Rischio di nuovi dazi del 30% tra USA e UE. Cosa cambia per le imprese che esportano? Una guida alle possibili novità, alle regole anti-elusione e alle opzioni per chi produce negli Stati Uniti.
Il clima di incertezza nel commercio internazionale, in particolare sull’asse tra Europa e Stati Uniti, si fa sempre più denso. Le tensioni commerciali, mai del tutto sopite, rischiano di riaccendersi a seguito delle ultime dichiarazioni della presidenza americana, contenute in una lettera che delinea uno scenario di possibili inasprimenti a partire dal 1° agosto 2025. Questa escalation crea un’enorme preoccupazione per il nostro tessuto produttivo, fortemente orientato all’export. È quindi di fondamentale importanza per ogni imprenditore capire, in tema di dazi USA-UE, cosa rischiano le imprese esportatrici. Analizziamo le possibili novità contenute nella missiva e le contromisure strategiche che le aziende dovrebbero iniziare a valutare.
Qual è la nuova minaccia principale per chi esporta negli USA?
Il cuore della nuova proposta è l’introduzione di un dazio reciproco generalizzato del 30% su tutte le merci scambiate tra Unione Europea e Stati Uniti. Questo rappresenta un notevole aumento rispetto al 10% attuale e al 20% precedentemente minacciato. È importante comprendere come si applicherebbe questa nuova tariffa:
- si sommerebbe ai dazi esistenti: questo 30% verrebbe applicato in aggiunta al dazio ordinario già previsto dal sistema tariffario americano (HTS) per ogni specifica categoria di prodotto;
- non sostituirebbe i dazi settoriali: le tariffe specifiche già in vigore su alcuni settori (come il 50% su acciaio e alluminio o il 25% sull’automotive) rimarrebbero con ogni probabilità invariate. Il nuovo dazio del 30% si applicherebbe a tutti gli altri beni, con possibili esenzioni specifiche che verranno definite.
Posso aggirare il dazio spedendo da un altro Paese?
La proposta contiene una specifica regola anti-elusione pensata per impedire facili aggiramenti. Se un’impresa europea cercasse di esportare le proprie merci negli Stati Uniti facendole transitare (“trasbordare”) da un Paese terzo con cui gli USA hanno accordi tariffari più favorevoli, gli Stati Uniti applicherebbero comunque l’aliquota del 30% prevista per le merci di origine europea. L’obiettivo è colpire il prodotto in base alla sua origine reale, non al suo ultimo porto di partenza.
Cosa succede se l’Europa decide di reagire?
La lettera delinea uno scenario di “escalation automatica”. Contiene infatti una clausola di ritorsione molto severa. Se l’Unione Europea, per rispondere ai dazi americani, decidesse a sua volta di introdurre o aumentare i dazi sulle merci provenienti dagli USA, l’amministrazione americana aumenterebbe la sua aliquota del 30% di una percentuale identica a quella introdotta dall’UE.
L’UE ha attualmente in vigore una misura di reazione ai dazi su acciaio e alluminio pari al 25%. Se questa misura venisse estesa, il dazio totale americano sulle merci europee potrebbe teoricamente salire al 55% (il 30% di base più il 25% di ritorsione).
Esiste una “via d’uscita” per le imprese europee?
La lettera non contiene solo minacce, ma delinea anche una chiara alternativa strategica, un forte incentivo a produrre direttamente sul suolo americano. Per le imprese europee che decidessero di delocalizzare o aprire stabilimenti produttivi negli Stati Uniti per servire quel mercato, verrebbe offerta una condizione di grande vantaggio:
- le materie prime e i semilavorati importati dall’Europa negli USA, destinati a essere trasformati in prodotti finiti all’interno degli stabilimenti americani, sarebbero esenti dal nuovo dazio del 30%.
Questa opzione rappresenta un bivio strategico: da un lato, continuare a esportare dall’Europa pagando dazi molto più alti; dall’altro, affrontare l’investimento di una delocalizzazione produttiva per accedere al mercato USA senza tariffe punitive. Va notato, tuttavia, che la promessa di ottenere autorizzazioni per produrre in “poche settimane” contenuta nella lettera appare ottimistica e andrebbe verificata rispetto alle normative specifiche di ogni settore.
C’è una possibilità di soluzione diplomatica?
La porta del dialogo non sembra completamente chiusa. La proposta lascia intendere che l’escalation dei dazi potrebbe essere fermata se l’Unione Europea si impegnasse ad abbattere tutte le sue barriere commerciali, sia tariffarie che non tariffarie, nei confronti dei prodotti americani. Sebbene sia una richiesta negoziale molto forte, indica che esiste ancora uno spazio, per quanto stretto, per una soluzione diplomatica.
In conclusione, lo scenario che si prospetta per le imprese esportatrici è complesso e richiede un’attenta valutazione strategica. La minaccia di un dazio generalizzato del 30% impone di riconsiderare i propri modelli di business e le catene di approvvigionamento. Le opzioni sul tavolo sono nette: assorbire costi significativamente più alti, con il rischio di un’ulteriore escalation, oppure valutare il grande passo di un investimento produttivo diretto nel mercato di destinazione. In attesa di una risposta forte e chiara da parte delle istituzioni europee, che possa ridurre l’incertezza, il compito di ogni impresa è prepararsi a un futuro in cui le regole del commercio globale potrebbero essere molto diverse.
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