Sassari Sardegna, non si arresta il fenomeno dei cervelli in fuga: secondo gli ultimi dati della Cna regionale, nell’anno accademico 2023/2024 su 42.403 studenti universitari residenti nell’isola il 16,2% studia in atenei situati in altre regioni. Dieci anni fa erano l’11,2%.
La popolazione in età universitaria – nella fascia 19-24 anni – è passata da 102.158 unità dalla fine del 2022 a 83.518 del 2024, quasi 20mila residenti in meno. Negli ultimi anni sempre più giovani laureati sardi sono emigrati in cerca di nuove opportunità lavorative per via di un mercato del lavoro regionale che li penalizza, in termini di precarietà, stagionalità della domanda, bassa propensione ad assorbire figure professionali qualificate. Del fenomeno si è occupato il Centro Studi di CNA Sardegna che rielaborando i dati Istat e le ultime indagini condotte dal consorzio Almalaurea ha realizzato un approfondito report.
Il 20% dei giovani laureati in Sardegna, dopo 5 anni dal conseguimento del titolo lavora fuori dall’isola. A cinque anni dalla laurea sono oltre il 14% contro la media nazionale del 9,6% i giovani laureati sardi che non lavorano, non studiano e non si formano. Tra coloro che lavorano alle dipendenze, la percentuale di contratti a termine è superiore alla media nazionale, ancor più alta la percentuale dei contratti a tempo parziale involontario l’11% contro l’8%.
Il grido d’allarme di Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale di CNA Sardegna: «Occorre garantire adeguate opportunità ai giovani».
«I dati dell’indagine sull’inserimento occupazionale dei neo-laureati – dichiarano Tomasi e Porcu – confermano le forti difficoltà del mercato del lavoro della Sardegna di garantire adeguate opportunità ai giovani più qualificati: disoccupazione superiore alla media, percentuali di NEET elevate, maggiore frequenza di situazioni di part-time involontario. In presenza di un tessuto produttivo che fatica ad assorbire specializzazioni medio alte», proseguono i vertici CNA.
«Il capitale umano formato negli atenei di Cagliari e Sassari è spesso costretto a riconvertirsi su ruoli di servizio a bassa intensità di conoscenza oppure a emigrare verso contesti dove l’innovazione genera salari e traiettorie di carriera più attrattive. Il rischio è il consolidamento di un circolo vizioso: la fuoriuscita costante di un laureato su cinque a cinque anni dalla laurea priva la Sardegna di competenze essenziali per sostenere lo sviluppo socio-economico, la transizione digitale e la green-economy, rallentando gli investimenti che potrebbero trattenere le nuove leve. La sfida – concludono Tomasi e Porcu – si gioca su tre fronti complementari: rafforzare i canali di trasferimento tecnologico tra università e imprese – anche sfruttando i poli di innovazione finanziati dal PNRR2 e dai fondi europei per la digitalizzazione – incentivare l’attrazione di imprese innovative, ad esempio attraverso defiscalizzazioni mirate e infrastrutture digitali avanzate, e potenziare i programmi regionali di rientro dei talenti legandoli a progetti lavorativi concreti e a percorsi di carriera progressivi». (im)
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