvisa di una quota così rilevante di fatturato, i piani industriali e i budget di D’Amante sono diventati carta straccia. Il rischio percepito dagli istituti di credito è schizzato alle stelle.

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In una situazione del genere, le banche tipicamente reagiscono in modo protettivo: possono ridurre o congelare i fidi commerciali (gli “affidamenti”), chiedere rientri più rapidi sui prestiti esistenti o richiedere garanzie personali o reali aggiuntive. Per un’azienda che opera in un settore ad alta intensità di capitale circolante come la gioielleria (dove è necessario finanziare magazzini di materie prime e prodotti finiti molto costosi), una stretta sul credito è letale. Significa non avere la liquidità per pagare i fornitori, gli stipendi, gli affitti e per rinnovare le collezioni.

La situazione era aggravata da una condizione preesistente, evidenziata dai dati del 2016: una Posizione Finanziaria Netta (PFN) negativa per 3,88 milioni di euro. La PFN è un indicatore cruciale dello stato di salute finanziario di un’impresa; si calcola sottraendo le liquidità immediate (cassa e conti correnti attivi) dal totale dei debiti finanziari (verso banche, obbligazionisti, ecc.). Un valore negativo indica che l’indebitamento finanziario supera la liquidità disponibile. Sebbene un certo livello di indebitamento sia normale per un’azienda in crescita, un PFN negativa di quasi 4 milioni a fronte di un fatturato di 25 milioni e un EBITDA (Margine Operativo Lordo) di soli 2 milioni, segnalava già una struttura finanziaria tesa e vulnerabile. L’EBITDA, infatti, era appena sufficiente a coprire gli oneri finanziari e gli ammortamenti, lasciando pochissimo margine per auto-finanziare la crescita o per assorbire shock imprevisti. Lo shock, purtroppo, è arrivato, e si chiamava Stroili Oro.

L’Ambiziosa Infranta: La Mancata Quotazione sul Mercato AIM La storia della crisi di D’Amante è resa ancora più drammatica dal “what if”, dal sogno di grandezza che si è infranto proprio sulla soglia del suo potenziale compimento. Nella primavera del 2016, l’azienda si presentava “come in espansione, pronta per accedere al mercato azionario dell’AIM”. L’AIM (Alternative Investment Market) è il listino di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese dinamiche e con un alto potenziale di crescita.

La quotazione non è un vezzo, ma una precisa strategia industriale. Serve a raccogliere capitali freschi dal mercato per finanziare piani di sviluppo ambiziosi: l’apertura di nuovi negozi, l’espansione all’estero, investimenti in marketing e tecnologia. Evidentemente, il management di D’Amante aveva un piano di crescita che necessitava di un’iniezione di capitale ben superiore a quella che il sistema bancario tradizionale poteva o voleva offrire.

Il fatto che l’operazione non sia andata a buon fine è un indizio cruciale. Il processo di quotazione (IPO – Initial Public Offering) è lungo e complesso. Richiede una rigorosa due diligence da parte di consulenti legali e finanziari (il “Nominated Adviser” o Nomad). Durante questa fase, vengono passati al setaccio tutti i conti, i contratti e le prospettive di business dell’azienda. È altamente probabile che, proprio durante questa analisi approfondita nella primavera del 2016, siano emerse le criticità che avrebbero poi portato al collasso.

Possiamo formulare alcune ipotesi plausibili:

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  1. Vulnerabilità del Business Model: Gli analisti potrebbero aver giudicato eccessiva e rischiosa la dipendenza dal cliente Stroili Oro, sconsigliando l’operazione fino a una maggiore diversificazione del portafoglio clienti.
  2. Debolezza Finanziaria: La PFN negativa e la redditività non eccezionale potrebbero non essere state ritenute sufficientemente solide per attrarre gli investitori istituzionali, che cercano sì la crescita, ma anche una certa solidità di fondo.
  3. Timing Sbagliato: La notizia dell’acquisizione di Stroili e del possibile cambio di strategia potrebbe essere emersa proprio durante il processo di IPO, rendendo le proiezioni di fatturato future inattendibili e di fatto bloccando l’intera operazione.

Il fallimento della quotazione è stato un doppio colpo. Non solo D’Amante non ha ottenuto i capitali necessari per rafforzarsi e finanziare la sua crescita (capitali che sarebbero stati vitali per superare la crisi imminente), ma l’insuccesso ha anche inviato un segnale estremamente negativo al mercato e, soprattutto, alle banche. Un’azienda che non supera l’esame per la Borsa è un’azienda che presenta delle criticità. Questo ha probabilmente contribuito a raffreddare ulteriormente il supporto del ceto bancario, innescando la spirale di cui sopra.

 

4. Il Colpo di Grazia: Danno Reputazionale e Contenziosi Legali

 

Quando un’azienda è in difficoltà finanziaria, i problemi tendono a moltiplicarsi, spesso manifestandosi sotto forma di contenziosi con i partner commerciali. Il caso del sequestro di beni richiesto e ottenuto dalla concittadina Morellato nel febbraio dell’anno successivo è l’emblema di questa fase terminale della crisi.

La vicenda, riportata da TgCom24, parla di gioielli per un valore di 430.000 euro che sarebbero stati consegnati da Morellato a D’Amante in “conto vendita” e il cui corrispettivo non sarebbe mai stato pagato. Il meccanismo del conto vendita è comune nel settore: il fornitore consegna la merce al rivenditore, ma ne mantiene la proprietà fino al momento della vendita al cliente finale. Solo a quel punto il rivenditore incassa il denaro e paga il fornitore, trattenendo il proprio margine.

Il fatto che Morellato sia dovuta ricorrere a un’azione legale così drastica come il sequestro tramite i Carabinieri suggerisce due cose. Primo, che D’Amante, nonostante avesse presumibilmente venduto parte di quei beni e incassato i relativi ricavi, non aveva la liquidità necessaria per saldare il proprio debito di 430.000 euro verso il fornitore. Questo conferma lo stato di gravissima crisi di cassa in cui versava l’azienda. Secondo, indica un crollo totale della fiducia. Le aziende, di norma, cercano di risolvere queste dispute commercialmente, con piani di rientro e negoziazioni. Ricorrere alla forza legale è l’ultima spiaggia, e segnala che Morellato non credeva più nella capacità o nella volontà di D’Amante di onorare i propri impegni.

L’impatto di questo episodio è stato devastante su tre fronti:

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  • Finanziario: Una perdita secca di valore, che si trattasse di merce fisica sequestrata o di un debito esigibile immediatamente.
  • Operativo: La mancanza di quei prodotti nei propri punti vendita ha significato minori opportunità di vendita.
  • Reputazionale: Questo è stato forse il danno più grave e irreparabile. La notizia di un sequestro per mancati pagamenti si è diffusa rapidamente nel distretto orafo e tra tutti i fornitori. Chiunque avesse rapporti commerciali con D’Amante ha immediatamente alzato il livello di allerta. I fornitori avranno iniziato a chiedere pagamenti anticipati, a rifiutare nuove consegne o a ridurre le dilazioni di pagamento. Questo ha prosciugato le ultime gocce di ossigeno finanziario, rendendo di fatto impossibile la normale operatività aziendale e spingendo la società verso l’unica via d’uscita rimasta per evitare il fallimento immediato: il concordato preventivo.

 

Conclusione: Anatomia di una Crisi Annunciata

 

La parabola discendente di D’Amante S.p.A. è una tragica case history di come un’azienda apparentemente “frizzante” e in piena espansione possa implodere in un lasso di tempo incredibilmente breve. La crisi non è stata un fulmine a ciel sereno, ma la conseguenza logica di una serie di vulnerabilità strategiche che sono state portate a galla da uno shock esterno decisivo.

La lezione più importante risiede nel rischio di concentrazione. L’eccessiva dipendenza dal cliente Stroili Oro è stato il peccato originale. Un modello di business sano, specialmente nel B2B, deve poggiare su un portafoglio clienti diversificato, in modo che la perdita di un singolo cliente, per quanto importante, possa essere assorbita senza compromettere la sopravvivenza dell’intera struttura.

La seconda lezione riguarda la disciplina finanziaria. La crescita di D’Amante era, con ogni probabilità, una crescita “drogata” dall’indebitamento. Una PFN negativa e un EBITDA risicato a fronte di ambiziosi piani di sviluppo (culminati nel tentativo di quotazione) segnalavano una fuga in avanti, un tentativo di crescere più velocemente di quanto le fondamenta finanziarie potessero sostenere. Quando il motore del fatturato (Stroili) si è spento, l’impalcatura finanziaria, priva di solide basi, è crollata.

Infine, la vicenda di D’Amante dimostra come nel business moderno, la reputazione sia un asset tanto importante quanto il fatturato. Il fallimento dell’IPO e, soprattutto, il contenzioso con Morellato hanno distrutto la fiducia del mercato (banche, fornitori, investitori) nei confronti dell’azienda, isolandola e privandola di ogni possibile ancora di salvezza.

Il ricorso al concordato preventivo ha rappresentato l’ultimo, disperato tentativo di salvare il salvabile: congelare i debiti, ristrutturare l’azienda e cercare di ripartire su basi più solide. Ma la storia di D’Amante rimane un monito per tutti gli imprenditori: la brillantezza esteriore e i tassi di crescita rapidi possono nascondere fragilità profonde. La vera forza di un’azienda non si misura solo nei momenti di espansione, ma nella sua capacità di resistere alle tempeste. Una lezione che, per la scintillante ma sfortunata stella della gioielleria padovana, è arrivata troppo tardi.

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FONTI:

https://it.fashionnetwork.com/news/D-amante-e-in-concordato-preventivo,963601.html

https://www.mattinopadova.it/cronaca/damante-spa-e-fallimento-via-al-salvataggio-dellazienda-eyovr78r

 



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