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Aumentano le imprese in Puglia, ma “rallenta” l’economia



Aumentano le imprese in Puglia, ma «rallenta» l’economia. «Potrebbe sembrare un paradosso, ma è

quello che sta accadendo nella nostra regione», spiega Davide Stasi, data analyst e responsabile

dell’Osservatorio Economico Aforisma, che ha preso in esame tutte le aziende, ad eccezione di quelle

inattive e di quelle sottoposte a procedure concorsuali. I dati sono aggiornati al 30 giugno 2025.

Anche nel secondo trimestre di quest’anno, il saldo della nati-mortalità è positivo, confermando il trend

dell’ultimo decennio. Sarà la voglia d’impresa, sarà il crescente ricorso agli incentivi per l’auto-

imprenditorialità, sarà l’apertura della partita Iva vista come alternativa alla disoccupazione.

Sta di fatto che, da aprile a giugno scorsi, le iscrizioni al Registro delle imprese delle camere di

commercio pugliesi, sono state superiori alle cancellazioni, per un saldo di 2.508 attività in più,

con 5.391 nuove aziende a fronte di 2.883 cessazioni, per un tasso di crescita dello 0,67 per cento,

persino superiore alla media nazionale (0,56 per cento). Ma non è tutto oro quel che luccica.

L’andamento del numero delle imprese, seppur positivo, può rappresentare solo un indicatore utile ai

fini statistici, ma non è sufficiente, da solo, a comprendere l’andamento dell’economia nella sua

complessità. Anzi, l’aumento del numero delle attività può tradursi, in certi casi, in un’eccessiva

frammentazione del tessuto imprenditoriale, rappresentando uno dei principali freni alla sviluppo della

Puglia.

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L’anno in corso, infatti, non può certo paragonarsi al periodo successivo alla pandemia, con

un’economia in rapida ripresa. Nonostante la crescita del numero delle aziende, infatti, il fatturato e gli

scambi commerciali diminuiscono.

Da gennaio a maggio di quest’anno, le imprese pugliesi hanno fatturato, complessivamente,

35.442.851.498 euro contro i 35.871.548.902 dello stesso periodo dell’anno scorso. Vale a dire

428.697.404 euro in meno, pari a una flessione dell’1,2 per cento.

Riguardo agli scambi commerciali con l’estero, l’impatto dei dazi potrebbe essere maggiore e

soprattutto più a lungo termine, se le imprese esportatrici più grandi o comunque in grado di “multi-

nazionalizzarsi” (che sono quelle che pesano di più per l’export) decidessero di trasferire parte della

produzione all’interno dei confini degli Stati Uniti, per non perdere i propri clienti, con una perdita di

capacità produttiva nel nostro Paese.

«Abbiamo già registrato una prima fase di rallentamento dell’economia con l’aumento dei tassi di

interesse stabilito dalla Banca centrale europea al fine di contrastare la crescente inflazione», ricorda

Stasi. «Oltre alla burocrazia, un forte freno alla sviluppo della Puglia è rappresentato proprio

dall’eccessiva frammentazione del tessuto imprenditoriale – spiega – Va detto che la nostra regione è

storicamente caratterizzata da una fitta rete di micro, piccole e medie imprese, ma questa peculiarità, che

in passato ha consentito di sviluppare un sistema produttivo specializzato e molto flessibile, rappresenta

oggi un elemento di rischio perché comporta una minore competitività su un mercato sempre più

globale, con l’agguerrita concorrenza delle multinazionali e dei grandi player. Basti pensare alle

difficoltà a cui tante aziende andranno incontro, proprio a causa delle ridotte dimensioni,

nell’assolvimento dell’obbligo di approntare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati,

anche al fine di favorire l’emersione tempestiva della crisi, così come imposto dalla recente riforma

della disciplina della crisi dell’impresa e dell’insolvenza. La sopravvivenza delle micro, piccole e medie

imprese pugliesi – aggiunge l’analista – dovrà passare dalla “messa in rete” che sappiamo potrà dar vita

ad attività capaci di esprimere intenti comuni ed interessi condivisi, nella consapevolezza che in tal

modo possono aumentare non solo le economie di scala, ma anche la competitività sui mercati».

Nell’ultimo decennio, il settore che è cresciuto di più, ma solo in termini quantitativi, è quello dei

servizi di alloggio e ristorazione. «A fronte di dati sulle presenze molto incoraggianti, riscontriamo un

impatto limitato sulla crescita del territorio – sottolinea Stasi – A conferma che un aumento

esponenziale del numero di attività non conferma uno sviluppo altrettanto esponenziale dell’economia, soprattutto se resta bassa la produttività, distogliendo risorse umane e di capitale a quei settori ad alto

valore aggiunto, come manifatturiero e costruzioni».



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