Nel 2011, una devastante alluvione in Thailandia mise in ginocchio la produzione globale di componenti elettronici e automobilistici. Il disastro naturale paralizzò le fabbriche, bloccò le esportazioni e generò una crisi nella catena di approvvigionamento mondiale. Fu un campanello d’allarme per investitori e aziende, che scoprirono quanto fosse fragile una rete troppo dipendente da poche aree geografiche.
A distanza di oltre dieci anni, la lezione è ancora valida. Molte imprese continuano a sottovalutare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla propria supply chain. Eppure, in un mondo sempre più colpito da eventi meteorologici estremi, trascurare questi rischi può avere costi elevatissimi — non solo per le aziende, ma anche per chi investe in esse.
Clima e investimenti: una minaccia trasversale e crescente
Finora, l’attenzione degli investitori si è concentrata soprattutto sugli effetti diretti del cambiamento climatico: incendi che bloccano la produzione, siccità che riducono la resa agricola, o uragani che danneggiano fabbriche e magazzini.
Tuttavia, la vera minaccia potrebbe trovarsi un livello più in basso: nella rete globale di fornitori da cui dipendono le imprese. Secondo uno studio della Banca Centrale Europea, considerando anche gli impatti indiretti lungo la supply chain, i danni economici dovuti agli shock climatici potrebbero essere fino a 30 volte superiori rispetto agli effetti diretti.
Perché le supply chain sono così vulnerabili
Le catene di fornitura moderne sono progettate per essere efficienti, non per essere resilienti. Le aziende spesso privilegiano il costo e la velocità, trascurando la robustezza strutturale. Questo le rende esposte a una serie di fattori climatici difficilmente controllabili:
▸ Dipendenza da regioni climaticamente instabili
Paesi come il Bangladesh (soggetto a frequenti inondazioni), l’Africa subsahariana (colpita da siccità) o l’America Centrale (zona ad alto rischio uragani) sono centrali per molte filiere globali. Eventi estremi in queste aree possono fermare interi comparti industriali.
▸ Infrastrutture vulnerabili
Porti, ferrovie e snodi logistici sono sempre più spesso colpiti da tempeste, frane o alte temperature. I porti di Shanghai e Ningbo, per esempio, perdono in media cinque giorni lavorativi all’anno a causa dei venti estremi — una tendenza destinata ad aggravarsi.
▸ Eccessiva concentrazione geografica
Prodotti strategici come semiconduttori, batterie, fertilizzanti o terre rare sono prodotti in poche aree del mondo. Una singola interruzione — ad esempio, un blackout o un’alluvione — può generare una reazione a catena lungo tutta la filiera.
I settori più esposti ai rischi climatici
Non tutti i comparti industriali sono esposti allo stesso modo. I settori più vulnerabili condividono una forte dipendenza da materie prime o componentistica globale, oltre a processi produttivi distribuiti su più continenti. Tra i più a rischio troviamo:
- Materiali e minerali critici: metalli rari, acciaio, terre rare
- Beni di consumo di base: alimenti, bevande, prodotti igienici
- Beni discrezionali: automotive, moda, arredamento
- Tecnologia: semiconduttori, hardware, elettronica di consumo
- Industria pesante: macchinari, edilizia, componentistica elettrica
In questi settori, un evento climatico può compromettere la produttività dei fornitori, aumentare i costi di trasporto, ritardare le consegne o costringere le imprese a rinegoziare i contratti di fornitura.
Il paradosso della consapevolezza: pochi se ne preoccupano davvero
Nonostante la gravità del problema, le aziende sono ancora molto indietro nella gestione del rischio climatico indiretto. Un report di S&P Global evidenzia che meno del 10% delle imprese intervistate considera la supply chain come un fattore rilevante nei piani di adattamento climatico. Solo una su cinque ha un vero piano strutturato per mappare e ridurre i rischi fisici legati al clima.
Dove c’è resilienza, c’è valore
Questa negligenza diffusa crea però un’opportunità per chi sa leggere prima il cambiamento. Secondo uno studio di Oxford Economics, i portafogli azionari composti da aziende con supply chain meno esposte agli shock climatici hanno registrato performance superiori nel lungo periodo.
In pratica, la resilienza climatica può trasformarsi in vantaggio competitivo. Ecco perché:
- Aziende che diversificano i fornitori sono più pronte a reagire alle crisi
- Quelle che localizzano parte della produzione riducono la dipendenza estera
- Imprese che fanno scorte strategiche gestiscono meglio le emergenze
Come integrare il rischio climatico nelle scelte di investimento
Se sei un investitore attento, ecco alcune domande strategiche da porre (a te stesso e alle aziende su cui stai puntando):
- L’azienda ha identificato i fornitori più vulnerabili?
- Ha un piano concreto per mitigare le interruzioni di fornitura?
- Sta investendo in supply chain regionali, stoccaggio o materie alternative?
- Ha già subito disservizi legati al clima negli ultimi anni?
Le risposte vaghe o incomplete sono un segnale di rischio. Al contrario, una comunicazione trasparente sulla resilienza operativa può rappresentare un segnale di solidità e lungimiranza strategica.
Rischio e opportunità: due facce della stessa medaglia
Il cambiamento climatico sta ridefinendo le priorità operative e finanziarie delle imprese. Le catene di fornitura globali, un tempo invisibili agli occhi degli investitori retail, sono oggi uno dei principali punti critici.
Tuttavia, chi sa valutare il grado di esposizione climatica indiretta può selezionare aziende pronte per il futuro. Aziende che accorciano le filiere, integrano nuove tecnologie, diversificano gli snodi logistici e assicurano l’accesso a risorse chiave stanno costruendo un vero vantaggio competitivo.
Conclusione: il clima non è più un tema solo etico
Oggi, il rischio climatico è un tema finanziario a tutti gli effetti. I portafogli più esposti potrebbero soffrire in caso di shock improvvisi, mentre quelli costruiti attorno ad aziende resilienti potrebbero non solo proteggersi, ma beneficiare dei cambiamenti in atto.
Il consiglio è chiaro: quando valuti un titolo o un settore, non guardare solo alla redditività o al posizionamento competitivo. Analizza la catena che tiene tutto insieme. Perché spesso, è proprio lì che inizia il vero rischio.
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