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Trump 2.0: sei mesi dopo


“Come passa il tempo!”: è un Donald Trump entusiasta quello che ha festeggiato ieri su Truth i primi sei mesi del suo secondo mandato. “Abbiamo realizzato molte cose positive e importanti, tra cui la fine di numerose guerre con paesi che non avevano alcun legame con noi se non quello commerciale e, in alcuni casi, l’amicizia” ha assicurato il presidente, sottolineando che “un anno fa il nostro Paese era morto, senza quasi alcuna speranza di rinascita. Oggi gli Stati Uniti sono il Paese più rispettato al mondo”. In una serie di post autocelebrativi, il presidente ha vantato di aver raggiunto indici di gradimento mai toccati dai suoi predecessori: “Il mio gradimento nel partito Repubblicano e nel Maga è aumentato in modo significativo da quando la bufala su Jeffrey Epstein è stata smascherata” ha scritto il tycoon, sostenendo di aver raggiunto “il 90%, il 92%, il 93% e il 95% in vari sondaggi, e sono tutti record per il partito Repubblicano”. Ma se di certo i primi sei mesi di Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti sono stati dirompenti, i sondaggi raccontano una realtà diversa da quella ostentata dal tycoon e riferiscono di tassi di approvazione di Trump in calo rispetto al pur basso 47% registrato al suo insediamento a gennaio.

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Lotta senza quartiere agli immigrati?

In questi sei mesi alla Casa Bianca, col sostegno della maggioranza di cui godono i repubblicani in entrambe le camere del Congresso e di una Corte Suprema a maggioranza conservatrice, il presidente ha usato il suo potere per rimodellare radicalmente l’America: ha sconvolto il commercio globale, terremotato le relazioni con gli alleati degli Stati Uniti, represso l’immigrazione e coinvolto gli Stati Uniti in nuove guerre, contravvenendo a quelle promesse da ‘pacificatore’ ribadite durante il suo discorso di insediamento; imposto tagli fiscali e avviato un progetto per rimodellare la struttura del governo federale. A ben guardare, i cambiamenti più profondi, sono quelli che Trump ha imposto all’interno degli Stati Uniti, in particolare con la lotta senza quartiere agli immigrati. Il governo federale ha dichiarato di voler deportare un milione di persone l’anno e se in campagna elettorale il tycoon aveva promesso di concentrarsi su coloro con precedenti penali, oggi i dati mostrano che gli arresti degli agenti federali di frontiera, l’ormai famigerata ICE (Immigration and Customs Enforcement), sono fortemente sbilanciati verso gli immigrati incensurati. Secondo il Deportation Data Project della facoltà di giurisprudenza di Berkeley, gli arresti da parte dell’ICE sono quasi raddoppiati su base annua a partire dal mese successivo all’insediamento di Trump. Lo stato della California e Los Angeles in particolare, “sono dei campi di battaglia “ osserva il Los Angeles Times, mentre funzionari statali e locali denunciano un attacco incostituzionale ai diritti delle minoranze e ai valori progressisti.

Le guerre sono ancora qui?

Toni trionfalistici a parte, in politica estera difficilmente Trump può vantare grandi successi conseguiti nei primi sei mesi di mandato. La guerra in Ucraina e il massacro nella Striscia di Gaza, che – secondo quanto sbandierato in campagna elettorale – sarebbero cessati il giorno dopo il suo insediamento, proseguono implacabili con annunci di tregue, sempre date per imminenti e puntualmente rinviate di settimana in settimana. A questi conflitti, ‘ereditati’ dalla precedente amministrazione, a cui Trump attribuisce ogni colpa, a giugno si è aggiunta la ‘guerra dei 12 giorni’ tra Iran e Israele, a cui gli Stati Uniti si sono affiancati bombardando i siti nucleari di Teheran e le violenze settarie che rischiano di catapultare la Siria in una nuova guerra civile, con il deciso sostegno dell’alleato Benjamin Netanyahu. E la guerra dei dazi? Finora Trump l’ha dichiarata più volte ma l’ha sempre rinviata guadagnandosi il nomignolo di ‘Taco’ (Trump always chickens out – Trump cede sempre per primo) che tanto lo fa infuriare con cronisti e malcapitati. Le tariffe del ‘Liberation Day’ hanno innescato un crollo dei mercati finanziari e obbligazionari così catastrofico che la Casa Bianca è stata costretta a cambiare rotta nel giro di pochi giorni. Ma per l’Europa non è ancora detto. Bisognerà aspettare 1° agosto per capire se la Casa Bianca metterà in atto la sua minaccia di dazi al 30% sulle merci provenienti dal Vecchio Continente. E l’incertezza già pesa, con annessi investimenti congelati, affari in stallo, inflazione in ripresa.

Il peggio deve ancora venire?

Mentre continua ad attaccare apertamente media, oppositori politici, università e studi legali “nemici”, degradando – secondo molti osservatori – lo stato di diritto negli Stati Uniti, Trump ha ottenuto dal Congresso l’approvazione del “Big Beautiful Bill Act”: un provvedimento che gli consente di proseguire con il taglio dei programmi per i più vulnerabili, il ridimensionamento dell’apparato burocratico, il contrasto alla cosiddetta ‘woke culture’, la rilettura della sanità pubblica in chiave no-vax e la revoca delle misure ambientali. Gli attacchi alle istituzioni del governo federale hanno già avuto conseguenze drammatiche. Come dimostrato recentemente in Texas, dove la sua decisione di smantellare la Federal Emergency Management Agency ha lasciato i texani a cavarsela da soli durante le catastrofiche inondazioni di inizio luglio, che hanno causato almeno 134 vittime. E il timore di molti è che un governo svuotato dall’interno, sarà sempre meno capace di rispondere alle prossime crisi o di erogare servizi che gli americani finora davano per scontati. A oggi, né un Congresso compiacente e neutralizzato, né una Corte Suprema controllata da militanti repubblicani di lunga data sembrano intenzionati o in grado di fermarlo. A sei mesi dall’insediamento di Trump, ne rimangono ancora 41 per una presidenza che sin dall’inizio si è dimostrata a dir poco dirompente.

Il commento

Di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po

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“Il numero più alto di ordini esecutivi mai promulgati; uno dei più bassi di leggi sostanziali mai approvate. Con in mezzo tanti altri record, dagli arresti – non di rado arbitrari – dell’ICE, l’agenzia federale responsabile per l’immigrazione, ai dazi (annunciati, sospesi, attuati, e comunque molto cresciuti) ai tagli previsti della spesa sociale. Quella di Donald Trump è stata finora una presidenza radicale: ben più estrema e incisiva di quella di otto anni fa. Un estremismo nel quale gli atti di governo sono stati messi pienamente in asse con le parole e le posture – ostentamente violente, offensive e crudeli – di Trump e di molti altri membri dell’amministrazione. Dove non è più possibile dire di prestare attenzione a ciò che Trump fa e non a quel che dice. E un estremismo che mette a dura prova la tenuta di una democrazia anziana, fragile e patentemente in sofferenza quale è quella statunitense.”



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