Era un’organizzazione articolata, con ramificazioni in tutta Italia, quella smascherata dalla Guardia di Finanza di Biella sotto il coordinamento della Procura Europea con sede a Torino. Un’indagine complessa e meticolosa ha portato alla luce una rete criminale composta da trentacinque persone e sedici società, accusate a vario titolo di associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato, falso in bilancio e frode fiscale. L’obiettivo: accedere illegalmente ai fondi del PNRR e ai crediti d’imposta per lavori edilizi mai eseguiti.
Dietro la vicenda, si cela una delle frodi economiche più strutturate degli ultimi anni, che ha sfruttato le falle nei controlli dei fondi pubblici post-pandemia per incassare milioni, lasciando un buco nelle casse dello Stato e un’ombra sulla gestione delle risorse europee. Al centro del sistema c’erano esperti tributaristi, consulenti del lavoro, operatori di CAF e imprenditori fittizi, che avevano costruito una macchina ben oliata, fatta di società intestate a prestanome, bilanci manipolati e dichiarazioni fiscali truccate.
Il meccanismo era semplice quanto efficace. Si apriva una nuova società, intestata a persone ignare o compiacenti, si redigevano bilanci falsi con dati gonfiati o completamente inventati, e si presentavano richieste di finanziamento pubblico, sfruttando le maglie larghe del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le stesse imprese, inesistenti o semi-attive, richiedevano anche i crediti d’imposta per lavori di efficientamento energetico, senza che venisse posata neppure una tegola.
Il GIP del Tribunale di Bologna ha disposto il sequestro preventivo di 3,3 milioni di euro, ritenuti il frutto illecito di questa gigantesca truffa. Un’operazione che ha coinvolto dodici province italiane, da Torino a Firenze, da Biella a Roma, passando per Verona, Prato, Pesaro, Fermo, Empoli, Perugia, Bologna e Vicenza. Un vero e proprio schema criminale su scala nazionale, in cui il confine tra professione e criminalità economica è stato cancellato da consulenti senza scrupoli.
Gli investigatori parlano di un livello di sofisticazione elevato: i prestanome erano accuratamente selezionati tra soggetti in difficoltà economica, a volte stranieri, a volte cittadini italiani già coinvolti in situazioni debitorie o marginali, perfetti per essere usati e poi abbandonati. Le società venivano create in poche ore, con sedi fittizie o recapiti postali, e dotate di tutta la documentazione necessaria per apparire legittime agli occhi dello Stato.
Le richieste di finanziamento venivano poi presentate con tempismo chirurgico, approfittando dei bandi più vulnerabili, in particolare quelli legati alla transizione ecologica e all’efficientamento energetico, ambiti in cui i controlli documentali sono spesso solo successivi all’erogazione dei fondi. In questo modo, il denaro veniva incassato prima che le autorità potessero verificare l’effettiva realizzazione dei lavori.
Ma non si trattava solo di fondi pubblici. L’organizzazione sfruttava anche la compravendita fittizia di crediti d’imposta, che venivano poi ceduti a ignari soggetti terzi — persone fisiche o piccole imprese — creando un effetto domino nel sistema fiscale. Una volta scoperta la truffa, non solo lo Stato perde il denaro, ma anche i soggetti in buona fede si ritrovano con crediti bloccati o annullati dall’Agenzia delle Entrate, subendo danni collaterali rilevanti.
La Procura Europea, guidata in questa indagine dalla sede di Torino, ha messo a segno un colpo importante. Ma la portata dell’operazione solleva interrogativi gravi sull’efficacia dei controlli preventivi, sulle vulnerabilità del sistema dei bonus fiscali, e sull’assenza di barriere adeguate nella distribuzione di fondi PNRR. Un tema cruciale, considerato che l’Italia è tra i principali beneficiari dei finanziamenti europei post-Covid, con oltre 191 miliardi di euro assegnati, e che ogni euro sottratto illegalmente è un danno diretto ai cittadini.
Nel frattempo, le indagini proseguono per accertare complicità e ramificazioni ancora non emerse. Non è escluso che altri professionisti, imprese o strutture di intermediazione fiscale siano coinvolti. Secondo fonti investigative, il sistema potrebbe essere stato replicato in forme simili da altre organizzazioni parallele, approfittando dello stesso schema.
Quella di Biella non è solo una storia di truffa: è il sintomo di un sistema vulnerabile, in cui i fondi europei rischiano di diventare terreno fertile per frodi sempre più sofisticate. E il rischio, adesso, è che mentre si smantella un gruppo, altri ne stiano già nascendo, pronti a intercettare i prossimi bandi con la stessa logica: moltiplicare società fittizie, manipolare i bilanci, gonfiare le spese e incassare illecitamente milioni destinati alla ricostruzione del Paese.
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